In questa sezione del sito potrete porre le vostre domande ai professionisti di Mens Sana riguardo i disturbi mentali, le terapie farmacologiche, le psicoterapie, oppure chiedere consigli e consulenze ai nostri esperti.
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Al giorno d’oggi, ci sentiamo tutti stressati dal traffico, dal lavoro, da richieste eccessive… ma sappiamo davvero cosa sia? E soprattutto, cosa è il burnout? In realtà la risposta da stress è fondamentale per la sopravvivenza: è infatti l’eccessiva attivazione che risulta dannosa per l’individuo.

Quando avviene una prolungata esposizione allo stress in ambito lavorativo, si crea uno stato sia fisico sia emozionale (Maslach, 1982): ci troviamo di fronte al burnout, o anche detto “stress lavoro-correlato”, sindrome che si sviluppa nell’ambito lavorativo, e che presenta delle conseguenze comportamentali che interferiscono sia con la vita personale e privata, sia con quella organizzativa. Letteralmente “bruciare”, il termine rimanda da un lato alla passione che l’individuo mette nel proprio lavoro, e dall’altro all’incapacità del fuoco di ardere quando è privo di risorse. Così come il fuoco, le energie del lavoratore diminuiscono col tempo e lo rendono bisognoso delle giuste risorse offerte dal contesto lavorativo per svolgere al meglio la propria funzione (Prince, 1980). Dopo Freudenberg, che per primo utilizzò il termine in ambito sociosanitario come sinonimo di fallire e logorarsi, Christina Maslach (la massima esperta di burnout) lo utilizzò per definire una sindrome psicologica alla quale sono maggiormente esposti gli operatori delle “helping profession”, le professioni d’aiuto. L’autrice descrive il burnout come sindrome caratterizzata da tre dimensioni:

  1. Esaurimento emotivo, la caratteristica centrale del burnout, che fa sentire il lavoratore emotivamente inaridito, esaurito dal lavoro, in quanto percepisce richieste eccessive rispetto alle risorse disponibili. (Maslach e Leiter, 2000).
  2. La depersonalizzazione, che rappresenta l’aspetto interpersonale dello stress: il soggetto in burnout esprime sentimenti negativi di distacco e disinteresse nei confronti del proprio lavoro ma soprattutto dei destinatari del proprio servizio (Maslach e Leiter, 2000);
  3. La ridotta realizzazione personale: sentirsi inadeguati e poco competenti per svolgere il proprio lavoro. Le conseguenze evidenti sono il crollo dell’autostima e la sensazione d’insuccesso nel proprio mestiere (Maslach e Jackson, 1981).

All’inizio, gli studi si sono concentrati sula ricerca delle cause del fenomeno, focalizzandosi su aspetti individuali o condizioni ambientali e lavorative. Oggi sappiamo che l’insorgere della sindrome del burnout è determinata dalla coesistenza di entrambi, insieme ai fattori culturali e interpersonali.

Il burnout si manifesta anche son sintomi somatici, quali disturbi del sonno, dell’alimentazione, il mal di testa e l’emicrania, i disturbi gastrointestinali, la nausea, le disfunzioni sessuali, la rigidità e i dolori muscolari (soprattutto nella zona del collo), la stanchezza cronica, le malattie della pelle, l’abbassamento delle difese immunitarie, cosa che predispone il lavoratore a malattie e sintomi psicosomatici come l’ulcera, raffreddori e influenze (Cherniss, 1983; Schaufeli e Enzmann, 1998).

I sintomi dell’operatore in burnout sono visibili anche a livello cognitivo, con alterazioni emozionali; sono presenti vissuti di depressione, sbalzi di umore, ansia, pianto, esaurimento emotivo, scarsa autostima e sfiducia nelle proprie capacità, senso di impotenza, incapacità a concentrarsi e difficoltà di memoria, disinteresse per il lavoro, rassegnazione, disillusione. Ciò si traduce in comportamenti di assenteismo, ritardi, lunghe pause, scarsa creatività, rifiuto di nuove e importanti responsabilità (Tomei, Cinti, Palitti, Rosati, Tria, Monti, Fioravanti, 2008).

Spesso, nel tentativo di trovare soluzioni a tali vissuti, il lavoratore si spinge all’assunzione frequente di tranquillanti, sostanze psicotrope, caffeina, droghe, farmaci, alcool e tabacco (Mordini, Castellucci, Giardi e Tripaldi, 2013), con ulteriori conseguenze negative sulla sua salute.

Il burnout si può riconoscere e rilevare tramite strumenti come il “Maslach Burnout Inventory” (MBI), un questionario che misura le tre dimensioni già discusse, che permette di essere consapevoli della presenza del problema all’interno di un ambiente lavorativo e, auspicabilmente, prendere provvedimenti allo scopo di migliorare la qualità di vita del lavoratore all’interno del contesto lavoro, e di conseguenza migliorare la qualità del lavoro stesso.

Di Giuditta di Filippo

 

Dal momento che passiamo circa un terzo della nostra esistenza dormendo e nonostante sia un’attività che diamo per scontata, i disturbi del sonno possono essere causa o conseguenza di numerosi problemi e avere un impatto significativo sulla nostra qualità di vita.

Il sonno è un comportamento. Questa affermazione può sembrare bizzarra, poiché siamo soliti a pensare ai comportamenti come attività che implicano movimento, come camminare. Il sonno non è contraddistinto propriamente dal movimento, la sua caratteristica peculiare è la sonnolenza insistente che induce a cercare un luogo tranquillo e confortevole in cui sdraiarsi e che ci permetta di riposare.

Infatti, sappiamo molto bene quanto possa essere assillante il bisogno di dormire e quanto ne risentiremmo, se fossimo costretti o ci capitasse di rimanere svegli per tutta la notte. Non è possibile rimandare a tempo indefinito il bisogno di dormire, il sonno presto o tardi arriverà, indipendentemente da quanto una persona si sforzi di rimanere sveglia. Quando siamo costretti a perdere una notte del nostro prezioso sonno, diventiamo molto sonnolenti. Il fatto che la sonnolenza eserciti una pressione così elevata, ci suggerisce che il sonno sia una necessità vitale.

Ma a cosa serve dormire? Qual è la sua principale funzione?

Gli studi di deprivazione di sonno sugli uomini non hanno fornito prove sufficienti per sostenere che il sonno sia necessario a mantenere normale il funzionamento del corpo. Horne (1978) conducendo più di 50 esperimenti con individui deprivati di sonno, ha affermato che la maggior parte di essi dimostra che la deprivazione di sonno non interferisce con l’abilità di eseguire esercizi fisici, ma con le abilità cognitive (es. distorsione delle percezioni, difficoltà di concentrazione in un compito). Perciò il ruolo principale del sonno non sembra essere il ristoro e recupero del corpo, ma della mente.

La maggior parte dei ricercatori ritiene che la principale funzione del sonno ad onte lente sia permettere al cervello di riposare, sebbene il cervello umano rappresenti solo il 2% del peso corporeo totale, esso consuma il 20% delle energia disponibile.

Si deduce da diversi studi che le prestazioni cognitive individuali siano influenzate da questa attività: una giornata impegnativa dal punto di vista mentale si associa con una maggiore quantità di sonno profondo, dunque il cervello ha bisogno di dormire per funzionare al meglio dell’efficienza (Harrison, Horne).

Antonietta De Marco

Mens Sana Onlus si occupa dal 2009 di assistenza nel campo della salute mentale. Operando nel territorio di Roma e Provincia e ritenendo fondamentale, come ente del terzo settore, il dialogo con le istituzioni, a ogni tornata elettorale che coinvolge il nostro territorio rivolgiamo alcune domande ai candidati di tutte le liste che dovranno rappresentare i cittadini, sul tema della salute mentale. Ci sembra fondamentale conoscere e far conoscere le idee su come amministrare la salute mentale della nostra regione, di coloro i quali, con la loro azione politica, avranno la possibilità di apportare cambiamenti e miglioramenti in questo settore.
Scorrendo i programmi elettorali dei diversi schieramenti in corsa, non abbiamo trovato molte idee sulla salute mentale. In molti programmi non vi è alcun cenno. Un candidato, uno solo, a cui abbiamo posto i nostri quesiti ci ha risposto. Si tratta di Gianluca Perla, cadidato della Lista Pirozzi al Consiglio Regionale del Lazio.
La nostra associazione, apartitica e aconfessionale, non dà nessun endorsment ai candidati ma, come impegno civico parte della nostra mission, pubblichiamo le idee riguardo la salute mentale al fine di offrire una conoscenza più approfondita di un candidato a rappresentarci alla Regione.

1. Qual è la sua opinione sull’attuale sistema della salute mentale del Lazio? Reputa necessari dei cambiamenti? Se sì, quali pensa di proporre al prossimo governo della Regione? 

Il problema della salute mentale nel Lazio – attualmente- è una rete bucata. Sinora ci sono state politiche carenti, servizi discontinui e settoriali che hanno creato e creano “cronicità” invece che riabilitazione e reinserimento. Detto questo ne  consegue che occorrono dei necessari miglioramenti, ponendo mano all’intera rete di assistenza sanitaria e sociale. Attualmente nel Lazio ci sono 22 servizi di diagnosi e cura , 290 posti letto publici, 800 posti letto convenzionati, 46% in media la carenza di personale nel pubblico. Un punto essenziale è che i servizi sanitari e sociali pubblici sono strutturati in modo differente nella vasta area romana e del resto della regione, a volte sono ricchi , talaltra inesistenti ; in alcuni luoghi integrati con le ASL, in altri con accordi periferici ed occasionali con un mix di social – privato- pubblico di scarso respiro. E’ stata in generale sostituita la programmazione dei servizi con assetti organizzativi tramite convenzioni, protocolli e delibere particolari. Il risultato è che, anche in questo campo, nel territorio è disattesa l’universalità dell’offerta, con conseguenti discriminazioni che negano di fatto i diritti. Per il prossimo futuro occorre porre mano all’intera rete di assistenza sanitaria e sociale per dare risposte concrete ed adeguate; il piano strategico dovrebbe essere ripensato facendo un’analisi dei mezzi con i quali sono stati raggiunti i buoni risultati, che dei bisogni per sviluppare le buone pratiche, escludendo quelle che hanno prodotto ricoveri e cronicità. Occorre pensare ad un budget piu’ congruo per questo tipo di malattie per assorbire più figure professionali e andrebbe rivista la modalità di partecipazione del volontariato nel senso che occorre riconoscere la piena autonomia e progettualità, potenziando le enormi energie esistenti. Anche l’associazionismo dei familiari ha bisogno di essere sostenuto ulteriormente, sia nel ruolo propositivo nelle scelte programmatiche dei servizi, sia nei ruoli rappresentativi di consultazione. Per questo le Consulte dovrebbero essere riformate, stimolando l’aumento delle presenze e garantendo la parita’ di diritti soprattutto al volontariato.

2. In questa campagna elettorale regionale, analizzando le rassegne stampa, i programmi e i comunicati dei candidati alla Presidenza, non è stato dato alcuno spazio al tema della salute mentale. Qual è il motivo? Tutti i candidati hanno ribadito di quanto sia pesante nel bilancio della Regione la voce “Sanità” (circa l’80%). Quanto reputa rilevante l’impatto sociale della salute mentale, quanto peserà nella sua azione politica di rappresentanza?

E’ vero si parla poco dei pazienti psichiatrici; a volte qualche esponente politico, alla mia proposta di porre attenzione a questi cittadini ed a loro congiunti, mi fu risposto: “A chi puo’ interessare uno sparuto numero di persone, che probabilmente non avra’ neanche la capacita’ di esprimere il suo voto?”. Ecco nella Politica occorre indubbiamente tanta onesta’ ma è FONDAMENTALE la sensibilita’ e l’umanita’oltre alla conoscenza -importantissima- delle problematiche. A questo va aggiunto anche lo stigma della malattia mentale; l’ esternazione di essa è bloccata dalla paura e dalla vergogna… a causa dei pregiudizi che ancora comporta. Senza capire che la malattia mentale è la rappresentazione di una debolezza psicologica che si puo’ affrontare e curare e per curarla occorre investire in termini economici che tradotti significa investire in strutture e personale qualificato e preparato. Mai come in questo caso è valido il concetto che “Chiedere aiuto è il primo passo per guarire”.

3. Molti dei nostri pazienti denunciano che a livello regionale, nonché nazionale, le categorie disagiate, in difficoltà, hanno una loro rappresentanza e le loro istanze, seppur parzialmente, vengono discusse nei luoghi della politica. Tutte tranne le persone affette da disturbi psichiatrici. SMS solidali, campagne di sensibilizzazione e prevenzione, fondi per il terzo settore: una mano, giustamente, è tesa a migranti, donne vittime di violenza, minoranze religiose e linguistiche, minori e carcerati. Per i malati di disturbi psichiatrici non si fa praticamente nulla. Come pensa di invertire questa discriminante tendenza nel Lazio?

Questa domanda è molto legata – concettualmente- alla seconda. Il motivo per cui la politica non tende la mano a questi pazienti è perchè LORO (ed anche i loro parenti ) hanno una forte ritrosia a far valere ” pubblicamente ” i loro diritti per un ‘inspiegabile vergogna , alla quale si aggiunge la difficolta’ di riconoscere e dare un nome a quello che si prova , pensando sempre ad attimi passeggeri . Queste convinzioni sbagliate e fin troppo radicate fanno si che questi disagi vengono taciuti fino a quando è troppo tardi. Per evitare questa esclusione da parte della Politica occorre che vengano fatte campagne di divulgazione , non facendo piu’ considerare le malattie psichiatriche malattie incurabili ed inabilitanti. Naturalmente devono essere modificate le norme riguardanti le attivita’ lavorative e tutto cio’ che riguarda la vita di relazione e l’inclusione sociale.

4. Reputa ancora valido il sistema di competenza territoriale, per il quale chi ha disturbi psichiatrici deve obbligatoriamente rivolgersi al proprio distretto sanitario di residenza per ricoveri e cure ambulatoriali? Ha, per lei, ragione di esistere questo tipo di modello? Perché posso chiedere una visita ambulatoriale o un ricovero presso un ospedale della Regione, rinomato per una determinata specialità e non posso farlo se soffro di un disturbo psichiatrico? Non le sembra che si configurino così una limitazione del diritto di scelta del cittadino, delle disparità nel trattamento e un ostacolo alla competizione e quindi al miglioramento dell’offerta per quanto riguarda la salute mentale?

Assolutamente errato l’utilizzazione del recinto territoriale per la cura delle malattie mentali; non abbiamo una Politica basata sul federalismo e pertanto è incomprensibile ed è da modificare questa restrizione territoriale per eventuali ricoveri e cure ambulatoriali. Assolutamente è una forma di discriminazione che va ABOLITA. Se non hanno voce questi pazienti sono le Istituzioni, i rappresentanti della Politica che devono dare voce a loro; se il problema è di pertinenza economica non è giustificable in quanto il costo rientra sempre nel bilancio Regionale, se il problema è di mancata organizzazione sanitaria (mancanza di personale medico, infermieristico) questo problema puo’ e deve essere risolto in quanto i finanziamenti destinati alla Sanita’ devono essere utilizzati per i pazienti e per chi vi opera all’interno. Certo: i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il SSN e si presentano in tutte le classi di eta’ ed avendo queste malattie un’origine multifattoriale necessitano di un trattamento integrato (psichiatrico, psicologico, farmacologico,riabilitativo) che frequentemente ingaggia, oltre che il malato, anche la famiglia. Poiche’ in alcuni casi si puo’ avere una guarigione vera e propria e poiche’ il paziente deve essere un soggetto attivo non è comprensibile una limitazione di scelta del luogo di cura da parte di pazienti, ancora piu’ sensibili di altri paz. affetti da altre patologie.

 

Cari esperti di Mens Sana,

Sono una ragazza di 22 anni. Per diversi anni ho fatto uso di cannabis, a partire dai 16-17 anni ed ho smesso da alcuni mesi. Già un anno fa, ho attraversato un periodo depressivo e smisi di farne uso, ma non appena ricominciai a sentirmi un po’ più sollevata ripresi a fumare e a frequentare le vecchie amicizie; questo mi aiutò a rimettermi, almeno per il momento. Da giugno di quest’anno (anche se con alcuni ma rari riutilizzi) ho deciso nuovamente di smettere perchè la sostanza non mi permetteva di vivere tutti gli aspetti di una vita soddisfacente e attiva, che mi consentisse anche di sostenere i miei esami universitari. Mi ritrovo ora con alcuni problemi tra i quali: difficoltà di concentrazione, scarsa memoria in fatto di nomi (se mi dicono un nome nuovo in una conversazione, ad esempio di un artista o personaggio famoso fatico a ricordarlo nonostante me lo ripetano); un peggioramento nel liguaggio, poco fluido; non mi vengono in mente termini o parole e spesso li sbaglio; lentezza nel concentrarsi su due cose contemporaneamente. Questo mi crea tanto disagio. Sono anche una persona emotiva e che si abbatte facilmente, con il risultato tra l’altro che continuo a rimuginare sugli sbagli che faccio. Riconosco i miei errori, ma cambiare il passato non è possibile. Volevo sapere se quello che vi ho descritto potrebbe considerarsi sintomi d’astinenza oppure dovrei in qualche modo rassegnarmi a questo declino cognitivo e sperare di migliorare con degli esercizi e continuando lo studio (esistono terapie di recupero in questo senso? quali esercizi prediligere?). Dovrei fare una visita neurologica? Aspetto una risposta in ogni caso confortante. Grazie in anticipo.

Sara

 

Cara Sara,

Quelli che descrive non sono sintomi da astinenza da cannabis. Ha fatto bene a smettere, quello che le stava accadendo lo descrive bene lei ed è quello che succede a molte persone che assumono cannabinoidi: ” la sostanza non mi permetteva di vivere tutti gli aspetti di una vita soddisfacente ed attiva che mi consentisse anche di sostenere i miei esami universitari”.
Quello che le succede ora può essere in parte dovuto agli effetti tossici che ha il THC (principio attivo della cannabis) sul sistema nervoso: un calo delle prestazioni cognitive, sia per quanto riguarda la memoria che la performance. Fortunatamente, essendo giovane, il suo cervello recupererà le sue funzioni e, se non fumerà più cannabis, tornerà ad essere brillante come prima e più di prima. Non si deve abbattere dunque, ma deve andare avanti, tenendo attivo il suo cervello, studiando, coltivando degli interessi e delle relazioni sociali. Non ha bisogno di esercizi di stimolazione cognitiva, quelli sono riservati agli anziani, che hanno problemi cognitivi diversi dal suo.

Dott. Marco Paolemili

Sono una ragazza di 21 anni con una mamma che, purtroppo, da 4 anni soffre di depressione in conseguenza alla separazione da mio Padre. Ci sono sempre stati molti problemi legati alla separazione, e mia mamma, persona molto sensibile, ne ha sofferto e ne sta ancora soffrendo molto. Ha fatto svariate cure terapeutiche con antidepressivi (dosi sostanziose) ma, ahimè, ha preso molto peso ed è molto gonfia. Io, come figlia, sto cercando di fare il possible per aiutarla, ma non nascondo di avere molta paura per il futuro. Io cerco costantemente di rincuorarla, di starle vicino e di rassicurarla dicendole che il peso che ha preso lo perderà, ma ho bisogno di una conferma da parte di Voi specialisti. Per questo vi scrivo, per un aiuto da parte vostra.

Ilenia

Gentile Signora Ilenia,

Spesso le cure con questi tipi di farmaci portano ad un aumento dell’appetito, a modificazioni del metabolismo e quindi ad un aumento di peso. Trovando le cure giuste e con le diete giuste però il peso si troppo si può perdere. Si può trovare un farmaco che dia meno questo effetto collaterale o fare delle diete alimentari specifiche a basso contenuto di calorie e carboidrati per controllare la fame, perdere peso rapidamente e riabituare il metabolismo.
Se vuole le nostre strutture la possono aiutare in questo. Seguiamo i nostri pazienti in questo cammino non sempre facile, aiutandoli anche a superare quegli effetti collaterali che a volte sono un alto prezzo da pagare.
A presto
Dott. Marco Paolemili

 

Ho letto con interesse gli articoli sui casi di aumento di peso. La mia esperienza al riguardo e’ la seguente:
Esattamente il 19 marzo, dopo ben 8 mesi di malesseri generali, dovuti ad una situazione di vita molto stressante sono finita al pronto soccorso con un attacco di panico molto molto forte. Dopo essermi ripresa lo psichiatra mi ha prescritto una cura di zoloft da 25 mg e xanax a rilascio prolungato da 1 mg, da seguire per 3 mesi e mi ha consigliato di seguire una terapia dallo psicoterapeuta. Da subito sono stata molto meglio e dopo tre mesi sono riuscita a dimezzare lo xanax a 0,5 mg.
Ora le cose sono molto migliorate in generale, anche nella vita privata. Nel mentre però l’unico effetto collaterale che ho avuto e’ un aumento di peso, non eccessivo ma comunque per me destabilizzante e soprattutto molta ridenzione idrica. Premetto che io non ho mai pesato più di 57 kg e ho un sempre avuto un fisico molto asciutto (12 anni di danza).
Nel momento prima di iniziare a prendere i medicinali però pensavo 54 kg ed ora oscillo tra i 60 e i 62. Mi sento più gonfia che ingrassata. La mia alimentazione e’ ed e sempre stata molto equilibrata e varia, non so cosa fare per perdere peso. Vorrei sapere se c’è una dieta particolare da seguire e se c’ e qualche abitudine o regola da seguire.

Deborah

 

Cara Deborah,

Il suo aumento di peso può essere dovuto allo Zoloft. Solitamente la Sertalina (il principio attivo dello Zolft) aumenti di peso eccessivi come altri farmaci, ma può farlo anche questa molecola. Se faceva danza, quindi attività fisica impegnativa e ora ne fa meno o nulla, allora l’aumento di peso, la ritenzione idrica e la diminuzione della massa magra muscolare (che viene sostituita dal grasso) può aver contribuito a questo risultato. Fare attività fisica l’aiuterà sicuramente a bruciare più calorie e a perdere peso. Altro fattore è il tipo, la qualità dei cibi che mangia. Deve limitare il consumo dei carboidrati, perchè, quelli in eccesso, vengono trasformati in grasso che contribuisce anche alla ritenzione idrica, al gonfiore. E’ il principio del tipo di dieta che proponiamo ai nostri pazienti con questi problemi: gestire la fame e controllare il peso modificando l’apporto di carboidrati (che non sono solo i dolci, ma anche il pane, la pasta, le patate, la frutta, i latticini e i formaggi). Non deve eliminare questi alimenti, soprattutto la frutta, ma prediligere ad esempio il pane e la pasta integrali, il latte scremato ed evitare di mangiarli da soli in un pasto: sarà sazia rapidamente ma rapidamente tornerà la fame.

Dott. Marco Paolemili