ossessione

“Non potevo fare niente senza rituali. Hanno invaso ogni aspetto della mia vita. Il contare mi ha veramente bloccato. Mi lavo i capelli tre volte anzichè una volta sola, perché tre è un numero che porta fortuna. Mi ci vuole molto tempo per leggere perché devo contare le righe di un paragrafo. Quando imposto la mia sveglia di notte, devo impostarla su un numero che non sia ‘cattivo’. ” Caterina – 19 anni

“Sapevo che i rituali non avevano senso, e mi vergognavo profondamente di loro, ma non riuscivo a superarli fino a quando ho cominciato la terapia”. Carlo – 36 anni

“Vestirsi di mattina è sempre stato duro, perché avevo una routine, e se non seguivo la routine, sarei diventata ansiosa e avrei cominciato a vestirmi da capo. Avevo sempre paura che se non avessi fatto qualcosa, i miei genitori sarebbero morti a breve. Mi piacerebbe non avere questi pensieri terribili di poter danneggiare i miei genitori. Sono completamente irrazionali, ma i pensieri m’innescano più ansia e comportamenti più insensati. A causa del tempo che ho trascorso con i rituali, non sono riuscita a fare un sacco di cose che erano importanti per me.” Valentina – 22 anni

Le persone con disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) hanno persistenti e fastidiosi pensieri (ossessioni) e utilizzano rituali (compulsioni) per controllare l’ansia che questi pensieri producono. La maggior parte delle volte, i rituali finiscono per controllare loro.

Per esempio, se le persone sono ossessionate da germi o sporcizia, possono sviluppare una coazione a lavarsi le mani più e più volte. Se sviluppano una ossessione per gli intrusi, possono bloccare e chiudere a chiave le porte molte volte prima di andare a letto. La paura dell’imbarazzo sociale può indurre le persone con DOC a pettinarsi i capelli compulsivamente di fronte a uno specchio a volte tanto da essere “catturati” dallo specchio e non potersi più allontanare da esso. L’esecuzione di tali rituali non è piacevole. Nel migliore dei casi, produce un sollievo temporaneo dall’ansia creata dai pensieri ossessivi.

Altri rituali comuni sono la necessità di controllare ripetutamente le cose, toccarle (soprattutto in una particolare sequenza), o contarle. Alcune ossessioni comuni includono avere pensieri frequenti di violenza e di danneggiamento delle persone care, pensare persistentemente di compiere atti sessuali con persone che non apprezzano, o avere pensieri che sono vietati dal loro credo religioso. Le persone con DOC possono anche essere preoccupate per l’ordine e la simmetria, hanno difficoltà a buttare le cose (finedo così per accumularle), o tendono ad accumulare oggetti non necessari.

Anche le persone sane hanno anche rituali, come ad esempio il controllare se la stufa è spenta più volte prima di uscire di casa. La differenza è che le persone con DOC effettuano i loro rituali, anche se il farlo interferisce con la vita quotidiana e nonostante trovino la ripetizione angosciosa. Sebbene la maggior parte degli adulti con DOC riconoscono che quello che stanno facendo è privo di senso, alcuni adulti e la maggior parte dei bambini non riescono a rendersi conto che il loro comportamento è fuori dal comune.

Il DOC colpisce circa 2 milioni di Europei adulti e il problema può essere accompagnato da disturbi del comportamento alimentare, altri disturbi d’ansia, o depressione. Colpisce uomini e donne in numero approssimativamente uguale e di solito appare durante l’infanzia, l’adolescenza o la prima età adulta. Un terzo degli adulti con DOC sviluppa sintomi sin da bambino e la ricerca indica che il DOC potrebbe avere una familiarità.

Il decorso della malattia è molto vario. I sintomi possono andare e venire, diminuire nel tempo, o peggiorare. Se il DOC diventa grave, una persona può arrivare a smettere di lavorare o di svolgere i normali lavori di casa. Le persone con DOC cercano spesso di aiutare se stessi, evitando situazioni che scatenano le loro ossessioni, oppure possono usare alcool o droghe per calmarsi.

Il DOC di solito risponde bene al trattamento con determinati farmaci e/o alla psicoterapia in cui le persone devono affrontare le situazioni che causano paura o ansia diventando meno sensibili (desensibilizzati) a queste. Negli Stati Uniti e in Europa molti ricercatori stanno studiando nuovi metodi di trattamento per le persone con un disturbo ossessivo compulsivo che non risponde bene alle terapie usuali. Questi approcci includono combinazioni di farmaci diversi, così come la stimolazione cerebrale profonda.

 

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Scoperto un importante interruttore genetico della depressione. Il gene identificato dai ricercatori dell’università di Yale, negli Usa, sembra infatti svolgere un ruolo chiave nell’insorgenza della malattia e rappresenta un bersaglio promettente per una nuova classe di farmaci. Lo studio è pubblicato su ‘Nature’.I sintomi della depressione variano tantissimo da persona a persona, e trovare una causa scatenante ha rappresentato per gli scienziati, da sempre, un puzzle difficile da comporre. Si ritiene che numerosi processi biologici siano coinvolti nei disturbi depressivi più gravi e questa spiega perché i pazienti rispondono diversamente agli antidepressivi comunemente prescritti, che agiscono sulla serotonina. Il team americano, coordinato dallo psichiatra e farmacologo Ronald Duman, ha scannerizzato l’intero genoma in campioni di tessuto di 21 persone decedute, a cui era stata diagnosticata la depressione. E ha messo a confronto l’espressione genica con quella di 18 persone senza il disturbo. Ebbene, il gene Mkp-1 era espresso più del doppio nel tessuto cerebrale dei depressi. Una scoperta “eccitante” per i ricercatori, dal momento che il gene inattiva un insieme di molecole cruciale per la sopravvivenza e l’attività dei neuroni. Se Mkp-1 viene ‘spento’, come ha verificato l’equipe sui topi, le cavie diventano resilienti allo stress, senza subirne le conseguenze. Viceversa, se il gene è attivo, i roditori sviluppano sintomi simili alla depressione.

Da Adnkronos Salute

mindfulnessA cura della Dott.ssa Manuela Cantagallo, responsabile Mindfulness per Mens Sana

LA SOFFERENZA DEL VIVERE

Molto spesso usiamo la frase “sono stressato/a” quando ci sembra che la vita ci chieda troppo. I figli da prendere a scuola e da portare in piscina/danza/calcio, la cena da preparare, la casa da riassettare, e poi il lavoro in ufficio, con quei colleghi non proprio simpatici, il capo che non capisce le nostre esigenze, oppure la mancanza di lavoro stesso, la precarietà del futuro, il desiderio di uscire di casa e non poterlo realizzare. La società che ci obbliga ad essere sempre al passo con i tempi, con l’ultima moda, con la tecnologia….anche quando ancora non abbiamo ben compreso quella vecchia. Sono tutte cose che possono “stressare”, che possono farci ammalare.
Quante volte ci sarà capitato di sentir mancare il respiro, di avere continui mal di testa, gastriti, dolori alla schiena? Quante volte abbiamo avuto il desiderio di fare qualcosa di bello, di diverso, ma non avere l’energia per farlo? Un aiuto a risolvere tutti questi problemi ce lo può dare la MINDFULNESS.

MINDFULNESS

Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn, Mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante” (1994, p. 63).
La Midfulness  è una meditazione particolare, che prende spunto dalla pratica meditativa vipassana, che significa “chiara visione”. Si riferisce quindi alla possibilità di avere una comprensione profonda di ciò che accade nel mondo, nel momento stesso in cui avviene, senza lasciarci trascinare dagli eventi stessi.

La Mindfulness non è semplicemente una tecnica da apprendere, ma un vero e proprio modo di vivere attraverso il quale si raggiunge la consapevolezza del proprio essere, nel mondo e con se stessi, e della propria vita. La Mindfulness nasce come meditazione, ma pian piano ci si accorge che, più la si pratica, più cambia il proprio modo di vivere. Tutto acquista un valore diverso, e si apprende la capacità di discernere cosa è importante e cosa si può abbandonare, a cosa si può dedicare tempo in modo fruttuoso per voi e gli altri, e cosa lasciare andare, come una barca lungo un fiume.

Mindfulness consiste nella pratica della meditazione, la cui essenza è prestare attenzione al momento presente, alla propria esperienza, in un stato di autentica calma non reattiva agli agenti esterni. Ma non crediate che sia così facile, o che non dobbiate impegnarvi a fondo e seriamente:
la meditazione richiede tempo, energia, determinazione, fermezza e disciplina. Kabat-Zinn suggerisce che il modo più facile ed efficace per iniziare la pratica di meditazione è quello di osservare il respiro, concentrare su di esso la nostra attenzione e vedere che cosa succede mentre cerchiamo di conservarla. L’idea fondamentale è mantenere la consapevolezza delle sensazioni che accompagnano il respiro in quel particolare punto del corpo (narici, petto o pancia), momento dopo momento. In questo modo, si allena la mente ad essere attenta al momento presente e meno distratta dalla realtà, e nello stesso tempo si impara ad accettare e coltivare ogni istante così come viene, accrescendo la propria capacità naturale di concentrazione.

DA SOLI E IN GRUPPO

Possiamo praticare la Mindfulness da soli, a casa nostra, meglio è farlo in gruppo, almeno per i primi tempi. Il gruppo sarà formato da persone in grado di essere consapevoli anche nella vita quotidiana, in grado di incoraggiarci nel nostro nuovo modo di essere nel mondo. Ci incontreremo una volta a settimana, una volta al mese, a seconda delle esigenze del gruppo stesso. Essere nel gruppo ci aiuterà ad uscire fuori da noi stessi per entrare in come con gli altri, in un reale incontro lontano dai nostri soliti schemi. “La presenza di altri praticanti equivale alla presenza di molte campane di consapevolezza” (Thich Nhat Hanh, 1992, p. 110).

PERCHE’ LA MINDFULNESS FUNZIONA

Il fondamento della cura sta quindi nel distanziamento attraverso la consapevolezza profonda, la mindfulness, da ciò che avevamo creduto reale. Ciò che ci rende “liberi”, in fondo, è proprio la possibilità, attraverso la meditazione, di disidentificarci dai nostri contenuti mentali, che sono solo contenuti, appunto, e non il nostro pieno essere. I pensieri sono solo pensieri, non fatti (Montano, 2007, p. 29).

EVIDENZE CLINICHE

Il metodo di addestramento alla Mindfulness  più citato è il programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR). Kabat-Zinn (1982), a quel tempo era direttore dell’University of Massachussets Medical Center e introdusse la meditazione Mindfulness nel  programma medico di tutti quei pazienti affetti da dolore cronico che non avevano ottenuto miglioramenti. Al termine del programma, i partecipanti mostrarono una riduzione media del 33% dell’indice del dolore. Attualmente, l’MBSR viene usata con successo nei seguenti disturbi:

  • Dolori cronici
  • Malattie cardiovascolari
  • Cancro
  • Malattie polmonari
  • Ipertensione
  • Cefalea
  • Disturbi del sonno

Presso i nostri centri potrai trovare sperimentare anche tu la Mindfulness. Manda una email a info@mens-sana.biz per ulteriori informazioni e iscrizioni.

Questo servizio è rivolto a tutte le persone che hanno problemi di dipendenza da alcol e altre sostanze (cocaina, eroina, cannabis, ecc), di tutte le età.

Prima fase – Accoglienza e valutazione

Il primo appuntamento viene fissato attraverso la segreteria in un breve periodo di tempo (massimo una settimana di attesa). La valutazione viene effettuata dal nostro psichiatra esperto in dipendenze, per stimare la gravità del disturbo e le eventuali altre problematiche che possono essere causa o aggravare la dipendenza (ansia, depressione, solitudine, stress). Vengono somministrati dei test, per approfondire aspetti della personalità, abitudini di vita, e caratteristiche dell’assunzione dell’alcol o di altra droga. In questa fase, se il paziente è d’accordo, viene ascoltata anche la famiglia, per valutare l’entità dei conflitti familiari correlati alla sostanza.
Ottenute queste informazioni anamnestiche, l’equipe di specialisti sarà in grado di formulare un adeguato progetto terapeutico multidisciplinare.

Seconda fase – Valutazione medica

Soprattutto per l’alcol, ma anche per molte altre sostanze, è necessario monitorare le condizioni fisiche del paziente: la situazione epatologica, pancreatica, cardiaca e del sistema nervoso centrale e periferico possono essere danneggiate e il nostro trattamento mira anche a risolvere i danni fisici e biologici provocati dalle sostanze d’abuso. Per questo la nostra equipe è formata da altri medici specialisti di varie branche, che sanno trattare le patologie correlate.

Terza fase – Trattamento intensivo di disintossicazione

In questa fase viene affrontata l’astinenza, ovvero la totale cessazione dell’uso della sostanza. Il paziente viene monitorato assiduamente e vengono prescritte terapie farmacologiche per la gestione degli eventuali sintomi di astinenza. In caso di necessità il paziente può essere inviato per questo breve periodo in una struttura che offre la possibilità di un ricovero, come una clinica convenzionata.

Quarta fase – Trattamento di mantenimento

Questa è la fase più importante. Il paziente, grazie ai nostri psicologi esperti, viene aiutato ad aumentare la sua motivazione ad affrontare il problema e successivamente viene avviato alla psicoterapia cognitivo comportamentale specifica per le dipendenze. Qui imparerà a capire i motivi della sua dipendenza, a conoscere meglio le proprie emozioni, a far fronte al desiderio di bere o assumere la sostanza e, ancora più importante, a imparare tecniche e sviluppare pensieri alternativi, utili strumenti per evitare le ricadute. Inoltre continueranno le visite periodiche con lo psichiatra e con gli altri medici, per correggere gli eventuali problemi connessi alla dipendenza. In questa fase comincerà anche la terapia di gruppo, utile per migliorare la capacità d’espressione ed esternare i propri pensieri e timori, per imparare dagli altri e sostenersi l’un l’altro in questo cammino verso una nuova vita.

Quinta fase – Follow up

Il paziente non viene abbandonato dopo essersi liberato dalla sostanza d’abuso. La ricaduta può essere in agguato. La gran parte dei nostri pazienti smette con la dipendenza, ma solo se continua a seguire periodicamente dei controlli (una sorta di richiami di un vaccino speciale) può garantirsi una vita libera. Per questo i pazienti sono esortati a mettersi in contatto con gli specialisti che lo hanno seguito (via telefono, email, skype o videoconferenza) in caso di necessità e vengono programmati dei controlli durante l’anno per valutare come prosegue la vita del paziente.

Per maggiori informazioni o semplicemente per un consiglio potete inviare una email a info@mens-sana.biz.
Per fissare un primo incontro potete telefonare allo 06 8339 0682.

attacco-di-panico

Bimbi stressati come i grandi e malati come loro. Sempre più multitasking, divisi fra le ore passate sui banchi e le attività extrascolastiche, ai piccoli del Belpaese ‘scoppia’ la testa: dagli anni ’80 i casi pediatrici di cefalea sono aumentati di oltre il 60%. Parola del neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza Vincenzo Guidetti, presidente della Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc) che si riunirà in congresso a Caserta dal 30 settembre al 3 ottobre. Oggi a Milano per presentare il 24esimo meeting nazionale Sisc, l’esperto ricorda che “il mal di testa è il disturbo più frequente tra i giovanissimi”. Lo sperimenta il 30% circa dei bambini e adolescenti italiani e “nell’80% dei casi le cause scatenanti sono emotive”, precisa lo specialista, direttore del Dipartimento di scienze neurologiche e psichiatriche dell’età evolutiva all’università La Sapienza di Roma.”L’introduzione del tempo pieno nella scuola, l’aumento delle madri lavoratrici che trascorrono quindi meno tempo con i propri figli e l’incremento delle separazioni”. Sono questi, secondo alcuni studi europei, alcuni degli elementi sociali all’origine del boom di mal di testa fra i bambini. Oltre alla cosiddetta cefalea muscolo-tensiva (mal di testa ‘a casco’), i bimbi possono soffrire anche di emicrania, con attacchi fin dall’età di 1-2 anni. Prima della pubertà i più vulnerabili sono i maschi, mentre poi le più colpite sono le femmine per ragioni ormonali. Prima, quinta elementare e prima media sono le classi più ‘decimate’ dal mal di testa. E se nel caso dell’emicrania pesa anche la familiarità (il figlio di due emicranici ha il 50-75% di probabilità di esserlo a sua volta), i medici enfatizzano i fattori ambientali, più di quelli genetici. “I bambini di oggi vivono in una società stressata e tendono a imitare gli atteggiamenti dei genitori”, osserva Guidetti. “Lo stesso fatto di andare a scuola, aspettarsi interrogazioni, dover affrontare una situazione nuova o semplicemente ritornare in classe dopo le vacanze può essere un fattore che scatena il mal di testa”. Lo specialista consiglia dunque a mamme e papà di non caricare i figli di troppe responsabilità o aspettative: “Non sottoporre il bambino allo stress di attività extrascolastiche imposte, per esempio attività sportive che li sovraffaticano. Impegnarsi invece a creare intorno a lui un ambiente sereno e dedicare loro più tempo”.

Da Adnkronos salute