Il paradigma tradizionale per il trattamento dei pazienti con depressione e insonnia è stato quello di concentrarsi sempre sulla depressione in attesa che i problemi del sonno svaniscano assieme ai sintomi depressivi.

Noi di Mens Sana lo abbiamo sempre considerato un errore e durante l’ultimo congresso annuale dell’European College of Neuropsychopharmacology, il principio è stato riaffermato con forza.

Questa strategia di trattamento è insufficiente, perché l’insonnia non trattata raramente migliora. Impedisce il recupero dalla depressione, aumenta il rischio di nuovi episodi depressivi e causa continue sofferenze a causa del sonno scarso.

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che l’insonnia con depressione comorbida non è semplicemente un sintomo di depressione; richiede un trattamento specifico. Questi studi hanno dimostrato che non solo le benzodiazepine possono essere efficaci per trattare l’insonnia in comorbidità con la depressione.

Una terapia cognitivo comportamentale, incentrata sull’insonnia dà ottimi risultati, anche nel lungo termine e molti pazienti mantengono una buona qualità del sonno per oltre tre anni, cioè anche molto tempo dopo il termine dell’episodio depressivo. Inoltre, l’utilizzo della terapia cognitivo comportamentale riduce l’utilizzo dei farmaci, riducendo effetti collaterali e rischi come quelli di mettersi alla guida di automobili dopo aver assunto benzodiazepine.

I dati dimostrano inoltre che il trattamento dei pazienti con terapia per l’insonnia è stata efficace anche per migliorare la gravità della depressione. Migliorare la qualità del sonno riduce la tensione emotiva, migliora le funzioni cognitive e migliora il tono dell’umore e l’energia fisica.

Altre analisi a lungo termine hanno anche dimostrato che le persone che presentavano disturbi del sonno, ridotta quantità e qualità del sonno, a 12 mesi dall’inizio delle misurazioni presentavano sintomi depressivi significativamente peggiori per intensità e frequenza e una percentuale di ripresentazione di un episodio depressivo a 36 mesi, significativamente minore rispetto a chi non aveva un buon sonno. Un sonno migliore, quindi, può prevenire la depressione a lungo termine.

Leggere una storia partendo dal finale non ci permette di comprendere le ragioni che hanno determinato il corso degli eventi. Guardare alla morte di Stefano Cucchi, come fine di una storia di violenza perpetrata dallo Stato ai danni di un uomo, non ci aiuta a comprendere perchè si è arrivati a questo e non ci aiuterà a evitare che eventi del genere succedano ancora.


Vi prego di leggere il breve estratto dal sito dai Rainews, riguardante la sentenza del Caso Cucchi: “I giudici della I Corte d’Assise del Tribunale di Roma, presieduta da Vincenzo Capozza, hanno condannato a 12 anni i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per la morte di Stefano Cucchi, avvenuta nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini il 22 ottobre 2009, una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga nella notte tra il 15 e 16 ottobre”. Avete letto tutto l’estratto? Siete andati oltre la reazione emotiva di rabbia e giustizia per la condanna dei due Carabinieri, espressione vergognosa dello Stato? Leggete oltre, perchè l’omicidio di Cucchi lo hanno eseguito quei Carabinieri, ma lo ha ordinato lo Stato. Stefano Cucchi fu arrestato per “possesso di droga”. La sera del 15 ottobre 2009, Stefano viene fermato e arrestato dai Carabinieri Francesco Tedesco, Gabriele Aristodemo, Raffaele D’Alessandro, Alessio Di Bernardo e Gaetano Bazzicalupo, che lo hanno visto cedere a un altro uomo, Emanuele Mancini, una bustina trasparente che conteneva hashish in cambio di 20 euro. I carabinieri lo perquisiscono e gli trovano addosso altre bustine contenenti stupefacenti. La storia inizia e finisce qui. Il resto è pura speculazione, se non capiamo il motivo per cui la storia di cronaca è divenuta una tragedia.


La tragedia l’ha voluta lo Stato italiano, che rende illegale la distribuzione delle sostanze stupefacenti e consegna il mercato e il controllo delle droghe alla malavita. Cucchi comprava droga, prevalentemente derivati della cannabis, che rivendeva al dettaglio. Stefano Cucchi era uno spacciatore, per quello è stato punito. Troppo e inutilmente. Lo Stato ha ammazzato il solito pesce piccolo, probabilmente pensando di star lottando davvero contro lo spaccio di droga, che lo Stato stesso fa in modo che esista. In questa lotta il presunto buono combatte i trafficanti ma al contempo consegna in mano loro l’intero mercato e l’intero guadagno, dandogli la possibilità di prosperare. Il vero crimine è il proibizionismo. La morte di Stefano Cucchi è una delle tante storie di proibizionismo. La sorella Ilaria è stata brava a dar voce e luce all’ingiustizia? Io penso di no o almneno non completamente, perchè non ha centrato l’obbiettivo, consapevole fino a un certo punto di quello che faceva. Quando afferma che suo fratello è “morto tra sofferenze disumane quando era in mano dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato” e quando nel 2013 e 2016 tenta la carriera politica, non spende una parola sulle reali cause per le quali i tanti Stefano sono morti negli anni. Smettiamo di mettere in carcere i piccoli spacciatori, smettiamo di dichiarare illegale la distribuzione della droga. Utilizziamo i fondi per la repressione dello spaccio per potenziare i centri di cura per le dipendenze, per informare, per fare prevenzione. Se la droga non fosse in mano del mercato criminale, Stefano Cucchi non sarebbe mai esistito. Avrebbe curato meglio la sua dipendenza e sarebbe riuscito a uscire da quel giro di spaccio e consumo che lo ha portato alla morte, sebbene per mano altrui. Il proibizionismo fa vittime perchè alimenta le organizzazioni criminali e distoglie risorse dalla cura e prevenzione di una malattia, la dipendenza.


Non combatteremo la droga rendendone illegale il consumo o la distribuzione. La persona dipendente da una sostanza ha bisogno di essa per non provare sintomi di astinenza, per non soffrire. E’ il bisogno della sostanza, il craving, a comandare la volontà dell’individuo e spingerlo a fare di tutto: rubare, prostituirsi, spacciare, intrecciare rapporti con criminali, spendere tutto quello che ha e oltre, perdere il lavoro e la famiglia. Pensate davvero che basti un “No” dello Stato a fermare questo processo? Tutt’altro. Se sapessimo dove queste persone andassero a prendere queste sostanze, cosa realmente assumano, quanto ne assumano, allora potremmo aiutarli a smettere o per lo meno a evitare le conseguenze sociali della malattia e concentrarsi maggiormente sull’aspetto medico e terapeutico. Se invece continuiamo a permettere che la gente si ammazzi per 20 euro di hashish, saremo dei miserabili struzzi che aspettano il prossimo caso Cucchi per ritagliarsi cinque minuti di celebrità, lavarsi la coscienza, accrescere il potere dei Giudici e perdere fiducia nelle Forze dell’Ordine. E’ molto più facile così, piuttosto che cambiare punto di vista sul problema e prendere coscienza che la sua soluzione passa per il controllo del commercio e il potenziamento delle cure. La dipendenza da alcol e da sostanze, compresa la cannabis, è una malattia riconosciuta. E’ una malattia come il diabete. Che facciamo? Vogliamo rendere illegale il commercio e la detenzione di zucchero? Così combattiamo il diabete?


Stefano Cucchi lo hanno ammazzato i due Carabinieri, ma tutti noi glielo abbiamo permesso. Per quanto ancora continueremo a permetterlo?

Marco Paolemili