ricerca-scientifica Tra il 2007 e il 2011 i trial clinici, le sperimentazioni di nuovi farmaci o procedure diagnostiche, in Europa sono crollate del 25%. Per spiegare questa disfatta della ricerca in Europa sono stati invocati gli alti costi economici, i tempi di approvazione troppo lunghi e la restrittiva Direttiva Europa sui Trial Clinici. Un sondaggio anonimo condotto sul web ha valutato in maniera sistematica tutti i fattori che potrebbero influenzare la crisi dei trial clinici nei centri europei.

Nello studio internazionale sono stati coinvolti 485 responsabili clinici della ricerca biomedica di 34 nazioni: il 49% appartenenti al settore farmaceutico e il 40% di ambito accademico. Tra gli elementi di maggior importanza nell’influenzare la scelta di un centro di avviare un trial clinico sono stati presi in esame gli aspetti relativi ai ricercatori (interesse in una certa area di patologia, prestigio, pubblicazioni, esperienze precedenti in studi simili), organizzativi (velocità di approvazione da parte dei comitati etici e istituzionali, disponibilità di pazienti idonei all’interno di una regione, incentivi governativi, costi, esistenza di network di esperti internazionali su una patologia, ecc.) e relativi ai centri ospedalieri (esperienza del personale coinvolto nel trial e abilità linguistiche, attrezzature diagnostiche disponibili, ecc); mentre la voce ‘costi’ è risultata meno impattante.

All’interno dei criteri organizzativi, definiti “ambientali”, la disponibilità di un adeguato numero di pazienti idonei, la velocità di approvazione dei trial e la presenza di network di professionisti, assumevano un peso nettamente superiore rispetto alle voci economici o agli incentivi finanziari governativi. Le zone geografiche più appetibili, quelle più recettive per la realizzazione di un trial clinico, sono risultati i Paesi del nord Europa (nell’ordine Germania, Olanda, Regno Unito); Italia e Spagna sono, anche in questo campo, il fanalino di conda.

La semplicità dei processi di approvazione è un fattore determinante nella selezione dei centri per i trial clinici, mentre meno impattante appare il lato economico. Ciò significa che per spingere la ricerca nel Vecchio Continente servono investimenti aggiuntivi o incentivi da parte dei governi. Prioritaria per attirare un maggior numero di trial clinici in Europa, appare invece l’organizzazione dei processi di approvazione (le lungaggini amministrative non incentivano la scelta: “il tempo è denaro”), una maggior visibilità dei centri d’eccellenza (ad esempio attraverso la creazione di siti web o di network dedicati ad una particolare patologia) e il contenimento dei costi indiretti, legati alla burocrazia per impostare un trial, la lentezza del reclutamento, la scarsa performance di un centro. Significativo a questo riguardo è il fatto che il 75% degli intervistati reputi l’informazione via web, con la creazione di uno “sportello virtuale centralizzato”, “decisamente auspicabile” o “utile la maggior parte delle volte”.

E’ necessario e prioritario realizzare una vera unità d’Europa anche della ricerca scientifica, un’area di ricerca europea all’interno della quale sia garantita la libera circolazione di ricercatori, conoscenze scientifiche e tecnologiche.

La strategia di crescita dell’Europa per l’anno 2020 prevede un investimento del 3% del Pil in ricerca e sviluppo scientifico. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale consentire gli investimenti in Europa senza doversi imbattere in inutili e continui ostacoli. L’Europa ha le potenzialità per essere protagonista della ricerca medica perché possiede un mercato appetibile, un’ampia fetta di popolazione nella terza età, centri universitari e di ricerca prestigiosi, importanti industrie farmaceutiche. E’ arrivato il momento di rimuovere gli ostacoli legati ai governi nazionali e alle loro agenzie di controllo e, per quanto riguarda l’Italia, di imparare qualcosa dai nostri vicini.

fumatoreNella più grande valutazione mai tentata del consumo di sostanze tra le persone con gravi malattie psichiatriche, i ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis e della University of Southern California hanno scoperto che i tassi di fumo, alcol e droghe sono significativamente più elevati tra coloro che hanno disturbi psicotici, che tra quelli della popolazione generale. Lo studio è pubblicato online sul primo numero del 2014 della rivista JAMA Psychiatry.

La scoperta è di particolare interesse perché le persone con gravi malattie mentali hanno più probabilità di morire giovani rispetto alle persone senza gravi disturbi psichiatrici, con stime che variano da 12 a 25 anni prima degli individui nella popolazione generale. La morte non sopraggiunge per overdose o per suicidio, come si potrebbe sospettare, ma per malattie cardiache e cancro, problemi causati dall’uso cronico di alcol e tabacco.

Lo studio ha analizzato il consumo di tabacco, alcol e altre droghe in quasi 20.000 persone. Il campione comprendeva 9.142 pazienti psichiatrici con diagnosi di schizofrenia, disturbo bipolare o disturbo schizoaffettivo – una malattia caratterizzata da sintomi psicotici come allucinazioni e deliri e disturbi dell’umore come la depressione .

I ricercatori hanno trovato che il 30 per cento delle persone con grave malattia psichiatrica presentavano il fenomeno del binge drinking, definito come il bere quattro porzioni di alcol in una sola volta, ovvero in un tempo molto limitato. In confronto, il tasso di binge drinking nella popolazione generale è dell’8 per cento.

Tra quelli con malattia mentale, oltre il 75 per cento erano fumatori regolari. Ciò a fronte del 33 per cento di quelli nel gruppo di controllo. Risultati simili si sono riscontrati per quanto riguarda l’uso pesante di marijuana: il 50 per cento delle persone con disturbi psicotici, utilizza la marijuana regolarmente, contro il 18 per cento nella popolazione generale. La metà di quelli con la malattia mentale utilizzano anche altre droghe, mentre il tasso di uso di droghe nella popolazione generale è del 12 per cento.

Le donne tendono a fumare, bere e usare droghe illecite meno spesso rispetto agli uomini, ma nelle persone con una grave malattia mentale la differenza si azzera.

Mentre gli sforzi della salute pubblica hanno effettivamente dimezzato il tasso di uso di nicotina nelle persone sane, nei gravi malati di mente, non sì è notata alcuna diminuzione.

Fino a poco tempo , il fumo era permesso nella maggior parte degli ospedali psichiatrici, nei reparti di psichiatria e nelle altre strutture che accolgono malati psichiatrici. Molti psichiatri ritengono che i loro pazienti più gravi hanno avuto abbastanza problemi senza doversi preoccupare anche di smettere di fumare. Persistono anche preoccupazioni per i potenziali pericoli derivanti dall’uso di terapie sostitutive della nicotina. Recenti studi, tuttavia, hanno trovato queste preoccupazioni esagerate.

Bisogna essere più aggressivi nel tentativo di frenare l’uso di nicotina, alcol e uso di sostanze nei pazienti con grave malattia psichiatrica, perchè questo può allungare la loro vita.

Abbiamo bisogno di sviluppare nuove strategie perché molti interventi per ridurre il fumo, l’alcol e droga che hanno funzionato in altre popolazioni di pazienti non sembrano essere molto efficace in questi pazienti psichiatrici.