assistenza psichiatricaPubblichiamo il testo della proposta di legge di riforma dell’assistenza psichiatrica, regolamentata oggi in Italia dalla legge 833/1978, “figlia” della cosiddetta “legge Basaglia”. Fra pochi giorni questa proposta di legge sarà votata e potrà diventare effettiva. Riteniamo che porti l’onere di trentadue anni passati senza mai una revisione della vecchia normativa, ma contiene dei punti oscuri sulle libertà personali del malato che discuteremo nei prossimi articoli.

DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
CICCIOLI,  BARANI,  BOCCIARDO, CASTELLANI, DI VIRGILIO, GAROFALO, MANCUSO, PALUMBO, PATARINO, PORCU, SALTAMARTINI, SCAPAGNINI

Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica

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Onorevoli Colleghi – Sono trascorsi ormai trent’anni dalla promulgazione della legge sull’assistenza psichiatrica, la famosa legge 13 maggio 1978, n. 180, recepita poi nella legge 23 dicembre 1978, n. 833. Le esperienze di questi decenni, sommate ai progressi della psichiatria sia nel campo terapeutico che assistenziale e riabilitativo, chiedono perentoriamente una revisione della normativa che disciplina l’erogazione di questo tipo di assistenza. In particolare risultano urgenti ed importanti:

1.   una migliore regolamentazione dei ricoveri in forma coatta nell’ambito dei quali dovrebbero essere previsti sia ricoveri vincolati all’emergenza clinica di tipo breve, sia ricoveri di tipo protratto connessi soprattutto all’esigenza di poter disporre dei tempi necessari per un costruttivo impegno in ambito terapeutico-riabilitativo;
2.   un approccio più vicino al modello medico, con il recupero dei concetti di prevenzione, cura e riabilitazione in base alle nuove risorse della moderna assistenza e con i suggerimenti provenienti dal progresso della medicina;
3.   una presa di coscienza sul fatto che la miglior assistenza può essere erogata con maggior rispetto delle esigenze, delle risorse e delle competenze regionali, adeguandosi alle modifiche della Costituzione.

Occorre inoltre colmare alcune lacune e prendere in considerazione alcuni aspetti che, non previsti o non ben tutelati dalla citata legge n. 180 del 1978, hanno caratterizzato questi ultimi anni di attività di chi lavora, ai vari livelli, in ambito psichiatrico, con frequente insorgenza di difficoltà operative e di problemi gestionali. Occorre, in altre parole:
1)   un’attenzione particolare per le categorie di utenti caratterizzati da fragilità sociale in senso sanitario;
2)   la presa d’atto della necessità per lo psichiatra di farsi carico di nuovi o dismessi campi di attività che, comunque, continuano ad appesantire la quotidianità dell’assistenza (in primis la psichiatria delle disabilità e l’etnopsichiatria ma, anche, la psichiatria implicata con la doppia diagnosi e le dipendenze patologiche correlate);
3)   il recepimento di prassi ormai consolidate da tempo in termini di esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO);

4)   un bilanciato coinvolgimento del Giudice Tutelare e del Sindaco nei casi di prolungamento della restrizione della libertà individuale;5)   la necessità di tenere presente quanto, su un piano etico, sia giusto riconoscere al paziente psichiatrico in termini di dignità ed autodeterminazione che devono essere salvaguardate anche in relazione alla patologia presentata. In questa ottica, dovendosi conciliare le esigenze dell’individuo con quelle dell’attività clinica, molto attuale risulta una proposizione di collaborazione medico-paziente, rispettosa dei diritti di quest’ultimo, ma duttile alle esigenze terapeutiche. Si tratta del contratto terapeutico vincolante per il proseguimento delle cure che ben si configura con la denominazione di «contratto di Ulisse»: esso vincola il paziente, originariamente d’accordo, a farsi seguire anche a prescindere da una volontà contraria, manifestata in una successiva fase della malattia. Il contratto terapeutico vincolante può essere compreso alla luce delle seguenti considerazioni:
a)   il consenso informato esprime il superamento della concezione paternalistica che in passato tradizionalmente (in base al principio di «beneficialità») ha caratterizzato il rapporto medico-paziente: al medico era totalmente delegata la potestà di cura e di scelta terapeutica;
b)   il principio di autodeterminazione riconosce il primato della persona sugli interessi della scienza e della società, nonchè il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di uguaglianza, autonomia e libertà dell’individuo quali espressioni di valori e principi universali ed inalienabili [si vedano il Codice di Norimberga, 1946; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina (adottata a Strasburgo il 19 novembre 1996; firmata dal Governo italiano ad Oviedo il 4 aprile 1997) che promuove la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni essere umano e, in particolare, della sua integrità psicofisica, nonché sancisce il principio dell’autonomia del soggetto interessato, quale espressione del diritto alla libertà e alla dignità della persona (articoli 1 e 5) e, in particolare, l’articolo 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo];
c)    il ribaltamento della precedente concezione giuridica che posponeva la persona umana ai superiori interessi dello Stato;
d)   il riconoscimento del primato e della supremazia dell’uomo assunto a valore etico in sé;
e)   il riconoscimento dell’uomo come fine di qualsivoglia azione di disciplina e di governo;
f)     il principio dell’inviolabilità della libertà personale è espresso solennemente dall’articolo 13 della Costituzione (intesa quale tutela del singolo dall’arbitrio dei pubblici poteri, sino a ricomprendere la libertà morale e la dignità della persona);
g)   la previsione della riserva di legge, operata dall’articolo 32 della Costituzione, per l’applicazione del TSO, rappresenta parziale deroga e, nel contempo, esplicita conferma del riconoscimento del diritto di autodeterminazione personale che si esprime quale possibilità di disposizione (nel rispetto dei limiti legislativamente previsti) in via esclusiva della propria integrità non soltanto fisica, ma, in senso più ampio, anche psichica e morale, in vista del libero sviluppo della persona;
h)   la centralità riconosciuta al principio di autodeterminazione (affermato ormai costantemente in giurisprudenza ed autorevolmente riconosciuto dal Comitato nazionale di bioetica), la cui cogenza giuridica è oggi rimarcata dall’acquisizione in Italia della Convenzione di Strasburgo, comporta una forte focalizzazione sulla indilazionabilità di un riconoscimento non solo bioetico, ma anche giuridico, delle «direttive anticipate» e di tutte quelle dichiarazioni ufficiali che esprimono apertamente ed in maniera non equivoca la volontà del soggetto. In mancanza di questo totale riconoscimento, si determinerebbe una limitazione del principio di autodeterminazione: il vincolarsi da soli, con precise disposizioni da far valere nei periodi critici, si è posto non solo per le patologie croniche irreversibili di carattere somatico, ma anche per alcune forme di disturbi psichici cronici con carattere remittente recidivante. Con tale strumento, definito dalla letteratura scientifica americana «contratto di Ulisse», sarebbe possibile gestire consapevolmente comportamenti patologici stabilendo disposizioni in merito alla propria ospedalizzazione o al trattamento con terapie specifiche da far valere anche per l’ipotesi che, nei periodi di crisi, si manifesti una volontà contraria;
6)   la conseguente ipotesi di un algoritmo operativo così strutturato:
a)   il paziente può essere accolto come volontario o come TSO;
b)   nel caso della volontarietà, il paziente può essere dimesso senza problemi;
c)    nel caso di ricovero con TSO, il paziente può:
1)      essere dimesso per cessazione del TSO;
2)      rimanere ricoverato come volontario, nonostante la cessazione del TSO;
3)      essere rinnovato nel TSO;
4)      essere trasformato in TSOP (trattamento sanitario obbligatorio prolungato) che, a sua volta, può essere rinnovato in trattamento volontario con o senza il vincolo del contratto di Ulisse;
7)   l’ampliamento della presenza psichiatrica nell’ambito dei Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA) finalizzato sia ad affrontare nel modo più rapido e adeguato le emergenze psichiatriche sia alla possibilità di prendere in carico tempestivamente il paziente, evitando ricoveri magari impropri che causano sovraccariche operativi per i servizi di psichiatria;
8)   l’offerta all’utenza di centri di ascolto ed orientamento specialistici che, in ambiti non psichiatrizzati, possano configurarsi come filtro delle varie esigenze sia dei possibili fruitori, direttamente interessati, sia dei loro familiari e degli eventuali care-giver, nel tentativo di evitare sviluppi di situazioni che possono raggiungere, altrimenti, anche momenti di drammaticità. L’attività di questi centri dovrebbe configurarsi non solo come consultazione per eventuali prese in carico ma anche come punto di riferimento per l’assistenza, l’informazione e la formazione di quanti si trovino a dover affrontare le problematiche del paziente psichiatrico;
9)   un doveroso riconoscimento, in termini di spazi consultivi e collaborativi, ai rappresentanti delle varie associazioni dei familiari dei quali troppo a lungo sono state trascurate non solo la voce ma anche le esigenze e le necessità.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1
Princìpi generali

1. Il Servizio sanitario nazionale (SSN), tramite le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, garantisce la promozione e la tutela della salute mentale del cittadino, della famiglia e della collettività attraverso i Dipartimenti di salute mentale (DSM) istituiti presso le Aziende sanitarie regionali.
2. Ogni DSM assicura direttamente o indirettamente le attività di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da disturbi psichici di qualsiasi gravità, attraverso l’integrazione di attività finalizzate alla continuità degli interventi psichiatrici per l’intero ciclo di vita della persona affetta da disturbo psichico.
3. È istituita un’Agenzia regionale presso l’Assessorato regionale alla sanità che, in collaborazione con l’Assessorato al lavoro ed alla previdenza sociale, si dedichi alla prevenzione ed alla programmazione socio-sanitaria, per la realizzazione, il coordinamento ed il monitoraggio delle attività dei DSM, che abbiano come aree di competenza la neuropsichiatria infantile, la psichiatria, la psicogeriatria, la psicologia e le dipendenze patologiche. Alle attività dell’Agenzia regionale sono chiamati a partecipare, oltre ai tecnici individuati dagli Assessori alla sanità ed al lavoro ed alla previdenza sociale, anche rappresentanti sia delle associazioni composte esclusivamente da familiari delle persone affette da disturbi psichici sia dei vari operatori della salute mentale.

Art. 2
Attività di prevenzione

1. Il SSN garantisce tutte le attività finalizzate alla prevenzione della salute mentale erogate dalle unità operative componenti il DSM in ambito scolastico, lavorativo e in ogni situazione socio-ambientale a rischio psicopatologico.
2. A livello regionale, sono predisposti dall’Assessore alla sanità i protocolli delle attività di prevenzione e di assistenza, da attivare in collaborazione con i tecnici ed i rappresentanti delle associazioni di familiari, di volontariato e di altre associazioni operanti nel settore, individuate dal medesimo Assessore.

Art. 3
Attività di cura

1. Le attività di cura psichiatrica prevedono la centralità operativa del DSM che eroga prestazioni assistenziali e sanitarie in ambito ospedaliero, territoriale, residenziale e semiresidenziale. Nelle competenze del DSM, oltre ai servizi previsti dal progetto obiettivo «Tutela salute mentale 1998-2000», approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 Novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22 novembre 1999, sono previsti quelli per la «doppia diagnosi» relativamente alle dipendenze patologiche ed alle disabilità, tenendo conto anche del DPCM del 21.03.2008.
2. Il DSM coordina le proprie attività indirizzate al trattamento della psicopatologia di persone caratterizzate da fragilità sociale di interesse sanitario e di quelle appartenenti ad altri contesti etnici con le attività svolte dagli altri servizi sociali e sanitari presenti sul territorio.
3. Viene garantita alla persona con disturbi psichici la libertà di scelta del medico e del luogo di cura compatibilmente con i limiti oggettivi dell’organizzazione sanitaria e con le strutture in grado di offrire un trattamento adeguato allo stato di salute psichica e fisica dell’interessato.
4. Ogni Regione assicura nell’area di accettazione ed emergenza all’interno degli ospedali sede di servizio di psichiatria, uno spazio per gli interventi urgenti, per le emergenze e per le osservazioni psichiatriche; vengono inoltre istituite équipe mobili per le realtà metropolitane identificate dalla Regione, nonché per interventi urgenti a livello territoriale e domiciliare. È altresì assicurato, per ogni Azienda sanitaria locale, un centro di ascolto e di orientamento specialistico, finalizzato alla raccolta di richieste provenienti da pazienti, familiari, istituti ed istituzioni e strutturato in modo tale da poter fornire adeguate e tempestive indicazioni per risolvere problematiche specifiche.
5. Il DSM è organizzato in modo da poter svolgere funzioni assistenziali e sanitarie in ambito ospedaliero, domiciliare, territoriale, residenziale e semiresidenziale. Il DSM presta assistenza al malato in fase di acuzie e garantisce la presa in carico successiva al ricovero o alla consultazione attraverso un contratto terapeutico con il paziente o il suo rappresentante legale e, ove opportuno, con i familiari che convivono con il malato o che si occupano in modo continuativo dello stesso, fatta eccezione per le condizioni di accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e di trattamento sanitario obbligatorio (TSO).
6. L’ASO è proposto da un medico del SSN. I DSM devono prevedere strutture idonee, preferibilmente presso la sede del Dipartimento di emergenza e accettazione (DEA), ad una osservazione clinica che non superi le quarantotto ore di degenza, al termine delle quali sono segnalate al paziente e al medico curante le conclusioni cliniche riguardanti la successiva assistenza da erogare al paziente.
7. Il TSO per malattia mentale dura 30 giorni e si applica con la procedura di cui all’art. 35 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978. Le condizioni che hanno dato origine al TSO devono essere verificate per iscritto ogni sette giorni. Il TSO può essere interrotto ove il paziente non presenti più le suddette condizioni. Qualora tali condizioni permangano, invece, il TSO può essere rinnovato per altri trenta giorni ed ulteriori. Il TSO può essere effettuato:
a)   in condizione di degenza ospedaliera, nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura, secondo quanto previsto nell’art. 34 della legge n. 833 del 23 dicembre 1978;
b)   presso altri centri accreditati rispetto a quelli di cui alla lettera a);
c)    presso il domicilio del paziente, qualora sussistano adeguate condizioni di sicurezza per lo stesso e per la famiglia.
8. Il TSO si effettua oltre che nei casi previsti nell’art. 34 della legge 833 del 23 dicembre 1978:
a)   quando esistano condizioni cliniche che richiedano un urgente trattamento terapeutico;
b)   quando non vi siano diverse possibilità di trattamento, anche in relazione al contesto di vita del paziente ed al suo livello di autonomia;
c)    quando l’assenza di trattamento sanitario comporti comunque un serio rischio di aggravamento per la tutela della salute del malato, non essendo il paziente cosciente della malattia e rifiutando gli interventi terapeutici.
9. Il TSO deve essere preceduto dalla convalida della proposta, di cui al terzo comma dell’articolo 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, da parte di uno psichiatra del DSM. In attesa del provvedimento con il quale il Sindaco dispone il TSO, il paziente, quando se ne ravvedano le condizioni di urgenza, può essere accompagnato al DEA, dove è previsto lo spazio per gli interventi urgenti e le osservazioni psichiatriche. La proposta del TSO deve contenere le motivazioni che inducono all’intervento e la sede di attivazione delle stesse.
10. Il procedimento relativo all’ASO ed al TSO, nonchè la tutela giurisdizionale di tali procedimenti, sono regolati dall’articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
11. È istituito il trattamento sanitario prolungato (TSOP) senza consenso, finalizzato al ricovero di pazienti che necessitano di cure obbligatorie per tempi protratti in strutture diverse da quelle previste per i pazienti che versano in fase di acuzie, nonché ad avviare gli stessi pazienti ad un percorso terapeutico-riabilitativo di tipo prolungato. Il TSOP ha una durata di sei mesi e può essere interrotto o ripetuto. Il TSOP è un progetto terapeutico prolungato, formulato dallo psichiatra del DSM in forma scritta, con la quale sono motivate le scelte terapeutiche vincolate e non accettate dal paziente a causa della sua patologia, disposto dal Sindaco entro 48 ore dalla trasmissione del progetto da parte del DSM ed approvato dal Giudice Tutelare. Il TSOP è finalizzato alla possibilità di vincolare il paziente al rispetto di alcuni princìpi terapeutici quali l’accettazione delle cure e la permanenza nelle comunità accreditate, per prevenire le ricadute derivanti dalla mancata adesione ai programmi terapeutico-riabilitativi. Nel corso del trattamento sono disposte azioni volte ad ottenere il consenso del paziente al programma terapeutico e la sua collaborazione. Lo psichiatra responsabile del progetto che motiva il TSOP verifica periodicamente l’andamento del progetto e presenta al Giudice Tutelare un aggiornamento sull’andamento dello stesso, almeno ogni tre mesi. Il TSOP può prevedere esclusivamente le limitazioni della capacità o libertà di agire del paziente espressamente specificate dal Giudice Tutelare in sede di approvazione del progetto del TSOP medesimo. In caso di gravi o protratte violazioni del progetto, è effettuata apposita comunicazione al Giudice Tutelare il quale, su proposta dello psichiatra, provvede alle modifiche necessarie o alla sospensione del TSOP.
Il Giudice Tutelare nomina per la persona sottoposta al TSOP un amministratore di sostegno.
12. Qualora sia presente la volontarietà, si può ricorrere ad un contratto terapeutico vincolante per il proseguimento delle cure, che preveda il mantenimento degli accordi intercorsi tra il paziente, i suoi familiari eventualmente coinvolgibili e lo psichiatra del DSM cui spetta lo sviluppo del programma terapeutico-riabilitativo del paziente. Il contratto terapeutico vincolante può sostituire il TSOP, dopo che ne sia stata data comunicazione al Sindaco e al Giudice Tutelare, che può revocare la nomina dell’amministratore di sostegno. Il DSM è responsabile della corretta erogazione delle terapie previste dal contratto terapeutico vincolante e dell’adesione allo stesso da parte sia delle persone preposte alla cura che del paziente.
13. Nei casi in cui il paziente, dopo aver sottoscritto il contratto terapeutico vincolante, rifiuti ugualmente le terapie ivi illustrate, lo psichiatra curante del DSM, ove riscontri che il dissenso del paziente non sia informato, consapevole, autentico ed attuale ne dà atto in una relazione che deve essere trasmessa al Sindaco ed al Giudice Tutelare. Nella relazione dello psichiatra deve essere indicato anche il percorso terapeutico ritenuto idoneo per la tutela della salute del paziente.

Art. 4
Attività di riabilitazione

1. Il DSM assicura le attività riabilitative psico-sociali con gestione, sia diretta che indiretta, nelle seguenti strutture:
a)   strutture ambulatoriali, anche con interventi domiciliari;
b)      strutture residenziali, quali presìdi di riabilitazione intensiva o estensiva, a ciclo diurno o continuativo e residenze sanitarie assistite (RSA);
c)       strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio-assistenziale.
2. Il DSM attua il reinserimento del paziente nel contesto familiare od abituale oppure l’inserimento in strutture residenziali e semiresidenziali socio-sanitarie con progetti personalizzati, verificati periodicamente dallo psichiatra cui compete territorialmente la presa in carico del paziente. Le attività di riabilitazione garantiscono la qualità delle attività svolte, in organico collegamento ed in continuità terapeutica con i servizi che costituiscono il DSM e con gli eventuali centri terapeutico-riabilitativi accreditati cui è stato affidato il paziente.

Art. 5
Rapporti tra DSM e le università

1. Nell’ambito degli accordi tra le Regioni e le Università, è programmata l’integrazione dell’attività di assistenza, formazione e ricerca con i DSM. Sia ai DSM sia alle Università è richiesta, nell’ambito delle proprie attività, la creazione di spazi e collaborazioni specifiche per le nuove professionalità riferibili alla psichiatria.

Art. 6
Rapporti tra DSM e Ministero della giustizia

1. In applicazione del decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, e successive modificazioni, le aziende sanitarie locali (ASL) su cui insistono le case circondariali attivano adeguate risorse dell’équipe del DSM competente per l’assistenza ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale dei detenuti che necessitano di assistenza psichiatrica o psicologica. Sono stipulati specifici protocolli d’intesa tra le ASL e autorità giudiziaria per reperire spazi adeguati all’interno della casa circondariale da destinare al trattamento ambulatoriale, semiresidenziale e residenziale dei malati di mente autori di reato che, per la persistenza della pericolosità sociale, non possono essere trattati all’esterno del luogo di detenzione, ovvero che permangono in stato di detenzione perchè imputabili.
2. Le regioni individuano, in collaborazione con i tribunali ordinari e di sorveglianza, specifici percorsi di trattamento alternativi all’invio in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), da realizzare con la collaborazione della rete dei servizi esterni al carcere e finalizzati alla tutela dei diritti alla cura dei malati di mente autori di reato, sia nella fase di cognizione che di esecuzione della pena. In qualunque fase del percorso al di fuori dell’OPG, i compiti e gli oneri delle cure sono a carico del Ministero della Salute, mentre i compiti e gli oneri della custodia del soggetto malato di mente, autore di reato e socialmente pericoloso, sono di competenza del Ministero della Giustizia. Gli OPG esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge mantengono l’attuale organizzazione per tutta la fase iniziale di costruzione della rete dell’assistenza da parte del Servizio Sanitario regionale nelle case circondariali.

Art. 7
Obbligo del medico psichiatra di recarsi al domicilio del paziente

1. Al fine di assicurare la continuità assistenziale, lo psichiatra curante si reca al domicilio del paziente con disturbi mentali che non si presenta all’appuntamento fissato nell’ambito del progetto terapeutico entro i sette giorni successivi all’ultimo incontro stabilito e disertato dal paziente stesso.

Art. 8
Diritti dei familiari

1. Il medico psichiatra è tenuto a riferire sullo stato di salute mentale del proprio paziente affetto da disturbi mentali e sulle cure necessarie: al coniuge, ai genitori, ai fratelli o sorelle che si occupano abitualmente dello stesso.
2. Nei casi in cui la convivenza dei familiari con la persona affetta da problemi psichiatrici comporta dei rischi per l’incolumità fisica del malato stesso o dei suoi familiari, il DSM trova una soluzione residenziale idonea alle esigenze della persona affetta da problemi psichiatrici.

Art. 9
Quota di riserva all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza

1. Una quota percentuale del 7% (da riconsiderare annualmente) di quanto destinato ai Livelli Essenziali di Assistenza di cui al D.P.C.M. 29/11/2001 è destinata, con vincolo di spesa, all’assistenza ambulatoriale, domiciliare, semiresidenziale e residenziale per persone con problemi psichiatrici ed alle loro famiglie.
2. L’Assessore alla Salute, coadiuvato dall’Agenzia di cui all’art. 1 comma 3, di ogni Regione vigila ed è responsabile della corretta ed effettiva allocazione di spesa della quota di riserva ivi prevista e, a tal fine, rende il conto della gestione di tale quota di riserva su base annuale al Presidente della Giunta regionale che lo riferisce, ai fini del necessario controllo, in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Art. 10
Disposizioni finali

1. Le Regioni inadempienti a due anni dall’approvazione della legge, dopo richiamo da parte del Ministero competente, sono sottoposte a nomina di speciali commissari ad acta per l’applicazione della legge stessa.

cervello binarioI segni dell’Alzheimer possono essere identificati precocemente nel cervello. E’ la conclusione di uno studio tutto italiano che segna un passo avanti nella conoscenza dei meccanismi neurodegenerativi alla base della malattia e migliora le possibilità diagnostiche. I ricercatori hanno individuato, infatti, le progressive modificazioni che subisce il corpo calloso del cervello delle persone colpite da forme iniziali di demenza (Mild Cognitive Impairment o Mci) e successivamente da Malattia di Alzheimer di grado lieve. Il corpo calloso è il fascio di sostanza bianca più grande presente nel cervello umano e le fibre che lo compongono collegano formazioni corticali dei due emisferi perlopiù omologhe, cioè con la stessa funzione. Grazie alla scoperta sarà possibile basarsi sull’osservazione del corpo calloso come di un ‘biomarker’ del cambiamento cerebrale che avviene durante tutto lo sviluppo dell’Alzheimer: dalla fase preclinica (la Mci) a quella di demenza di grado lieve, fino a quella di grado più severo.

A coordinare la ricerca, pubblicata su ‘Neurology’, la neuropsicologa Margherita Di Paola, giovane ricercatrice presso il Laboratorio di Neurologia Clinica e Comportamentale dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e presso il Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica della Facoltà di Medicina dell’Università dell’Aquila. Al lavoro scientifico hanno collaborato il Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Roma Tor Vergata e la Clinica della Memoria di due nosocomi della Capitale: il San Camillo-Forlanini e il San Giovanni Addolorata. Da circa venti anni si studia con interesse il corpo calloso nelle persone con Alzheimer ma l’omogeneità dei pazienti è stato un aspetto spesso trascurato nella letteratura scientifica, per la difficoltà di recuperare gruppi numerosi di individui caratterizzati dalla stessa fase della malattia. La novità nel lavoro dei ricercatori romani è di aver indagato gruppi di pazienti omogenei e suddivisi per severità di patologia, applicando due tra le più recenti tecniche di risonanza magnetica strutturale: la Voxel Based Morphometry e il Diffusion Tensor Imaging. Proprio la suddivisione dei pazienti in gruppi omogenei è stata la premessa per mettere in luce la presenza di due processi di degenerazione della sostanza bianca del corpo calloso, individuando dove e come questo subisce cambiamenti durante il corso della malattia. “Il cambiamento del corpo calloso” sottolinea la dottoressa Margherita Di Paola – è una caratteristica misurabile e valutabile obiettivamente. Questa misura può fornire informazioni riferibili a processi biologici normali o alla presenza di processi patogeni, ad un costo relativamente contenuto, quello di una risonanza magnetica, esame ormai entrato appieno nella routine diagnostica”. La ricerca, condotta interamente in Italia, rappresenta un’importante evoluzione di un precedente progetto nato dalla collaborazione tra la Fondazione Santa Lucia e il Laboratorio di NeuroImaging dell’Ucla School of Medicine di Los Angeles (Usa) che pochi mesi fa aveva già prodotto altri interessanti risultati scientifici.

meno-alcolTroppo alcol accorcia la vita: fa invecchiare prima e favorisce il cancro. Una ricerca italiana ha dimostrato che esagerare coi drink (anche senza sviluppare una dipendenza patologica dal ‘bicchiere’) sposta in avanti l’orologio biologico delle cellule, particolari strutture genetiche chiamate telomeri, la cui scoperta ha fruttato il Premio Nobel 2009 per la Medicina agli scienziati americani Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak. Gli autori della nuova ricerca, condotta tra Padova e Milano e presentata a Washington al meeting 2010 dell’American Association for Cancer Research, hanno osservato che negli alcolisti la lunghezza dei telomeri risulta dimezzata. E un ‘taglio’ dei telomeri significa invecchiare più velocemente, ammalarsi prima e quindi, in definitiva, vivere meno. Un team composto da ricercatori dell’università di Padova (Laboratorio di mutagenesi ambientale del Dipartimento di medicina ambientale e sanità pubblica), in collaborazione con l’università degli Studi di Milano (Dipartimento di medicina del lavoro) e la Fondazione Irccs ospedale Maggiore Policlinico (Centro di epidemiologia molecolare e genetica), ha dimostrato che il legame tra consumo di alcol, rischio di tumori e invecchiamento inizia a livello cellulare con l’accorciamento dei telomeri. I telomeri – ricordano gli esperti in una nota – sono delle sequenze di Dna che si trovano nelle regioni terminali dei cromosomi e sono importanti per la stabilità genetica delle cellule. La lunghezza dei telomeri si accorcia progressivamente mentre invecchiamo. Ebbene, avvertono gli studiosi: un uso eccessivo di alcol produce nelle nostre cellule stress ossidativo e infiammazione, due meccanismi che possono accelerare l’accorciamento dei telomeri. Inoltre, visto che l’accorciamento dei telomeri è un meccanismo fondamentale nel processo di cancerogenesi, i ricercatori hanno ipotizzato che le persone con telomeri più corti per eccessivo consumo di alcol potrebbero essere più a rischio di sviluppare il cancro.

Utilizzando la tecnica di analisi nota come ‘real-time polymerase chain reaction’, i ricercatori hanno analizzato il Dna del sangue di 59 persone che consumavano alcol in modo sregolato, anche se non potevano ancora essere ‘catalogati’ come alcolisti (il 22% consumava ogni giorno 4 bicchieri o più di vino o altra bevanda alcolica), e di 197 volontari con un consumo di alcol nella norma della popolazione italiana (soltanto il 4% consumava 4 bicchieri o più al giorno di vino o altra bevanda alcolica). I due gruppi erano di età simile e non mostravano differenze per altre caratteristiche che avrebbero potuto modificare la lunghezza dei telomeri (dieta, fumo, esercizio fisico, stress lavorativo o esposizioni ambientali). I risultati hanno mostrato che la lunghezza dei telomeri era “drammaticamente ridotta nei soggetti dello studio che consumavano quantità eccessive di alcol”, riferiscono gli studiosi. In particolare, “la lunghezza dei telomeri era dimezzata negli alcolisti in confronto ai soggetti di controllo” (0,41 e 0,79 unità nei due gruppi). “Gli alcolisti – spiegano Andrea Baccarelli (Policlinico-università Statale di Milano) e Sofia Pavanello (università di Padova), responsabili del progetto di ricerca – sembrano più vecchi di quanto non siano in realtà e si è sempre ritenuto che un consumo eccessivo di alcol possa far invecchiare prematuramente e anticipare nel tempo le tipiche malattie dell’invecchiamento. In particolare, un eccessivo consumo di alcol è associabile all’insorgenza di tumori di diverso tipo”, precisano.Inoltre, evidenzia Pavanello, “i soggetti portatori di una variante genetica nel gene ADH1B mostravano un rischio maggiore di alcolismo e avevano telomeri più corti. La diminuzione della lunghezza telomerica che abbiamo trovato è di entità molto grande e siamo stati sorpresi noi stessi dall’aver trovato un effetto dell’alcol così forte a livello cellulare”.

Una significativa percentuale di pazienti con sindrome dell’intestino irritabile beneficia di una risposta positiva alla terapia cognitiva comportamentale sui sintomi entro 4 settimane di trattamento: l’effetto terapeutico in questi casi tende a mantenersi a distanza di tempo. È quindi un risultato molto positivo quello illustrato da Jeffrey Lackner, University of Buffalo, New York, e collaboratori, al termine di uno studio, pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology che ha incluso 71 pazienti di età compresa tra 18 e 70 anni con sintomi moderati o più gravi di sindorme del colon irritabile secondo i criteri di Roma II.

I partecipanti sono stati collocati in lista d’attesa oppure avviati alla terapia cognitivo comportamentale per 10 settimane in 4 o 10 sessioni di un’ora alla settimana. Lo scopo principale dell’indagine era quello di verificare se gli individui che manifestavano una risposta rapida entro 4 settimane di terapia mantenevano l’effetto terapeutico nel follow-up. L’esito è stato positivo: il 30% dei pazienti sottoposti a psicoterapia ha avuto una risposta entro quattro settimane e di questi il 90-95% ha mantenuto il beneficio dopo 3 mesi di follow-up. Un’altra osservazione riferita nel lavoro è che i pazienti con risposta rapida con i sintomi più severi al baseline erano quelli che ottenevano una maggiore e sostenuta riduzione dei sintomi rispetto ai soggetti che rispondevano più tardi. Non sono state rilevate differenze in termini di beneficio clinico tra i due diversi dosaggi di Terapia Cognitivo Comportamentale.

helpQuesto servizio è rivolto a tutte le persone che hanno problemi di dipendenza da alcol e altre sostanze (cocaina, eroina, cannabis, ecc).

Una dipendenza da una sostanza o dall’alcol è una modalità patologica di assunzione che porta ad un disagio significativo. Caratteristiche fondamentale è la tolleranza alla sostanza, ovvero il bisogno di dosi sempre più elevate della per l’effetto desiderato, che diminuisce inesorabilmente nel tempo con l’uso continuativo.

Altro fenomeno fondamentale è l’astinenza: smettere di colpo, ma a volte solo per qualche ora di assumere la sostanza provoca la cosiddetta sindrome d’astinenza, che ha sintomi diversi secondo il tipo di droga utilizzata. Succede allora che si è spinti ad assumere di nuovo la sostanza per attenuare o far sparire quei sintomi, che a volte possono essere molto pericolosi.

Tolleranza e astinenza, come si può capire, sono i due fenomeni che alimentano il circolo vizioso: si perde il controllo, bisogna assumere quantità sempre maggiori e non si può smettere. Le quantità assunte e il tempo dedicato a bere, fumare, sniffare o bucarsi diventa sempre di più, molto di più di quanto il soggetto avesse deciso di dedicarvi. Così gran parte del tempo, spesso a discapito di famiglia, lavoro e svago è dedicato a procurarsi la sostanza o ad assumerla oppure a riprendersi dai suoi effetti. L’uso diventa continuativo, nonostante molti abbiano la consapevolezza di avere un problema, di natura fisica o psicologica, causato o esacerbato dalla sostanza (per esempio, il soggetto continua ad usare cocaina malgrado il riconoscimento di una depressione indotta da cocaina, oppure continua a bere malgrado il riconoscimento del peggioramento di un’ulcera a causa dell’assunzione di alcool).

Molti desiderano smettere e mettono in atto tentativi per porre fine alla dipendenza, ma da soli è difficile riuscirci. La dipendenza non dipende solo dalla forza di volontà, non è un capriccio o un’abitudine. La dipendenza è una malattia, dal punto di vista biologico e psichico.

Mens Sana adotta un programma integrato e multidisciplinare per trattare le dipendenze. A fianco di interventi psicologici, motivazionali e volti a comprendere le cause della dipendenza e le sue dinamiche, viene data attenzione all’aspetto medico che spesso condiziona profondamente il trattamento. E’ importante prendersi cura della persona nella sua totalità.

A seconda dei casi e dei possibili danni prodotti dalle diverse sostanze, vengono trattati tutti i problemi medici correlati. Il collegamento con strutture sanitarie di ricovero e di riabilitazione, consente inoltre di affrontare anche le emergenze e i casi più gravi dove è necessaria un’assistenza più intensiva. Inoltre, grazie alle professionalità mediche, sono possibili trattamenti farmacologici per la sindrome di astinenza e di aiuto alla diminuzione del desiderio e della pulsione all’assunzione della sostanza.

Grazie a programmi specifici di psicoterapia il paziente impara a conoscere meglio se stesso, le sensazioni e i pensieri collegati al bere o all’assumere una sostanza, impara tecniche per affrontare il desiderio e costruisce assieme al terapeuta una “rete di sicurezza” che lo proteggerà nel corso del tempo. Il nostro obiettivo non è una semplice disintossicazione dalla sostanza, ma l’acquisizione di strumenti per liberarsi dalla dipendenza e proteggersi dalle ricadute. Per far questo l’utente è avviato ad un programma terapeutico integrato che guarda agli aspetti medici, psicologici e psicosociali e che consentono di prendersi cura dell’utente nella sua totalità.

Il paziente non viene abbandonato, ma rimane in contatto con la struttura per il follow – up che consiste in visite di controllo periodiche, sia da un punto di vista medico che psicoterapeutico.
Ciò consente di essere seguiti nel percorso terapeutico anche a distanza di molto tempo dal suo primo ingresso nel Centro. In questa fase vengono anche avviati trattamenti psicologici, basati su colloqui periodici, per il fondamentale mantenimento dell’astinenza.

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Il servizio è coordinato dal Dott. Marco Paolemili. Per maggiori informazioni o semplicemente per un consiglio potete inviare una email a info@mens-sana.biz.
Per fissare un primo incontro potete telefonare allo 06 8339 0682.