Bussano alla porta dello specialista quando è troppo tardi, quando la malattia ha già cominciato a cancellare le loro identità e la nebbia ormai affoga i ricordi. Malati di Alzheimer senza saperlo. Su 36 milioni stimati di persone con demenza nel mondo, 3 casi su 4 sono sommersi. Senza diagnosi e senza cure. E’ il dato che emerge dal Rapporto mondiale Alzheimer 2011, presentato oggi a Milano, Londra e New York in vista della XVIII Giornata dedicata all’Alzheimer (21 settembre). Ma una diagnosi precoce, avvertono i ricercatori, potrebbe far risparmiare 10 mila dollari per malato. Questo racconta il rapporto dedicato quest’anno proprio ai ‘Benefici di diagnosi e interventi tempestivi’, diffuso in contemporanea da Alzheimers Disease International (Adi), Alzheimer’s Association Usa e Federazione Alzheimer Italia.Secondo il dossier, nei Paesi ad alto reddito solo il 20-50% dei casi di demenza sono riconosciuti e documentati. Una situazione che si aggrava ancora di più se si guarda alle realtà dei Paesi a basso e medio reddito, dove la percentuale di diagnosi è del 10%. “Si arriva a una diagnosi di Alzheimer anche con 3 anni di ritardo – spiega Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia – Spesso i sintomi non si riconoscono. Trattandosi nella maggior parte dei casi di anziani si attribuiscono i cali di memoria alla vecchiaia, oppure è il malato stesso a non voler uscire allo scoperto. E tutto questo si traduce in tempo perso per la cura della malattia”. I trattamenti, prosegue Salvini Porro, “vanno cominciati il più presto possibile per salvaguardare la qualità di vita del malato”. Interventi mirati, assicurano gli autori del rapporto, possono fare la differenza soprattutto nello stadio iniziale della malattia. Farmaci e interventi psicologici possono migliorare cognitività, indipendenza e qualità di vita delle persone con demenza allo stadio iniziale. Supporto e counselling ai familiari possono migliorare l’umore, ridurre lo stress e ritardare l’istituzionalizzazione dei pazienti. Ma la chiave è una: anticipare i tempi di riconoscimento della malattia. Sulla base di una revisione delle analisi economiche, nel rapporto si stima che la diagnosi tempestiva potrebbe far risparmiare fino a 10 mila dollari per malato nei Paesi ad alto reddito. “I governi, preoccupati per l’aumento dei costi delle cure a lungo termine della demenza, dovrebbero spendere ora per risparmiare più tardi, ma dubito che lo faranno – commenta Salvini Porro – In questo periodo si sono dimenticati dell’Alzheimer, ma nei prossimi anni dovranno affrontare una vera emergenza. Con i giovani che diminuiscono e i malati che aumentano, chi si occuperà di questi pazienti?”. La malattia, relegata in basso alla lista di priorità dai governi alle prese con la crisi finanziaria, corre a un ritmo “preoccupante – osserva l’esperta – E’ previsto quasi il raddoppio dei casi ogni 20 anni: 36 milioni di malati nel 2010 (di cui 7,3 in Europa), 65,7 milioni nel 2030, 115,4 milioni nel 2050. Sono queste le stime” contenute nel dossier curato da un gruppo di ricercatori guidati da Martin Prince dell’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra. I ricercatori hanno revisionato nell’ultimo anno migliaia di studi scientifici sull’impatto di una diagnosi e di un trattamento precoci e hanno trovato l’evidenza di reali benefici per il malato e il familiare. Risultato: oggi la maggior parte delle diagnosi di demenza, spiegano, “viene effettuata con grave ritardo provocando un altrettanto grave ritardo nel trattamento”. Secondo Prince, “per affrontare la demenza ogni Paese ha bisogno di una strategia nazionale che promuova una diagnosi tempestiva e un percorso di cura”. In Italia, dove si contano un milione di persone con demenza di cui circa 600 mila con Alzheimer, “dovremmo seguire l’esempio di Paesi a noi vicini come la Francia, che ha varato un piano pluriennale da 1,6 miliardi”, incalza Salvini Porro. La malattia costa tempo, soldi e fatica. E pesa soprattutto sulle famiglie dei pazienti. “Per un malato si parla di 60 mila euro circa fra costi diretti e indiretti”, ricorda. Secondo il Rapporto mondiale Alzheimer 2010, i costi globali della demenza arrivano a 604 miliardi di dollari, cifra che rappresenta circa l’1% del Pil mondiale. In Italia sono attive circa 500 Unità di valutazione dell’Alzheimer e “la parte specialistica è adeguata – riflette Claudio Mariani, ordinario di neurologia all’università degli Studi di Milano – Ma è necessario lavorare sulla sensibilizzazione dei medici di famiglia che devono aiutarci a risparmiare tempo e a stanare i pazienti bisognosi di cure il più presto possibile. Oggi i malati arrivano dallo specialista già con i segni della demenza, ma il processo distruttivo della patologia comincia prima. E c’è una fase di pre-demenza in cui si possono riconoscere segni ‘sottili’ della malattia, con test molto sofisticati e precisi e con esami diagnostici”. Sul fronte terapie, riferisce invece l’esperto, “i ricercatori sono a caccia di farmaci che agiscano sulle cause della patologia. C’è molta attesa per i nuovi farmaci, il vaccino che sarà sia terapeutico che preventivo e gli anticorpi monoclonali, che entrerà nella fase III di sperimentazione nel giro di un anni”. Oggi sono disponibili anche trattamenti non farmacologici, come la cosiddetta ‘stimolazione cognitiva’ che, spiega Mariani, “può essere utile per rallentare la comparsa della demenza. Si tratta di tecniche raffinate che hanno un costo molto elevato, visto che sono praticate in pochi centri da personale super specializzato”.
Da Adnkronos Salute