Nel 2009 il 15,8% degli italiani al di sopra degli 11 anni, dunque circa 8 milioni e mezzo di persone (6 milioni e 434 mila maschi e 2 milioni e 20 mila femmine), ha avuto «almeno un comportamento di consumo a rischio» per quanto riguardo l’alcol. Un fenomeno questo che interessa tutte le fasce di età e in particolare il 18,5% dei ragazzi e il 15,5% delle ragazze al di sotto dei 16 anni (l’età legale), e circa 3 milioni di anziani. È quanto si legge nella relazione annuale che il ministero della Salute ha inviato lo scorso dicembre al Parlamento e dalla quale emerge «l’avvenuto passaggio a nuovi comportamenti e abitudini che segnano un allontanamento dal tradizionale modello di consumo mediterraneo». In sintesi, diminuiscono le persone con consumi moderati e quotidiani e al tempo stesso aumentano i consumatori, in particolare donne, che oltre a vino e birra bevono bevande alcoliche e superalcolici con frequenza occasionale e spesso fuori pasto. Per quanto riguarda invece il binge drinking, ha riguardato nel 2009 il 12,4% degli uomini e il 3,1% delle donne e, spiega la relazione, è ormai abitudine stabilmente diffusa, soprattutto nella popolazione maschile di 18-24 anni (21,6,1%) e di 25-44 anni (17,4%).
Emergono sempre più prove a sostegno della relazione tra uso di cannabis ed esordio precoce di psicosi: uno studio, portato a termine dal gruppo coordinato da Matthew Large della university of New South Wales di Sydney (Australia) e pubblicato sul numero di Febbraio degli Archives of General Psychiatry supporta l’ipotesi che la cannabis giochi un ruolo causale nello sviluppo di psicosi in alcuni pazienti. Questi risultati, secondo gli autori, dovrebbero essere divulgati per rendere il pubblico consapevole degli effetti potenzialmente dannosi della droga in questione. Le nuove informazioni scaturiscono dalla metanalisi di 83 studi che hanno posto a confronto l’età di esordio della psicosi in coorti di pazienti che facevano o non facevano uso di sostanze. È stato così possibile verificare come l’età d’esordio della malattia psichiatrica sia inferiore di 2,7 anni nei soggetti che fanno impiego di cannabis rispetto a chi non la usa. L’impiego di sostanze inteso nel senso più ampio si associa a un’età d’esordio di 2 anni inferiore rispetto a chi non ne fa uso. L’alcol non risulta invece associato a un’età significativamente più bassa di esordio di psicosi. Le differenze riscontrate tra le percentuali di consumatori di cannabis nei gruppi di soggetti che fanno uso di sostanze contribuisce all’eterogeneità dell’entità dell’effetto fra i vari studi: ciò conferma l’associazione fra l’impiego di cannabis e un’età media più bassa dell’esordio della malattia.
La passione per le ‘bionde’ mina la salute in molti modi. Secondo un recente studio, pubblicato su ‘Archives of Neurology’, fumare è associato ad un aumento del rischio di Sla (sclerosi laterale amiotrofica). “Circa il 90% dei casi della malattia” – nota anche come ‘malattia dei calciatori’, perché ha colpito negli anni numerosi giocatori – “è sporadico e di origine sconosciuta”, ricordano i ricercatori del team di Hao Wang dell’Harvard School of Public Health di Boston (Usa).Per mettere in luce i possibili legami tra sigarette e Sla i ricercatori hanno analizzato i dati di 5 studi a lungo termine, che coinvolgevano oltre 1,1 milioni di persone, di cui 832 con la sclerosi laterale amiotrofica, e un follow up da 7 a 28 anni. I tassi di Sla nei 5 studi aumentavano con l’età, ed erano più alti negli uomini. Inoltre, le persone che avevano fumano all’inizio dello studio sono risultate a maggior rischio di sviluppare la malattia rispetto a quanti non avevano mai acceso una sigaretta. In particolare, spiegano gli studiosi, per i fumatori il rischio di Sla è risultato più alto del 42%, mentre per gli ex addirittura del 44%. Il pericolo aumentava poi in relazione al numero di pacchetti e agli anni in cui si è fumato. E perfino un inizio molto precoce con pacchetto e accendino sembra aumentare il pericolo. “Sono diversi i possibili meccanismi attraverso i quali le sigarette possono influenzare il rischio di Sla”, fra questi un danno neuronale diretto da ossido nitrico o altri componenti del fumo, concludono i ricercatori. “Una migliore comprensione della relazione tra fumo e Sla potrebbe evidenziare la scoperta di altri fattori di rischio e aiutare a mettere in luce la natura della malattia”, concludono i ricercatori.
Roma, 16 feb. (Adnkronos Salute) – Scoperto da un team di ricercatori americani il primo candidato gene dell’autismo. Un ‘tassello’ del Dna sensibile agli ormoni sessuali. Questo potrebbe spiegare non solo i più alti livelli di testosterone rilevati in alcuni soggetti autistici, ma anche perché questa condizione è più diffusa negli uomini. Lo studio è firmato dai ricercatori della George Washington University (Usa) diretti da Valerie Hu.Al centro della ricerca c’è il gene Rora, che codifica per una proteina che agisce come super-interruttore per l’espressione genica, ed è cruciale nello sviluppo del cervelletto e in altri processi che risultano alterati nell’autismo. Nello studio il team ha scoperto che che l’aromatasi, una proteina regolata dal gene Rora, è ridotta nel cervello degli autistici. Un’informazione significativa, perché l’aromatasi converte il testosterone in estrogeno. “E’ noto che gli uomini hanno una maggior tendenza a soffrire di autismo rispetto alle donne; questa ricerca per la prima volta può fornire una spiegazione molecolare del perché ciò accade. Si tratta solo della punta dell’iceberg in termini di comprensione della biologia alle basi dell’autismo. Ma continueremo il nostro lavoro per scoprire un modo per comprendere, e un giorno, si spera, per combattere questo disordine del neurosviluppo”, conclude la studiosa.
Introduzione
Molti pazienti con disturbo di personalità borderline necessitano di terapia farmacologica nel corso della loro vita, ma rimane ad oggi incerta l’efficacia della farmacoterapia sugli organizzatori psicopatologici centrali di questo “modo di essere al mondo”.
La ricerca internazionale nell’ultima decade si è sempre più interessata a questo campo, focalizzandosi però soprattutto sui risultati ottenuti su specifici sintomi, in acuto.
L’articolo di Lieb K., Völlm B., Rücker G., Timmer A. e Stoffers J.M. sul British Journal of Psychiatry si è posto l’obiettivo di valutare le prove di efficacia della psicofarmacoterapia su differenti aspetti di questo disturbo di personalità, effettuando una review sistematica e una metanalisi dei trials farmaco vs placebo, farmaco vs farmaco e farmaco vs polifarmacoterapia pubblicati finora. Eseguendo la ricerca con parole chiave “borderline personality disorder” sui principali database di medicina e psicologia hanno ricavato 6525 riferimenti bibliografici, non duplicati. Di questi solo 51 rispondevano ai criteri d’inclusione, per un totale di 27 studi randomizzati, dal 1979 al 2008, che includono 17 trials in più rispetto alla precedente review Cochrane del 2006, che arrivava a considerare protocolli di ricerca fino al 2001. In totale sono stati valutati dati su 1714 partecipanti, adulti di entrambi i sessi.
La durata degli studi variava da 5 a 24 settimane, con una media di circa 12 settimane. Poco tempo per poter valutare cambiamenti duraturi. I criteri di esclusione più comuni nei protocolli sono stati la presenza, al momento dell’arruolamento, di disturbo psicotico, di disturbo bipolare, di disturbo depressivo, di disturbo da uso di sostanze e di ideazione suicidaria. Tutti disturbi frequentemente associati all’organizzazione borderline di personalità e che contribuiscono a renderne difficile la gestione nella pratica clinica.
I risultati di questa review si sono incentrati sulla valutazione di 4 cluster di sintomi principali:
- la disregolazione affettiva;
- i sintomi cognitivi e dispercettivi;
- l’area sintomatica discontrollo-impulsività;
- i “problemi nelle relazioni interpersonali”.
Per riuscire a rendere il più omogenei possibili i dati da confrontare, il rischio che si corre ancora nella ricerca in psichiatria è quello di essere costretti ad un’eccessiva semplificazione del quadro psicopatologico, a scapito dell’immediata traducibilità clinica dei risultati ottenuti.
Farmaco versus Placebo
Gli studi di comparazione farmaco vs placebo presi in esame riguardavano antipsicotici di prima e seconda generazione, equilibratori dell’umore, antidepressivi e omega-3.
Per quanto riguarda gli antipsicotici tradizionali, l’aloperidolo ha raggiunto livelli significativi di efficacia nella riduzione della rabbia e il flupentixolo decanoato nella riduzione del comportamento suicidario. Tra gli antipsicotici di seconda generazione,l’aripiprazolo è risultato ottenere effetti significativi sia sulla riduzione dei sintomi psicopatologici peculiari del disturbo di personalità borderline, sia sul miglioramento dei sintomi comunemente associati (depressione, ansia, severità psicopatologica generale). L’olanzapina ha raggiunto significatività nella riduzione dell’instabilità affettiva, dell’ansia, della rabbia, dei sintomi psicotici, ma i risultati sono apparsi contraddittori e poco consistenti riguardo alla riduzione dell’ideazione suicidaria. Lo ziprasidone, negli studi fin qui pubblicati, non ha raggiunto la significatività per il disturbo borderline sui sintomi presi in considerazione da questa review.
Tra gli equilibratori dell’umore, sono stati trovati effetti significativamente benefici del valproato, della lamotrigina, del topiramato, ma non altrettanto per la carbamazepina. Il valproato ha mostrato effetti positivi nella riduzione delle problematiche interpersonali (concetto abbastanza vago, “interpersonal problems” secondo gli autori) e nel miglioramento della depressione e della rabbia. La lamotrigina è risultata significativamente superiore al placebo nella riduzione dell’impulsività e della rabbia. Il topiramato ha mostrato effetti significativi sulle problematiche interpersonali e l’impulsività; effetti positivi anche sulla rabbia, l’ansia e su indici di severità psicopatologica generale.
Per quanto riguarda i farmaci antidepressivi, nel disturbo borderline di personalità sono state evidenziate solo poche prove di efficacia. Sulla riduzione della sintomatologia depressiva in questo disturbo di personalità è risultato più significativo, in questa review, l’antidepressivo triciclico amitriptilina. Non sono stati rilevati effetti significativi per mianserina, fluoxetina, fluvoxamina e fenelzina con gli strumenti di rilevazione utilizzati. Gli antidepressivi rimangono indicati solo in caso di compresenza di episodio depressivo maggiore o altro disturbo depressivo comparabile.
Gli omega-3 sono risultati efficaci nella riduzione del comportamento suicidario e dei sintomi depressivi in uno studio controllato su 49 persone con diagnosi di disturbo borderline.
Farmaco versus Farmaco
Il confronto tra molecole di differente classe e con diversi obiettivi terapeutici è, a mio avviso, fonte di confondimento. Riporto comunque i risultati della review.
Due antidepressivi sono stati comparati con l’antipsicotico di prima generazione aloperidolo:
l’amitriptilina non ha mostrato significative differenze, mentre la fenelzina è risultata superiore all’aloperidolo nella riduzione di depressione, ansia e indici di severità psicopatologica generale.
Il confronto tra l’antipsicotico di seconda generazione olanzapina e l’antidepressivo fluoxetina non ha portato a differenze significative sul piano psicopatologico, col metodo di rilevazione utilizzato dagli studi attualmente pubblicati e considerati dalla review.
Lascia interdetti il fatto che molecole così diverse possano risultare in qualche modo “equivalenti” sulla multiforme problematica psicopatologica del disturbo borderline, rilevata e “misurata” da test parametrici accettati per la ricerca in psichiatria dalla comunità scientifica e dalle riviste internazionali.
Farmaco versus Polifarmacoterapia
Non è risultata alcuna differenza significativa tra l’effetto dell’olanzapina e della fluoxetina, usate singolarmente e usate in combinazione.
Discussione
Gli autori stessi mettono in evidenza alcune evidenti vulnerabilità degli attuali risultati della ricerca in psichiatria sul disturbo borderline di personalità.
Non esistono ad oggi prove di efficacia su fenomeni psicopatologici cruciali nel disturbo borderline, come i comportamenti esasperati per evitare un abbandono reale o immaginario, i sentimenti cronici di vuoto, l’instabilità dell’identità, i fenomeni dissociativi. Questo secondo gli autori avviene per non aver utilizzato negli studi sperimentali strumenti di rilevazione della psicopatologia “disturbo-specifici“. Inoltre questi fenomeni psicopatologici più specifici e più nucleari sono quelli meno facilmente curabili con interventi esclusivamente farmacologici, mentre sono più trattabili con la psicoterapia. Mancano però sufficienti studi su cure farmacologiche e psicoterapeutiche integrate. Questo è certamente un indirizzo di ricerca di urgente attualità, ma estremamente difficile da realizzare, perché i parametri e le variabili da valutare sono davvero complessi (come del resto è complicata la presa in carico e la cura di persone con questo disturbo).
Quando si leggono i risultati di questa prestigiosa review, ci si rende conto che per poter avere un’immediata applicabilità clinica mancano dati solidi su troppe variabili.
Nella pratica clinica è inevitabile per la scelta del farmaco tenere in considerazione la situazione di salute biologica, la compresenza di malattie organiche e infettive, il rapporto col corpo del soggetto in cura. In questo senso è essenziale nella pratica clinica valutare l’impatto psicologico dell’aumento di peso causato da alcuni farmaci, o gli effetti sul metabolismo e sulla funzionalità epatica. Inoltre mancano ancora dati consistenti su molte altre molecole di antidepressivi, neurolettici di seconda generazione ed equilibratori dell’umore.
Spesso i protocolli di ricerca hanno criteri di esclusione selettivi, che escludono i pazienti più gravi o con concomitanti disturbi in Asse I – come i disturbi dell’umore o i disturbi da uso di sostanze – tagliando fuori, così, un vasto numero di persone con disturbo borderline, che si incontrano frequentemente nell’attività clinica quotidiana, e rendendo di difficile applicazione i risultati, “troppo puri”, così ottenuti. La tendenza alla dipendenza da sostanze, al sovradosaggio e all’intossicazione volontaria nel disturbo borderline rende scarsamente utilizzabili molte molecole nella pratica quotidiana (per esempio i triciclici o i sedativo-ipnotici).
La polifarmacoterapia per questo disturbo sarebbe, nei limiti del possibile, da evitare, dato che attualmente non ci sono prove evidenti di maggiore efficacia.
Inoltre, la durata media degli studi è troppo bassa per poter risultare indicativa dell’efficacia a lungo termine in un disturbo che tipicamente richiede tempi di trattamento lunghi. Il trattamento farmacologico andrebbe protratto per il tempo necessario a valutarne i benefici e andrebbe interrotto qualora non vi fosse un effetto benefico evidente.
Periodi di osservazione più lunghi, l’identificazione di strumenti di valutazione, ampiamente condivisi, specifici per il “core” fenomenologico e gli aspetti psicopatologici fondamentali del disturbo in esame e di metodi più mirati di rilevazione delle tante variabili in campo migliorerebbero la validità e l’applicabilità dei risultati ottenuti dalla ricerca in psichiatria.
Testo a cura di:
Massimiliano Pomponi MD, PhD, Psichiatra, Psicoterapeuta – Istituto di Psichiatria e Psicologia Clinica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico “A. Gemelli” – Roma
Gentile dottoressa Grossi, sono un accanito fumatore consapevole dei rischi che corro ogni volta che mi accendo una sigaretta. Quindi sono assolutamente cosciente che devo interrompere sia per problemi di salute ovviamente, ma anche per problemi economici. Ma proprio non ci riesco!!! Ho provato più volte a smettere, ma sempre con scarsi risultati. Una volta sono stato 15 giorni senza toccare una sigaretta ma poi, la tentazione è stata forte e ho ripreso. Mi aiuti. È possibile smettere?
Lettera firmata
Buongiorno Signor “Accanito Fumatore”, leggo tra le righe della sua lettera da una parte, un po’ di giusta disperazione, ma dall’altra un forte desiderio di smettere accompagnato da una grande consapevolezza. Siamo quindi un bel passo in avanti. Motivazione e consapevolezza. Questo è il segreto! Quanto forte la sua motivazione? Parte tutto da lì. La nicotina, come ben saprà, è una sostanza che crea fisicamente dipendenza.. và ad incidere su circuiti cerebrali che attivano di conseguenza dei meccanismi di piacere e benessere (rinforzo allo stimolo ) che inducono il fumatore a ripetere l’esperienza. Il fumo infatti non è un vizio, né un’abitudine, ma è una vera e propria malattia, “Dipendenza da tabacco”. Come ogni forma di dipendenza, perché il tabagismo lo è, al momento della privazione si creano veri e propri stati di astinenza, con tutte le caratteristiche tipiche di questa fase: nervosismo, rabbia, frustrazione, desiderio irrefrenabile di accendere un’altra sigaretta, mancanza di concentrazione , irrequietezza ecc, ecc. E questa rappresenta un buona scusa per chi, come lei, accanito fumatore, attribuisce la colpa della dipendenza alla sostanza, scaricandosi tutte le responsabilità. Mi dispiace smontare questa teoria, in quanto la dipendenza fisica dura solo per diversi giorni ovvero il tempo utile all’organismo per disintossicarsi, dopodiché la dipendenza sta nella nostra testa e a questo punto è nostra responsabilità darsi da fare per affrontarla e combatterla. Dobbiamo esser noi attivi!
Ma come si fa a gestirla? Ma soprattutto che funzione ha la sigaretta? La sigaretta, così come in ogni forma di dipendenza, rappresenta un palliativo, apparente, all’ ansia. Dico apparente perché noi ci convinciamo che la sigaretta ci fa rilassare: se da un lato potrebbe essere chimicamente così, dall’altro diciamo che diventa una nostra grande e irrinunciabile convinzione. Io dico che se imparassimo, tra le altre cose, a gestire l’ansia, di conseguenza si potrebbe imparare anche ad utilizzare alternative, più funzionali.
Visto che parliamo di dipendenza da una sostanza, come lei ben saprà, esistono rimedi farmacologici (cerotti, gomme ecc, ) che permettono un’assunzione di nicotina in minor dosi per un periodo di tempo limitato. Ma esistono ovviamente anche rimedi comportamentali e psicologici. È bene comunque prendere sul serio il proprio desiderio di smettere di fumare e intervenire facendosi aiutare da specialisti competenti. Per la dipendenza dal fumo, così come per le altre dipendenze, esistono degli efficaci programmi di rilassamento per la gestione dell’ansia, da una parte, di automonitoraggio per raggiungere maggior consapevolezza dall’altra, rimedi alternativi da scegliere e decidere insieme allo specialista. Tanto per iniziare semplici e utili consigli:
-
stabilire la data precisa in cui si intende smettere di fumare
-
comunicarla ai familiari e agli amici
-
programmare le giornate immediatamente successive alla data di cessazione
-
non frequentare luoghi in cui si fuma o persone che fumano
-
buttare tutti i pacchetti di sigarette che si hanno
-
lavare per bene la macchina e ripromettersi di non affumicarla più
-
fare una pulizia dei denti
-
quando viene la voglia di fumare cercare una persona che non sopporta il fumo e/o lavarsi i denti
Si può smettere di fumare basta volerlo davvero!
Dott.ssa Irene Grossi, psicologa di Mens Sana
Mens Sana ha messa a punto un programma destinato a chi ha una dipendenza da nicotina e vuole smettere di fumare. Trovate tutte le informazioni a questo link
MENS-SANA
Siamo nati come associazione di professionisti nel marzo 2009, dopo un lungo periodo passato ad osservare, a curare e capire la vita delle persone che soffrono di disturbi mentali. E’ stato subito abbastanza chiaro che, nel caso della mente, quello che può far diventare malattia una serie di sintomi, di comportamenti o di modi di pensare è il disagio che la persona vive ogni giorno. Parlare con i familiari e con le persone che vivono insieme a queste persone… (leggi tutto)
SERVIZI
ULTIMI ARTICOLI
- Aperte le iscrizioni per i tirocini post laurea de “La Sapienza”
- Come affrontiamo la fase 2: sicurezza garantita per pazienti e operatori
- Le sedi di Mens Sana restano aperte, terapie anche online
- Depressione e insonnia: due disturbi entrambi da trattare
- Stefano Cucchi lo ha ucciso il proibizionismo
- I benefici del litio nei giovani con Disturbo Bipolare
- Il numero di pazienti trattati con la tDCS continua a crescere
- Ansia e Attacchi di Panico