ospedale psichiatrico Il Parlamento approva il disegno di legge, già approvato dal Senato, il decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”. Il provvedimento determina in maniera definitiva la proroga della chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2015, in favore delle nuove Rems. L’Aula ha respinto tutti gli emendamenti presentati che chiedevano una ulteriore proroga del termine ultimo per la chiusura di queste strutture per permettere alle Regioni di realizzare le nuove Residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza (Rems).

Il decreto-legge 52/2014 rende anche eccezionale l’adozione della misura di sicurezza del ricovero negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Per evitare gli ‘ergastoli bianchi’ (così vengono chiamate le proroghe continue della misura di sicurezza disposte dal giudice pur in assenza di pericolosità sociale), il provvedimento stabilisce l’impossibilità di scontare una pena detentiva all’interno di tali strutture di durata superiore a quella a cui potrebbe essere condannato se ritenuto imputabile.

Il decereto legge, inoltre, prevede che, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni altra misura diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario non è idonea ad assicurare cure adeguate, e a fare fronte alla sua pericolosità sociale, il giudice dispone nei confronti dell’infermo o del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza – anche provvisoria – diversa dal ricovero in Opg o in una casa di cura. Viene richiesto un maggior rigore nell’accertamento della pericolosità sociale che giustifica il ricovero in Opg.

Le Regioni dovranno organizzare corsi di formazione per gli operatori del settore. Entro il 15 giugno 2014, possono modificare i programmi presentati e destinare parte delle risorse alla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale, e allo stesso tempo contenere il numero complessivo di posti letto da realizzare nelle Residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza. Queste Residenze, almeno nella Regione Lazio non esistono, o meglio saranno realizzate semplicemente destinando alcuni reparti di Case di Cura Neuropsichiatriche Convenzionate al ricovero di queste persone. Già due anni fa, su indicazione della ex Presidente della Regione Lazio Renata Polverini e dopo il sopralluogo del Ministero della Giustizia, sono state individuate alcune cliniche che probabilmente accoglieranno questi pazienti.

Sarà impossibile il protrarsi, sia delle misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive che dei ricoveri nelle Rems, per una durata superiore al tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso. Fino ad oggi invece, il ricovero in Opg poteva essere prolungato se, oltre il periodo previsto dalla condanna detentiva, la persona veniva ritenuta ancora pericolosa socialmente.

Secondo il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord, che avevano chiesto ulteriori proroghe per la chiusura, i tempi sono troppo stretti e fra un anno il Parlamento sarà costretto ad una ulteriore modifica del decreto legge. Potrebbero avere ragione: la chiusura definitiva dei manicomi, disposta nel 1978, avvenne solo nel 1994, 16 anni dopo.

paneamore_sanitaIn dieci anni le risorse umane dedicate all’assistenza e alla cura dei malati psichiatrici, un milione e 200mila Italiani, circa il 2% della popolazione, sono state ridotte dalle Regioni del 50%. Lo rivela un’indagine commissionata dalla Società italiana di Psichiatria.

Il numero delle persone in cura è probabilmente sottostimato perché molti non si avvicinano alle cure a causa dello stigma che pesa sulla malattia mentale e molte altre persone scelgono di curarsi privatamente, anche perchè l’accesso alle cure pubbliche non è immediato e completo. In base ai dati resi noti, raccolti in più del 30% dei dipartimenti di salute mentale di 14 regioni italiane, il tasso di psichiatri, psicologi, infermieri, educatori, assistenti sociali, operatori socio-sanitari e tecnici della riabilitazione psichiatrica che lavorano nei centri di salute mentale è passato da 0,8 a 0,4 ogni 1.500 abitanti.

Nel 34% dei casi le persone in cura per problemi psichiatrici hanno tra i 18 e i 44 anni, nel 39% tra i 45 e i 64 anni, nel 27% oltre i 65 anni. forti Un numero così basso di personale, causato dalla mancata assunzione di nuovi elementi a fronte dei pensionamenti, ha forti ripercussioni sul funzionamento delle strutture, già impoverite, e sull’impatto in termine di lavoro, stress, fatica fisica, dispendio energetico degli operatori e quindi sulla qualità dei servizi resi ai cittadini.

In questa condizione le Regioni e lo Stato si stanno impegnando a tagliare ancora ulteriori fondi dedicati alla ricerca e all’assistenza psichiatrica al fine di poter garantire pensioni d’oro (una pensione d’invalidità invece ammonta a circa 300 euro mensili), debito pubblico e stipendi d’oro a chi taglia fondi all’assistenza sanitaria.

malati di AlzheimerL’Alzheimer è una sfida continua perc i ricercatori e per le autorità sanitarie: ne è convinto Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria. Il problema di questa malattia è tornato in primo piano dopo la notizia, subito smentita, secondo cui ne sarebbe stato colpito l’attore Sean Connery.

«Ci troviamo oggi in una situazione particolare» spiega il professor Trabucchi «in cui la ricerca sta facendo enormi passi avanti nella conoscenza dell’Alzheimer e nella capacità di identificare l’accumulo cerebrale di beta-amiloide in fase pre-clinica e pre-sintomatica, ma quel che non riusciamo ancora a fare è trovare una terapia adeguata». Il presidente americano Barack Obama, nello stanziare fondi consistenti per la ricerca, ha dichiarato che l’Alzheimer non avrà una cura valida prima del 2025. «Credo che questa sia la posizione più seria alla luce dei dati di cui oggi disponiamo» commenta Trabucchi «non è ipotizzabile di ottenere farmaci efficaci nel breve periodo. E anzi sarà sempre più forte la discrepanza tra il progresso a livello diagnostico e la mancanza di terapie; questo si accompagnerà alle immaginabili tensioni dovuti a persone che sapranno di ammalarsi ma di non potersi curare».

La società è pronta a prendere in carico questi pazienti? «Devono essere fatti molti passi avanti. I problemi sono di vario tipo, il primo è di tipo psicologico: ci saranno sempre più persone ammalate di demenza con situazioni familiari complesse e spesso degradate. In secondo luogo, le autorità sanitarie devono mettere in atto interventi a costo contenuto, di supporto alle famiglie: se tutte le persone affette da demenza fossero ricoverate in strutture residenziali, il sistema non reggerebbe».

Le cifre dicono che in Italia ci sono circa un milione di persone affette da demenze e Alzheimer. Secondo alcune ricerche un paziente costa in media circa 60.000 di euro all’anno. Soldi che spesso non sono sborsati da un Sistema Sanitario Nazionale che chiede sempre più soldi, taglia l’assistenza e i servizi senza però toccare i costi delle amministrazioni sanitarie. Il costo, economico e umano, è sempre più sulle spalle delle famiglie dei malati. L’assistenza a queste persone è una delle grandi sfide dei prossimi anni a livello clinico e umano.

La casa di cura “Villa Giuseppina” ha vinto l’edizione 2013 del premio “Buon Samaritano”, istituito dalla Diocesi di Roma

Un sondaggio internazionale online, pubblicato nel mese di giugno dall’Healthcare Advisors Bureau, agenzia di formazione medica indipendente, ha rilevato che il 55% dei medici intervistati non ritiene che i farmaci generici, o bioequivalenti, abbiano la stessa efficacia dei farmaci prodotti dalle case farmaceutiche sotto brevetto. Per questa selezione di medici insomma, appartenenti a tutte le specialità mediche, generici e farmaci di marca non sono la stessa cosa, o almeno la percezione di efficacia non sarebbe la stessa. Ricordiamo che in Italia e in altri paesi del mondo, se non espressamente prescritto, il farmaco di marca può essere cambiato dal farmacista con un generico più, ove disponibile. Il numero di farmaci così modificati, rispetto alle prescrizioni originarie dei medici curanti, non è nota. Siamo sicuri dunque che l’aumento dell’uso dei generici sia davvero voluto e sostenuto dai medici?

Una nuova indagine condotta negli Stati Uniti sulla compliance alle terapie farmacologiche da parte dei pazienti ha rivelato che il 64% non segue sempre il regime posologico che gli è stato prescritto. Alla luce di questi risultati, numerose associazioni di pazienti, medici, produttori di farmaci, farmacisti hanno deciso di unirsi e cercare una soluzione per venirne a capo. La coalizione si è nominata “Prescriptions for a healthy America” ed è guidata dal Council for affordable health coverage. Lo scopo che si prefigge è quello di istruire i legislatori circa l’importanza della questione, affinchè promuovano politiche pubbliche a sostegno dell’aderenza terapeutica. Secondo i risultati dell’indagine, il 92% degli intervistati sarebbe favorevole a un colloquio diretto medico-paziente sulle conseguenze del non rispetto della terapia, e sempre il 92% vorrebbe informazioni più chiare sui singoli medicinali. Il 90% ha dichiarato che la possibilità di sincronizzare la ripetizione delle ricette sarebbe utile; altrettanti intervistati credono che le tecnologie informatiche possano aiutare il medico ad accedere a informazioni aggiornate sulle prescrizioni del suo paziente. L’86% considera utili le apps-memo dei telefoni cellulari, mentre il 77% apprezzerebbe l’idea di ricevere un email o una telefonata che ricordasse di prendere i farmaci. Se le persone con patologie croniche, come molte delle malattie mentali, non rispettano le prescrizioni la loro patologia svilupperà delle complicanze nel tempo. Per questo, nell’era paziente-centrica è necessario fare sqaudra con i nostri pazienti e con tutte le altre risorse sanitarie che possano convincerli dell’importanza dell’aderenza alle terapie.