meno-alcolRoma, 29 apr. (Adnkronos Salute) – In Italia è boom di abuso d’alcol soprattutto tra gli over 65 e tra i giovanissimi under 16, ragazzi e ragazze. Gli anziani preferiscono il vino, mentre i giovani, accanto al nettare di Bacco, non disdegnano birra e superalcolici. Sta prendendo sempre più piede anche nel nostro Paese, inoltre, il fenomeno del binge drinking, l’abbuffata di alcol in una sola occasione. Questi alcuni dati emersi dal rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss), di cui si è parlato questa mattina a Roma durante l’Alcohol Prevention Day.Sull’esempio di modelli Nord europei, si è consolidata tra i giovani italiani l’abitudine di bere in occasioni particolari più di 6 bevande alcoliche. Nel 2008 si è registrata una prevalenza di binge drinking del 22,1% tra i maschi 18-24enni e del 6,5% tra le coetanee. In media, 4 milioni di italiani di tutte le età si ubriacano nel corso dell’anno. Indipendentemente dall’età, la distribuzione territoriale dell’abuso di alcol fa rilevare nei maschi il valore più alto nell’Italia Nord-Orientale (15,5%), seguita dall’Italia Meridionale (12,3%) e Nord-Occidentale (12,5%). Preoccupa soprattutto il fatto che il fenomeno sia registrato anche tra i minori di 16 anni, età-soglia al di sotto della quale può essere vietata la somministrazione di alcol, e che tra le ragazzine di 16-17 anni si registrino valori più alti rispetto alla media femminile nazionale – quasi il 4%, rispetto alla media del 2,8% – con un picco per le 18-24 enni (6,5%). Ma a preoccupare non sono solo i giovanissimi.

Nel nostro Paese, infatti, la massima frequenza di consumatori a rischio si registra tra gli ultra 65enni. Oltre 4 milioni di bicchieri per i ‘nonni’ e 1 milione circa per le ‘nonne’ vengono consumati in eccesso quotidianamente. E questo spiega anche perché tra gli anziani si registra la più elevata frequenza di consumatori a rischio e di conseguenze alcol-correlate registrate in termini di carico di malattia – cirrosi epatica, tumori, malattie cardiovascolari, incidenti stradali e domestici – con il relativo ricorso ai ricoveri. Gli anziani, infatti, perdono la capacità di metabolizzazione dell’alcol per la riduzione dell’attività dell’alcol-deidrogenasi, un enzima localizzato nel fegato e nello stomaco che consente di smaltire i bicchieri di troppo. Con questo enzima depotenziato, l’alcol circola immodificato incrementando il rischio di conseguenze tossiche e cancerogene. A questo si aggiunge anche la possibilità di interazioni con determinati farmaci.La prevenzione, dunque, è fondamentale. “Non possiamo dimenticare – dice Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Iss – i 30 mila morti l’anno e i 110 mila ricoveri registrati negli ultimi dieci anni. Bisogna aumentare la consapevolezza per dare la possibilità di scegliere di non rischiare. E’ importante – continua Scafato – la ricerca per fare sviluppo e prevenzione. Bisogna fare pubblicità progresso, quella vera, che magari riesca a contrastare i 169 milioni di euro spesi in pubblicità di bevande alcoliche. Fondamentali, poi, il ruolo della scuola e della famiglia per imparare a gestire

Per molti disturbi psichiatrici, l’uso di farmaci è fondamentale. Vi sono diverse classi di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale, sono comunemente chiamati psicofarmaci.  Fra essi i più utilizzati sono: gli ansiolitici per la cura dei sintomi dell’ansia, gli antidepressivi, utili nella terapia della depressione e dell’ansia e i neurolettici (o antipsicotici) utilizzati nelle psicosi, nella schizofrenia e talvolta nel disturbo bipolare. A loro volta, questi farmaci includono molecole appartenenti a classi diverse che agiscono su siti cerebrali e su neurotrasmettitori diversi. A questi possiamo aggiungere il litio e gli antiepilettici usati come stabilizzatori dell’umore, nei disturbi bipolari o nei gravi disturbi di personalità. Gli psicofarmaci ipnotici invece, vengono utilizzati invece per curare l’insonnia.

Alcune patologie si risolvono completamente con una terapia farmacologica ben condotta, In Nelle patologie croniche e recidivanti (ovvero perduranti nel tempo o che si ripresentano ciclicamente, soprattutto se i trattamenti farmacologici sono discontinuati), il loro effetto è di attenuare e controllare i sintomi del disturbo mentale, favorendo una eventuale psicoterapia oppure prevenendo le ricadute. Nei casi in cui la gravità del disturbo è molto seria, come in alcune forme di schizofrenia, la terapia rende possibile al paziente mantenere un lavoro e una vita quasi normali.

In ogni caso l’uso e la prescrizione di psicofarmaci va valutato attentamente per gli effetti collaterali e la possibilità di errori nell’assunzione, che possono portare a una riaccensione dei sintomi o a vere e proprie intossicazioni, il cui esito è comunque raramente letale; inoltre il trattamento con alcuni tipi di psicofarmaci deve essere interrotto gradualmente, pena l’insorgere di sintomi di astinenza.

E’ sempre bene che sia uno psichiatra a prescrivere questi farmaci, anche se casi più lievi di depressione possono essere curati anche dal medico di base. Nei nostri centri le terapie vengono prescritte da specialisti e le visite di controllo vengono assegnate con regolarità (con cadenza settimanale o mensile a seconda della gravità della patologia) per avere il risultato migliore e nel minor tempo possibile.

Il servizio è disponibile presso i nostri centri.

Per maggiori informazioni o semplicemente per un consiglio potete inviare una email a info@mens-sana.biz.
Per fissare un primo incontro potete telefonare allo 06 8339 0682.

vacanze(Adnkronos Salute) – Il venerdì mattina la vita dei lavoratori si tinge di rosa. Insegnanti, medici, segretarie, avvocati e manovali, infatti, sperimentano senza eccezioni l”effetto weekend’: una sorta di iniezione di buonumore e vitalità tipica dei giorni che vanno da venerdì a domenica pomeriggio, quando mal di testa e doloretti vari si fanno meno frequenti. A ‘misurare’ l’effetto del fine settimana sull’umore dei lavoratori è uno studio dell’Università di Rochester pubblicato sul ‘Journal of Social and Clinical Psychology’, che testimonia come fare un lavoro che piace non rende immuni dal benefico effetto del weekend in arrivo.

Secondo il team diretto da Richard Ryan, psicologo dell’ateneo americano, che ha indagato sul fenomeno insieme a Jessey Bernstein della McGill University (Canada), il segreto dell’effetto del fine settimana sta nella libertà di potersi scegliere liberamente gli impegni, abbinata all’opportunità di passare del tempo con le persone amate. “I lavoratori, anche quelli che fanno un lavoro interessante e di alto livello, sono davvero più felici nel weekend – assicura Ryan – I nostri dati evidenziano dunque quanto il tempo libero sia importante per il benessere di ognuno”. Non si tratta dell’ozio frivolo dei perdigiorno, sottolineano i ricercatori. Ma “dell’opportunità di legarsi agli altri, esplorare i propri interessi e rilassarsi: tutti bisogni psicologici di base che le persone non dovrebbero soffocare con l’eccesso di lavoro”, raccomanda l’esperto. Il team ha monitorato le oscillazioni d’umore di 74 adulti dai 18 ai 64 anni, tutti con lavori che li impegnavano per almeno 30 ore a settimana. Nel corso di tre settimane di osservazione i ricercatori hanno registrato stress, gioia, felicità, ma anche ansia, rabbia e depressione delle ‘cavie umane’, prendendo nota di tutta una serie di eventuali sintomi fisici dello stress: dai mal di testa ai problemi di stomaco, ai cali di energia. I risultati non lasciano dubbi: uomini e donne si sentono “decisamente meglio”, dal punto di vista mentale e fisico, nel fine settimana. Un benessere ‘da weekend’ indipendente da stipendio, orario e ritmi di lavoro, cultura, soddisfazione per il proprio impiego e addirittura tipo di lavoro svolto. Inoltre ci si sente meglio se si è single oppure sposati, conviventi, divorziati o vedovi. Un effetto positivo universale, dunque, indipendente perfino dall’età, che porta molti lavoratori ad attendere con trepidazione il venerdì.

Medico(Adnkronos Salute) – Meglio incappare in un ‘camice bianco’ di buonumore. A beneficiarne non saranno solo i pazienti, ma anche il servizio sanitario, che risparmierà in esami e visite non necessarie. Almeno secondo i ricercatori della Ben-Gurion University (Bgu) del Negev (Israele), che hanno scoperto come l’umore del medico influenza chiaramente il numero di prescrizioni, consulti e richieste di analisi e test di laboratorio, ma anche la quantità di tempo passato a parlare con i pazienti. La scoperta è stata presentata recentemente alla 14.esima International Conference of the Israel National Institute for Health Policy dal team di Talma Kushnir, del Dipartimento di Sociologia della salute della Bgu. Il team ha monitorato 188 medici israeliani per capire se i ‘camici bianchi’ modificano il loro comportamento professionale nei giorni di buonumore, ma anche in quelli in cui si sentono stressati, stanchi o ansiosi.

Nel corso della ricerca sono stati valutati anche i livelli di burnout (stress ed esaurimento emotivo) degli operatori coinvolti nello studio. I risultati mostrano che l’umore, positivo o negativo che sia, influenza tutti i comportamenti esaminati. Nei giorni in cui i medici si sentono di buonumore, spiega la studiosa, parlano più a lungo con i pazienti, compilano meno ricette, ordinano meno analisi e raccomandano meno consulti. Quando sono di cattivo umore, invece, si comportano all’esatto opposto. Inoltre se i livelli di burnout sono più elevati, l’umore influenza maggiormente il comportamento del medico. “La scoperta che nei giorni di malumore i medici tendono a parlare meno e possono prescrivere più esami e consulti non necessari rispetto ai giorni in cui vedono tutto rosa – commenta la Kushnir – implica che l’umore nero può avere un’influenza negativa su qualità e costi dei sistemi sanitari. Al contrario – conclude – un umore positivo, che ha sui camici bianchi effetti opposti, può contribuire a contenere i costi” del servizio sanitario. Insomma, per razionalizzare le spese potrebbe essere utile anche regalare il sorriso agli operatori sanitari.

bipolariRoma, 30 mar. (Adnkronos Salute) – Si allunga la lista dei vip che confessano di soffrire di disordine bipolare. Ma le parole di attori come Stephen Fry, Carrie Fisher e Mel Gibson, e cantanti come Robbie Williams – che sicuramente hanno contribuito a far conoscere un problema di salute mentale ancora poco noto al grande pubblico – hanno avuto un inatteso effetto collaterale. Secondo alcuni psichiatri, infatti, queste confessioni hanno regalato un’aura di glamour e creatività alla patologia.

Risultato? Almeno in Gran Bretagna i medici di famiglia e gli psichiatri sarebbero bombardati da persone che chiedono di farsi controllare, con in mente già ben chiara la diagnosi: pensano infatti di soffrire di disordine bipolare. A lanciare l’allarme sono due psichiatri del servizio sanitario britannico, Diana Chan e Lester Sireling, che lavorano in un centro di salute mentale territoriale a North London.Ma perché all’improvviso dei cittadini perfettamente sani dovrebbero voler essere etichettati come ‘malati’, oltretutto con un problema mentale? Secondo l’analisi dei due specialisti, ormai si confondono normali ondeggiamenti dell’umore – legati agli alti e bassi della vita – con questa condizione medica, e molti pensano di essere ‘un pizzico bipolari’. C’è perfino un gruppo su Facebook (‘Thinking Everyone Is a Bit Bipolar’), che sottolinea come tutti nella vita, a un certo punto, possano sperimentare questa condizione.

In realtà – ricordano gli specialisti sul ‘Daily Mail’ – il disordine bipolare è un problema serio, che spinge i pazienti in stati prolungati e violenti di euforia o depressione, alterando le loro vite. Nei momenti positivi, i pazienti si sentono euforici, hanno pensieri grandiosi, sono inclini a spendere incredibili somme di denaro, a parlare ‘a macchinetta’ e a passare intere giornate senza mangiare, o dormire. Possono vedere anche cose inesistenti, e sentire ‘le voci’. Le depressioni che seguono sono estremamente profonde, e lasciano le ‘vittime’ in uno stato di prostrazione che le rende abuliche e apatiche. Insomma, questa nuova moda delle auto-diagnosi non solo è ben lontana dalla realtà, ma può portare centinaia di persone ad assumere medicinali inutili e per questo pericolosi, scrivono gli psichiatri sulla rivista del Royal College of Psychiatrists.Nello studio, intitolato non a caso ‘I Wan To Be Bipolar, A New Phenomenon’, gli specialisti notano che i ‘camici bianchi’ stanno assistendo a ondate di aspiranti bipolari. Ormai questa condizione sembra aver acquisito una patina glamour, diventando quasi una ‘garanzia’ di creatività. Secondo i dati del Nhs solo in Gran Bretagna circa 500.000 persone hanno una diagnosi di disordine bipolare. Ma dopo una serie di studi in materia alcuni ricercatori sospettano che negli anni si sia assistito a una sorta di ‘falsa epidemia’. Il fenomeno delle malattie di moda ha, comunque, una lunga storia. Per restare in GB, ai tempi della regina Vittoria la melanconia era associata a emozioni e tormenti ‘spia’ di una sensibilità superiore al normale. Oggi il disordine bipolare ‘fa rima’ con la creatività. Così, testimonia anche il medico di famiglia di Glasgow, Des Spence, “vediamo molte aspiranti vittime della nuova moda. E io stesso – conclude – ho dovuto convincere un certo numero di persone che in realtà non avevano questo problema”.

 

La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale è considerata la terapia che ottiene i risultati migliori nel trattamento della maggior parte dei disturbi emotivi e del comportamento dalla comunità scientifica internazionale.

La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale è un approccio psicologico che ha come obiettivo principale far apprendere nuove modalità e abilità comportamentali e cognitive. In particolare, l’attenzione dello psicoterapeuta è posta sui comportamenti disfunzionali, sulle credenze e sui pensieri che sono alla base delle cause del disagio.
Tra emozioni, pensieri e comportamenti esiste una stretta relazione e l’indagine sulle cause dei problemi e del disagio psicologico è focalizzata sulla reciproca influenza di queste tre variabili. Per la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale è importante quindi ciò che facciamo, l’analisi dei nostri pensieri e le nostre reazioni emotive, nel momento attuale, nel presente, qui ed ora.

La Psicoterapia Cognitivo Comportamentale sta assumendo sempre più un ruolo centrale nella diagnosi e nella cura di problemi emotivi e comportamentali quali:

Ansia, fobie, attacchi di panico;

Fobia sociale;

Depressione;

Disturbi ossessivo-compulsivi;

Disturbi alimentari (anoressia, bulimia);

Disturbi del sonno;

Disturbi sessuali;

Disturbi di personalità;

Stress;

Dipendenza da sostanze (alcool e altre droghe);

Difficoltà scolastiche o lavorative;

Problemi di coppia.

La psicoterapia Cognitivo Comportamentale è fondata sull’integrazione la combinazione di due psicoterapie di grande efficacia:

Psicoterapia Cognitiva
che aiuta ad individuare schemi, modalità di ragionamento, pensieri che sono in stretta relazione con comportamenti disfunzionali, emozioni negative ed esperienze di forte disagio, per integrarli, riorganizzarli, correggerli al fine di renderli più adeguati, più funzionali al benessere psicologico della persona;

Psicoterapia Comportamentale
che aiuta a riconoscere i comportamenti legati ad esperienze di disagio, difficoltà, emozioni negative, allo scopo di rielaborarli, modificarli, grazie all’apprendimento di nuove modalità di azione, affinché essi diventino più funzionali al benessere e alla qualità della vita della persona.

La psicoterapia Cognitivo Comportamentale è:

A breve-medio termine – Ogni seduta dura 50 minuti, la cadenza è settimanale.  La durata della terapia può variare solitamente da alcune settimane (psicoterapia breve) ad un anno a seconda della gravità e della tipologia dei disturbi psicologici, in qualche particolare caso può durare più di un anno. Sono previsti, dopo la fine della terapia, degli incontri di follow-up, in cui con una cadenza prestabilita via via  diluita nel tempo si valutano insieme al paziente gli esiti della Psicoterapia ed il percorso post-psicoterapia. Lo psicoterapeuta rimane comunque a disposizione nel caso si dovessero presentare problemi o dovessero emergere nuove difficoltà;

Centrata sul presente – la Psicoterapia cognitivo comportamentale non considera il passato, come succede in altre forme di psicoterapia, l’aspetto più importante da considerare nell’indagine delle cause del disagio psicologico attuale. Le esperienze, i racconti, le descrizioni di ciò che è accaduto nel passato sono importanti per capire come si sono sviluppati e strutturati nel tempo i problemi attuali, ma non costituiscono l’elemento fondamentale su cui basare l’intervento e il trattamento terapeutico. Le cause del disagio psicologico, dei problemi e delle difficoltà del paziente sono da rintracciare nel qui ed ora, nel presente. L’obiettivo primario è aiutare il paziente a raggiungere il benessere psicologico liberandolo dai problemi e dal disagio vissuti finora attraverso la sua fattiva collaborazione.

Attiva e collaborativa – la psicoterapia cognitivo comportamentale richiede una reciproca collaborazione tra paziente e psicoterapeuta. Entrambi hanno un ruolo attivo nei processi che si sviluppano durante il percorso psicoterapeutico. Non si esaurisce nell’arco di una seduta, ma prosegue per tutta le settimana con compiti che il terapeuta da’ da affrontare al paziente-

Fondata scientificamente – Migliaia di ricerche basate su studi rigorosi hanno dimostrato che la psicoterapia cognitiva e comportamentale è efficace nel trattamento e nella cura della maggior parte dei disturbi psicologici. Inoltre è stato provato che la percentuale di ricadute è minore rispetto al solo trattamento farmacologico.