franco-basagliaDi Marco Malagutti, da Dica22.it

Nel 1978 nasceva la legge 180. Una legge di svolta, visto che per la prima volta il malato mentale veniva sottratto all’internamento e affidato al suo territorio, con il compito di mediare tra i diritti del malato e gli interessi della comunità sociale. Si assistette così alla graduale chiusura dei manicomi impedendone la costruzione di nuovi. Una legge rivoluzionaria visto che nel periodo manicomiale i malati mentali potevano anche subire violenze e veder negati i propri diritti civili. Artefice della legge Franco Basaglia, cui è stata appena dedicata una fiction televisiva di successo, a trent’anni dalla scomparsa. La legge fu allora approvata tra dubbi, polemiche e incertezze. E le cose oggi non sembrano molto cambiate. Per capirne di più Dica33 ha intervistato Claudio Mencacci, vice presidente della Società italiana di psichiatria.

Per cominciare parliamo di Franco Basaglia. Qual è il suo merito storico?
La figura di Basaglia entra di diritto nella storia della psichiatria perché ha contribuito in maniera determinante ad aprire la psichiatria al territorio. A lui vanno riconosciuti meriti, senza ombra di dubbio, anche se le cose si sono modificate nei trentadue anni successivi.

In che modo? La legge 180 è superata?
Il messaggio forte di quella legge è stato quello della chiusura degli ospedali psichiatrici per favorire l’ingresso della malattia psichiatrica nell’ospedale “generale”, con una maggiore apertura al territorio e alla comunità. Cioè la psichiatria e divenuta una branca della medicina a pieno titolo e non una sorta di ultima spiaggia abbandonata a se stessa. Sempre nel 1978 con la legge 883 è stato istituito il Servizio sanitario nazionale e contestualmente l’assistenza psichiatrica è trasferita alle Regioni e tramite esse alle Usl, si è arrivati così al concetto di rete sul territorio nazionale. Un concetto allora rivoluzionario, ma oggi in parte superato.

Che cosa intende per superato?
Per cominciare le problematiche sono cresciute e l’articolazione ospedale – territorio – comunità, cardine della 180, va rivisitata anche attraverso un progetto nazionale che tenga conto della specificità delle Regioni. Poi ci sono patologie nuove per cui non si può parlare di un unico malato mentale, esistono i disturbi dell’umore (depressione), i disturbi d’ansia, le dipendenze, i disordini alimentari. Un quadro più ampio che richiede centri di riferimento specifici.

Oggi questo non esiste?
Esistono centri che si occupano delle patologie più gravi. Ma è ancora troppo poco.

Una recente intervista allo studioso americano Irving Kirsch mette in discussione il ruolo dei farmaci antidepressivi. Che cosa ne pensa?
Non sono d’accordo. Nelle depressioni lievi la terapia comportamentale può essere più efficace di quella farmacologica. Ma nelle depressioni medie e gravi i risultati migliori si ottengono ricorrendo ai farmaci, con esiti ancora migliori se combinati con la terapia comportamentale. Poi esistono tanti tipi di depressione che richiedono una diagnosi precisa e indicazioni precise per l’uso dei farmaci. Ma dire che i farmaci non funzionano significa non averli mai utilizzati.

depressione donnaRoma, 8 feb. (Adnkronos Salute) – Sei italiane su dieci hanno fatto i conti con la depressione o conosciuto qualche donna che ne soffre. E il 54% teme questo ‘male oscuro’, perché lo ritiene incurabile più del tumore al seno (incurabile solo per il 24,2% delle donne). Se si va nello specifico delle terapie, la quota di ‘sfiduciate’ sale al 78% tra le giovani dai 30 ai 39 anni, e all’80,1% tra quelle di 40-49 anni. A ‘fotografare’ le italiane alle prese con la depressione è un’indagine presentata oggi a Milano dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda). L’uso di farmaci convenzionali (giudicati efficaci dal 60%, ma molto efficaci solo per il 15,9%) viene solo dopo terapia psicologica e gruppi di mutuo-aiuto, considerate le pratiche più utili rispettivamente nell’83,1% (nel 36% molto efficaci) e 75,2% (nel 27% circa molto efficaci) dei casi.

Le donne, infatti, ritengono che i farmaci attualmente disponibili abbiano solo effetti limitati nel tempo, senza risolvere le cause principali del male oscuro. E proprio chi conosce la malattia assegna un giudizio più basso ai medicinali, rispetto a chi non l’ha mai incontrata. Numeri importanti, che denunciano un gap tra il livello di aspettativa delle donne e le cure farmacologiche oggi disponibili, notano dall’osservatorio Onda. La conoscenza dei sintomi, invece, “è buona ma può ancora essere migliorata: il 40,3% – prosegue Onda – li sa riconoscere e sa quant’è importante agire tempestivamente”. Il punto di riferimento rimane il medico di famiglia (29% delle donne), seguito da familiari (23%), psicologo (15%) e psichiatra (13%). “La depressione è una malattia subdola – afferma Francesca Merzagora, presidente di Onda – che si insinua nella vita delle donne alienandola. Loro ne sono consapevoli e sono abbastanza informate su manifestazioni e campanelli di allarme. Ma la temono più del tumore al seno, come emerge dai dati presentati oggi, perché non hanno fiducia nelle cure attuali”. E’ in questo ambito che si deve lavorare, sottolinea la Merzagora, “migliorando l’efficacia delle terapie e riducendo gli effetti collaterali dei farmaci. Soprattutto spiegando che le cure farmacologiche sono utili se affiancate al medico di medicina generale e al sostegno della famiglia”, precisa.

“La ricerca – spiega Giuseppe Pellegrini, professore di metodologia della ricerca sociale all’Università di Padova – è stata eseguita con interviste telefoniche su 1.016 italiane tra i 30 e i 70 anni. Si evidenzia subito un problema – nota – proprio nella gestione della malattia. Le donne prediligono il contatto umano e la cura psicologica, dimostrando maggiore sfiducia nei confronti dei farmaci attuali”, osserva. “E’ evidente un gap tra il livello di aspettative e le cure reali, soprattutto tra le donne che soffrono o hanno sofferto di depressione”, prosegue Pellegrini. “L’indagine – precisa Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli Oftalmico Melloni di Milano – mette in luce i bisogni insoddisfatti nelle cure per le donne. E questo è sicuramente il risultato di una non ancora corretta informazione sulle dosi e, soprattutto, sulla durata delle terapie. Molte ricadute e insuccessi, che portano alla sfiducia nei farmaci, sono dovute proprio ai trattamenti inadeguati prescritti dal medico. E’ opportuno rivolgersi a centri specializzati in questo ambito così delicato”. E’ anche vero, però, che esiste una psicofarmacologia di genere per cui “le donne manifestano caratteristiche diverse nel tempo in relazione alla stessa molecola, che può avere maggiore o minore efficacia a seconda del ciclo di vita di una donna”. Infine, ben venga “lo studio di molecole più efficaci e con minori effetti collaterali, soprattutto a livello gastrointestinale e sul desiderio sessuale”, conclude.

“Le donne – evidenzia Giampaolo Landi di Chiavenna, assessore alla Salute del Comune di Milano – sono più colpite da disagio psichico soprattutto nelle aree urbane con popolazione superiore ai 200 mila abitanti, dove quindi aumenta il rischio di patologie gravi. I dati in nostro possesso ci hanno quindi indotto ad agire: abbiamo promosso un progetto, in collaborazione con Mencacci, per un ambulatorio che si occupa esclusivamente di disturbi psichiatrici che compaiono durante la gravidanza, il post-partum e la premenopausa. Un centro unico in Italia proprio perché si occupa di ‘Psichiatria di genere’, con una équipe tutta al femminile”.