anziani depressioneLa Federazione Alzheimer Italia, rappresentante per il nostro Paese dell’Alzheimer’s Disease International, ha presentato di recente il Rapporto Mondiale Alzheimer 2015, intitolato “L’impatto Globale della Demenza: un’analisi di prevalenza, incidenza, costi e dati di tendenza”. Ci sono nel mondo 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza (la malattia di Alzheimer rappresenta il 50-60% delle demenze e quindi si possono stimare crca 24/28 milioni di casi). Questa cifra tenderà quasi a raddoppiare ogni 20 anni, fino a raggiungere 74,7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050. Sono oltre 9,9 milioni i nuovi casi di demenza ogni anno, un nuovo caso ogni 3,2 secondi. Per l’Alzheimer la stima è quindi di circa 5 milioni di nuovi malati di questa forma di demenza ogni anno.

I costi economici e sociali della demenza ammontano a 818 miliardi di dollari e ci si aspetta che raggiungano 1000 miliardi di dollari in soli tre anni. I costi globali della demenza sono cresciuti del 35% rispetto ai 604 miliardi di dollari calcolati nel Rapporto Mondiale 2010.

Il Rapporto aggiorna i dati di ADI sulla prevalenza, incidenza e costi della demenza a livello mondiale e mette in luce il crescente impatto che ha sui Paesi meno ricchi; la percentuale è destinata ad aumentare al 68% nel 2050, soprattutto a causa della crescita e dell’invecchiamento della popolazione. Si stima inoltre che per il 2050 quasi la metà delle persone affette da demenza vivranno in Asia.

Alla luce di questi risultati, il Rapporto chiede che l’impegno globale sia incentrato in particolare verso i Paesi a basso e medio reddito al fine di creare programmi che possano far crescere la consapevolezza e aumentino le possibilità di accesso a diagnosi tempestiva e assistenza. Inoltre l’ADI chiede che la classe politica di tutto il mondo affronti questo problema con una visione e una partecipazione più ampia, in particolar modo delle nazioni che fanno parte del G20. A partire dall’esigenza di maggiori fondi alla ricerca per la cura, assistenza e prevenzione della malattia, che è indicata non a caso come prirità dal Rapporto.

Per Glenn Rees, presidente dell’Alzheimer’s Disease International, “Dobbiamo utilizzare queste nuovi dati per sostenere a livello mondiale un movimento che possa combattere lo stigma causato dalla demenza. Sono necessarie, inoltre, azioni mirate ad aumentare la possibilità di accesso a una diagnosi precoce, un supporto post-diagnostico e un migliore accesso all’assistenza”.

Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia, ha infine sottolineato come: “Secondo il Rapporto ci sono attualmente in Italia 1.241.000 persone con demenza, che diventeranno 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050. I nuovi casi nel 2015 sono 269.000 e i costi ammontano a 37.6 miliardi di euro. Alla luce di questi nuovi dati, chiediamo al nostro Governo di mettere in atto il Piano Nazionale Demenze assegnandogli i finanziamenti adeguati per supportare concretamente i malati e le loro famiglie.”

anziani depressioneIl Rapporto mondiale sull’Alzheimer 2014 “Demenza e riduzione dei rischi: analisi dei fattori protettivi e modificabili”, pubblicato anche quest’anno a settembre è il frutto del lavoro del Alzheimer Disease International (ADI), che guida una campagna internazionale di sensibilizzazione e sfida allo stigma verso questa malattia.

Il rapporto rivela che il controllo del diabete e della pressione alta, nonché misure volte a favorire la cessazione del fumo per ridurre il rischio cardiovascolare, hanno il potenziale di ridurre il rischio di demenza. La relazione ha rilevato che il diabete può aumentare il rischio di demenza del 50%. L’obesità e la mancanza di attività fisica sono importanti fattori di rischio per il diabete e l’ipertensione e quindi, indirettamente anche per l’Alzheimer.

Mentre la salute cardiovascolare migliora in molti paesi ad alto reddito, molti paesi a basso e medio reddito mostrano un recente modello di crescente esposizione ai fattori di rischio cardiovascolare, con tassi crescenti di diabete, malattie cardiache e ictus.

Smettere di fumare è fortemente in rapporto con una riduzione del rischio di demenza. Ad esempio, gli studi di incidenza della demenza tra le persone dai 65 anni in sù, mostrano che gli ex-fumatori hanno un rischio simile a quelli che non hanno mai fumato, mentre coloro che continuano a fumare sono a rischio molto più elevato.

Inoltre, lo studio ha rivelato che coloro che hanno avuto una buona istruzione hanno un minor rischio di demenza in tarda vita. L’evidenza suggerisce che l’istruzione non ha alcun impatto diretto sui cambiamenti cerebrali che portano alla demenza, ma riduce il loro impatto sul funzionamento intellettuale. Il cervello, sebbene danneggiato, può funzionare ancora.

I dati nel rapporto suggeriscono che invecchiare con dei cervelli sani porterà a vivere più a lungo, più felici e più indipendenti, con una probabilità molto ridotta di sviluppare una demenza. La promozione della salute del cervello è importante durante tutta la vita, ma soprattutto nella metà della vita, perchè i cambiamenti nel cervello possono iniziare decenni prima della comparsa dei sintomi.

Condurre una vita più sana, dunque, è un passo positivo verso la prevenzione di una serie di malattie a lungo termine, come il cancro, le malattie cardiache, l’ictus, il diabete, ma anche le demenze.

Tuttavia, molte persone non ha chiare quale siano le cause e le azioni che possono essere intraprense per ridurre potenzialmente il rischio di demenza. Poco più del 17%, secondo una indagine condotta nel Regno Unito, delle persone si rendono conto che l’interazione sociale con gli amici e la famiglia potrebbe avere un impatto sul rischio. Solo un quarto ha identificato il sovrappeso come un fattore possibile, e solo uno su cinque ha detto che l’attività fisica potrebbe influenzare il rischio di sviluppare demenza. Il sondaggio ha inoltre rivelato che più di due terzi delle persone intervistate sono preoccupate di ammalarsi di demenza in età avanzata.

Esistono diversi studi che hanno evidenziato che l’incidenza della demenza può essere ridotta in paesi ad alto reddito. Ciò è legato a miglioramenti nell’istruzione e nella salute cardiovascolare. E’ necessario fare tutto il possibile per accentuare queste tendenze.

Nei paesi ad alto reddito vi è una maggiore attenzione sugli stili di vita più sani, ma questo non è sempre così nei paesi a reddito medio-basso. Entro il 2050, si stima che il 71% delle persone che vivono con demenza vivranno in queste regioni più povere.

Mentre l’età e la genetica fanno parte dei fattori di rischio della malattia, non fumare, mangiare più sano, fare un po’ di esercizio fisico e avere una buona educazione, aiutano il nostro cervello a mantenersi attivo. Ciò può giocare un ruolo nel ridurre al minimo la probabilità di sviluppare una demenza. Le persone che hanno già la demenza, o segni di questa, possono fare le stesse cose, rendendo possibile un rallentamento della progressione della malattia.

diabeteUn nuovo rapporto, pubblicato in questi giorni e disponibile a questo link, mette in evidenza che la malnutrizione è un problema grave tra le persone affette da demenza e sottolinea l’importanza di individuare la nutrizione come un potenziale fattore chiave per il benessere delle persone affette da demenza.

La ricerca ha identificato una relazione statistica che rileva che il 20-45 % di perosne con demenza mostrano una perdita di peso clinicamente significativa nell’arco di un anno.

Un team di ricercatori ha prodotto la relazione “Nutrizione e demenza: una revisione delle ricerche disponibili”, che è stata commissionata dall’Alzheimer Disease International e il Compass Group.

La relazione esamina le ricerche esistenti sui fattori dietetici lungo tutto il corso della vita che potrebbero aumentare o diminuire il rischio di sviluppare la demenza in età avanzata. Mentre l’obesità nella mezza età può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di demenza in età avanzata, la perdita di peso tende a diventare un problema più significativo nel decennio che precede il manifestarsi dei sintomi clinici della malattia e ne accelera il decorso.

Il rapporto descrive anche le azioni che potrebbero migliorare l’alimentazione delle persone affette da demenza attraverso la dieta e altri fattori esterni, come modificare l’ambiente in cui si consumano i pasti e il sostegno e la formazione delle badanti. Data l’ evidenza di interventi efficaci, c’è molto potenziale non sfruttato per migliorare l’alimentazione e lo stato nutrizionale delle persone affette da demenza .

Per le persone anziane la malnutrizione è probabilmente un problema di salute maggiore dell’obesità  ed è particolarmente comune tra le persone con demenza. Questa è un’area trascurata dalla ricerca ma dalle importanti implicazioni per la qualità della vita, la salute e il funzionamento. La perdita di peso nella demenza è molto comune e può essere una parte intrinseca della malattia, ma potrebbe essere evitata e dovremmo fare di più per affrontare il problema.

Noi di Mens Sana crediamo che un’attenzione alla dieta, lla nutrizione e al benessere sia un approccio positivo per sostenere le persone affette da demenza e coloro i quali si prendono cura delle persone affette questa malattia devastante. La relazione indica inoltre che abbiamo bisogno di più studi per capire il ruolo potenziale della nutrizione nella riduzione del rischio di sviluppo di demenza.

Il Rapporto raccomanda:

• L’adozione di standard nutrizionali di cura per le persone affette da demenza, considerate in tutti i settori della sanità e dell’assistenza sociale, pubblica e privata. Questi potrebbero includere un monitoraggio regolare del peso, così come la valutazione della dieta e dei comportamenti alimentari e la necessità di assistenza durante l’alimentazione.

• Gli assistenti familiari e professionali dovrebbero essere formati e aiutati a comprendere e affrontare le sfide che si celano dietro il mantenimento di una nutrizione adeguata per le persone con demenza.

• Una consulenza basata sulle evidenze scientifiche dovrebbe essere fornita per informare le scelte dei consumatori per quanto riguarda la bilancia dei rischi e benefici connessi con l’uso di supplementi nutrizionali che affermano di proteggere le funzioni cognitive in età avanzata, prima o dopo l’insorgenza della demenza.

• Deve essere condotta più ricerca sui componenti effettivi di una dieta che potrebbe impedire la demenza e la progressione del deterioramento cognitivo.

disturbo-ossessivoUn nuovo rapporto dei ricercatori di Alzheimer Disease International disponibile qui in versione integrale, rivela che il numero di persone affette da demenza in tutto il mondo nel 2013 è stimato a 44 milioni. Raggiungerà i 76 milioni nel 2030 e i 135 milioni entro il 2050.

I nuovi dati confermano un aumento del 17% nelle stime globali riguardo i casi di demenza, rispetto ai dati del Rapporto Mondiale Alzheimer 2009, che  stimava il numero di persone affette da demenza a 35 milioni nel 2010, 66 milioni nel 2030 e 115 milioni entro il 2050.

Per sono stati i paesi ad alto reddito ad aver sopportato il peso dell’epidemia di demenza, ma la malattia è un fenomeno globale. Nei prossimi decenni il peso della malattia si sposterà sui paesi a basso e medio reddito con il 71 % dei malati che vivranno proprio in quei paesi attorno il 2050.

I governi delle nazioni più ricche del mondo si stanno concentrando oggi sulla demenza. I paesi in via di sviluppo, con risorse limitate avranno poco tempo per sviluppare sistemi completi di protezione sociale e assistenza sanitaria. Mentre noi tutti speriamo nei progressi nel trattamento che potrebbero attenuare l’impatto di questa epidemia, dobbiamo lavorare per ridurre il tempo che passa tra la diagnosi e l’inizio del trattamento . Nessuno dovrebbe essere lasciato senza accesso al sostegno e alle cure.

Alla vigilia del vertice del G8 sulla Demenza, che si terrà a Londra, questo dato è un allarme che deve far capire che non sono solo i paesi del G8 , ma tutte le nazioni a doversi impegnare per un incremento della ricerca sulla demenza.

Il rapporto avverte che la maggior parte dei governi sono impreparati per l’epidemia di demenza, con solo 13 paesi che attualmente attuano un piano nazionale. Il rapporto chiede un piano d’azione collaborativo, a livello mondiale per le organizzazioni, i governi, l’industria e il non-profit. Afferma inoltre che la ricerca deve diventare una priorità globale al fine di migliorare la qualità e l’accessibilità delle cure, trovare trattamenti che alterano il corso della malattia e individuare più opzioni per la prevenzione.

anziani depressioneLe emicranie possono essere molto dolorose. Recenti studi indicano che questi dolori possono anche comportare un aumento del rischio di lesioni vascolari nel cervello in determinate categorie di pazienti. Scansioni cerebrali ottenute mediante Risonanza Magnetica mostrano che i pazienti con emicrania presentano più frequentemente cambiamenti nella materia bianca cerebrale rispetto alle persone senza emicrania. Dei ricercatori dell’Università di Graz hanno quindi valutato se ci siano notevoli cambiamenti nella materia bianca cerebrale tra i pazienti anziani con emicrania, in particolare se l’emicrania possa essere un possibile fattore di deterioramento mentale precoce.

I primi risultati dello studio sembrano dire che nei pazienti anziani, a meno che le loro emicranie non aumentani all’improvviso, il rischio di lesioni vascolari nella sostanza bianca cerebrale non è aumentato.

Lo studio ha coinvolto 639 persone di 74 anni di età media, che avevano cercato assistenza medica a causa di leggeri deficit neurologici, cognitivi o motorie. I soggetti dello studio sono stati valutati sulla base di un protocollo clinico completo, neuropsicologico e funzionale all’inizio del trattamento e poi annualmente per un periodo di tre anni. Nel primo esame sono state indagate possibili storie di emicrania. Inoltre, una risonanza magnetica è stata anche condotta all’inizio e alla fine del periodo di studio. Il volume e il grado di severità delle alterazioni della materia bianca è stata determinata durante queste scansioni e la progressione dei cambiamenti è stata documentata.

L’Emicrania non agisce da catalizzatore

Tra i partecipanti allo studio, il 16% (103 soggetti) ha sofferto di emicrania. La maggior parte di loro (68) avevano emicrania senza aura. Le donne con Emicrania erano tre volte di più nuemrose rispetto agli uomini (78 contro 25). Il grado di severità e l’entità dei cambiamenti nella materia bianca erano gli stessi in tutti i soggetti all’inizio del trattamento, indipendentemente se fossero pazienti con emicrania o meno. L’esame di follow-up dopo tre anni non ha rivelato alcuna significativa correlazione tra emicrania e la progressione dei cambiamenti nella materia bianca. Nessune specifiche differenze di genere sono stati rilevate, la correlazioni presunte tra mal di testa e cambiamenti neurologici non c’è stata. I risultati indicano che la correlazione tra emicrania e cambiamenti nella materia bianca è un fenomeno specifico delle persone più giovani e presumibilmente attribuibili a qualche altro meccanismo patogenetico. Ulteriori studi su un campione casuale maggiore della popolazione generale saranno necessari per chiarire la correlazione tra emicrania e malattie vascolari nel cervello.

Le piccole cellule bianche

La materia bianca è il nome del componente del sistema nervoso centrale comprendente numerosi assoni. Questi assoni sono ricoperti con uno strato di grasso biancastro, che li rende straordinariamente conducibili. La materia bianca rappresenta più della metà della massa del cervello degli esseri umani. Essa funge da centro di collegamento indispensabile perché circuiti differenti delle aree del cervello possano essere collegati, anche a grande distanza. La sostanza bianca è stata a lungo messa in ombra nella scienza dalla materia grigia in quanto quest’ultima è associato con le operazioni mentali coinvoltr nel pensare e nell’agire. Tuttavia, la materia bianca è fondamentale per le funzioni cerebrali, per l’apprendimento e per il comportamento sociale.

insonniaIl sonno è spesso interrotto nelle persone con un probabile esordio precoce della malattia di Alzheimer, prima ancora della perdita di memoria o di altri problemi cognitivi caratteristici della malattia conclamata. Lo evidenzia uno studio pubblicato a Marzo nella sezione Neurologia del JAMA.

I primi dati disponibili indicano provvisoriamente il collegamento patologico potrebbe funzionare in entrambe le direzioni – ovvero le lesioni tipiche dell’Alzheimer potrebbero disturbare il sonno, e la mancanza di sonno favorire le lesioni peculiari dell’Alzheimer.

“Questo collegamento può fornirci un segno facilmente rilevabile di patologia di Alzheimer”, ha detto l’autore dello studio David M. Holtzman. “Come si iniziano a trattare le persone che presentano i marcatori precoci di Alzheimer, i cambiamenti nel sonno in risposta ai trattamenti possono costituire un indicatore del fatto che le nuove terapie siano efficaci”.

I problemi del sonno sono comuni nelle persone che hanno un Alzheimer sintomatico, ma i ricercatori solo di recente hanno iniziato a sospettare che i problemi del sonno possono essere un indicatore precoce di malattia. Questo nuovo studio è tra i primi a collegare stadi precoci della malattia di Alzheimer e disturbi del sonno negli esseri umani.

Per lo studio, i ricercatori hanno reclutato 145 volontari tra i 45 e 75 anni presso l’Università di Washington. Tutti i partecipanti erano cognitivamente normali quando si sono arruolati.

Come nella routine di altre ricerche presso il centro, gli scienziati avevano già analizzato campioni di fluidi spinali dei volontari per i marcatori della malattia di Alzheimer. I campioni hanno mostrato che 32 partecipanti avevano un morbo di Alzheimer preclinico, nel senso che potevano avere placche amiloidi presenti nel cervello, ma non mostravano ancora deterioramento cognitivo.

I partecipanti hanno tenuto diari del sonno giornalieri per 2 settimane, annotando l’ora in cui andavano a letto e in cui si alzavano e altre informazioni legate al sonno. I ricercatori hanno monitorato i livelli di attività muscolare dei partecipanti utilizzando sensori indossati sul polso che rilevavano i movimenti.

“La maggior parte delle persone non si muovono quando sono addormentate e abbiamo sviluppato un modo per utilizzare i dati che abbiamo raccolto come marker per capire se una persona fosse addormentata o sveglia”, ha detto Yo-El Ju, della Washington University. “Questo ci permette di valutare l’efficienza del sonno, che è una misura di quanto tempo la persona ha trascorso a letto addormentata.”

I partecipanti con malattia di Alzheimer preclinica avevano una efficienza del sonno più povera (80,4%) rispetto alle persone senza marcatori del morbo di Alzheimer (83,7%). In media, quelli con malattia preclinica stavano a letto più a lungo degli altri partecipanti, ma hanno passato meno tempo dormendo. “Quando abbiamo analizzato in particolare i casi peggiori- quelli con una efficienza del sonno inferiore al 75% – questi avevano più di 5 volte in più la probabilità di avere la malattia di Alzheimer allo stadio preclinico” ha constatato il Dott. Ju.

I ricercatori stanno ora seguendo partecipanti più giovani che hanno disturbi del sonno.