La morte per suicidio è più comune tra i medici rispetto al resto della popolazione, ma i camici bianchi – in particolare i chirurghi – sono particolarmente restii a chiedere aiuto e a mettersi nelle mani di uno specialista se sono ossessionati da pensieri di morte. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sugli ‘Archives of Surgery’ dal team di Tait Shanafelt della Mayo Clinic di Rochester (Usa). I ricercatori hanno messo sotto il microscopio i colleghi dell’American College of Surgeons nel corso del 2008, scoprendo che a fronte di numerose testimonianze di pensieri suicidi, solo in pochi si sono rivolti nell’arco di un anno a specialisti di salute mentale. “Benché il suicidio sia fortemente legato alla depressione, il rischio di cadere in depressione nel corso della vita per i medici è simile a quello della popolazione generale – scrivono i ricercatori – Questo suggerisce che altri fattori possono contribuire all’aumentato rischio di suicidio fra i camici bianchi. L’accesso ai medicinali letali e la conoscenza del loro uso sono alcuni fattori implicati”, ma anche l’influenza del tipo di professione e delle forme di stress diverse dalla depressione “sono ancora oggi largamente inesplorate”. Per colmare questa lacuna i ricercatori hanno sottoposto 7.905 chirurghi a un questionario anonimo sui pensieri suicidi, sulla depressione, sul burnout e sull’utilizzo dei servizi di salute mentale. Ebbene, il 6,3% dei medici ha riferito pensieri suicidi nell’anno sotto esame. Un problema che riguarda più spesso gli over 45 (da 1,5 a tre volte più inclini a pensare di darsi la morte rispetto alla popolazione generale). Essere sposati e avere figli sembra ridurre il pericolo di pensieri suicidi fra i chirurghi, al contrario di quanto accade per i divorziati. In particolare, a mandare in crisi questi professionisti della salute è “la percezione di aver fatto un errore importante nei tre mesi precedenti”. Infine, se il 26% dei medici con pensieri suicidi ha chiesto aiuto, oltre il 60% si è detto riluttante a farlo; alcuni medici poi si sono autoprescritti antidepressivi senza farne parola con nessuno, e altri hanno chiesto la ricetta a un amico che però non li ha formalmente presi in carico come pazienti. Insomma, secondo il team emerge una chiara riluttanza a chiedere aiuto da parte di questi operatori.
Da Adnkronos Salute