Maria Quattropani, Emanuela Coppola. Piccin editore
In italia gli over 65 sono più di 12 milioni, il 20% della popolazione, gli over 80 sono 3 milioni e sono destinati a crescere ancora per molti anni. Le previsioni rivelano che nel 2050 le persone con oltre 65 anni potrebbero essere il 34% della popolazione italiana. Oggi in Italia sono affette dalla Malattia di Alzheimer, la più diffusa delle demenze, circa 600 mila persone.
La persona che sviluppa la malattia di Alzheimer “è un paziente Alzheimer, non ha un Alzheimer”. Questa affermazione degli autori non è condivisa da chi scrive: nessuno è la malattia che ha, Carla è sempre Carla, con tutte le sue paure, i suoi pregi e i suoi difetti, anche se ha una schizofrenia. Identificare una persona con la propria malattia non fa che peggiorarne lo stigma. Al di là dell’affermazione concettualmente non condivisa, come dicono gli autori la demenza di Alzheimer stravolge totalmente la vita della persona, trasformando la sua esperienza. Lo stravolgimento è tale da far mutare tutto. Andando più avanti con la lettura, tuttavia, diviene più chiaro quanto sia invece fondamentale considerare il malato di Alzheimer come una persona inserita comunque in contesto sociale e quanto sia importante prestare attenzione e rispetto all’individuo.
Le condizioni legate a questa malattia posso compromettere la qualità della vita della famiglia, le abitudini, le relazioni sociali e avere una forte ricaduta economica.
Gli autori definisco la malattia di Alzheimer, una “malattia familiare”. Non è solo una malattia clinica insomma, gli aspetti pragmatici, gli aspetti economici e quelli affettivo-relazionali coinvolgono sempre anche il caregiver. Assumere il ruolo di caregiver comporta molto spesso conseguenze sulla salute, fisica e mentale. In Italia è la famiglia a rappresentare la principale risposta assistenziale ai bisogni degli anziani non autosufficienti. L’80% degli Italiani, compreso chi scrive, è convinto che sia la casa il luogo deputato alla cura di questa malattia.
“Una mente che può tutto, non può vincere il tempo”, le demenze infliggono una ferita narcisistica e insopportabile per il mondo occidentale, che ha investito molto sulle prestazioni cognitive, sul primato della mente e sulla grandezza dell’intelletto, riuscendo a vincere importanti sfide. Molte, ma non tutte.
L’unica certezza su cui la ricerca è concorde è l’irreversibilità della malattia. Sapere che di Alzheimer non si guarisce, inevitabilmente ha condotto a un ripensamento delle strategie di ricerca, ma soprattutto d’intervento. Costruire profili cognitivi specifici per ciascun individuo diventa sempre più importante e perseverare nell’individuazione dei segni preclinici dell’Alzheimer, per una precoce e accurata diagnosi deve rappresentare il primo obiettivo. Sarebbe dunque opportuno un programma di screening neuropsicologico per tutta la popolazione che ha superato i 65 anni di età al fine di individuare precocemente i segni preclinici e i prodromi della demenza.
Gli studi che Quattropani e Coppola illustrano nel libro portano alla conclusione che il paziente con Alzheimer preserva una soggettività, che tenta con forza di difendere, sin dalle prime fasi della malattia.
I disturbi del comportamento, dell’umore e i sintomi psicotici rappresentano la principale fonte di stress per caregiver, colui che in prima persona si prende cura del proprio caro, e per la famiglia. Comportano un aumento notevole del carico assistenziale e costituiscono le principali cause di ricovero e rischiosa istituzionalizzazione del malato.
Intervenire sullo stress del caregiver consiste nella pianificazione d’interventi psicologici e clinici in grado di fornire spazi di elaborazione del disagio e aiutare i familiari a fronteggiare le implicazioni emotive e affettive connesse anche al tema della morte e della mancanza.
Il sostegno sotto forma di gruppo pare essere il metodo più proficuo. Consente di intervenire operando un miglioramento e un potenziamento nella gestione della malattia e del carico emotivo correlato all’assistenza del familiare.
Il libro descrive anche altre forme d’intervento, mirate sul paziente, senza mai dimenticare il suo contesto e in particolare il sistema della sua famiglia. Oltre all’intervento gruppale, vengono analizzate altre metodologie quale, ad esempio, il Mindfulness-Based Stress Reduction per insegnare tecniche di gestione dello stresso e della regolazione emotiva. La gamma di interventi, cosiddetti non farmacologici o psicosociali, è vasta ma l’obiettivo comune rimane quello della cura dei problemi psichici e comportamentali che si verificano nei processi di coping e di adattamento alla demenza.
Nel percorso che delinea quest’opera , il coinvolgimento della famiglia, particolarmente del caregiver è posto con molta enfasi. Sono loro a vivere l’angoscia della diagnosi nefasta, la prospettiva dell’evoluzione della malattia, le difficoltà nella gestione dei problemi cognitivi, comportamentali e anche pratici. Le famiglie e i caregiver devono sopportare il carico delle necessità d’assistenza sempre in aumento, consapevoli dell’assenza pressoché totale del Sistema Sanitario Nazionale. I servizi che si prendono carico della demenza, dunque, dovranno essere sempre più in grado di seguire il paziente e la sua famiglia lungo tutto il percorso delineato dalla malattia, aiutandoli nell’adattamento rapido alle esigenze che mutano nel corso del tempo.