cervello-schizofrenia

insonniaI pazienti ad alto rischio clinico per la psicosi sembrano avere più problemi di sonno rispetto a coloro che non mostrano un elevato rischio di ammalarsi di una psicosi, secondo uno studio pubblicato su Psychiatry Research. Il rapporto ha anche riscontrato che i disturbi del sonno sono legati a maggiori sintomi positivi e negativi e peggiore funzionamento complessivo.

I risultati suggeriscono che il target terapeutico dei disturbi del sonno nei soggetti ad alto rischio di psicosi può fornire mezzi alternativi di trattare questa condizione ed evitare che evolva una psicosi conclamata.

I ricercatori della Columbia University Medical Center e dell’Istituto Psichiatrico dello Stato di New York hanno messo a confronto i disturbi del sonno di 194 pazienti di età compresa tra 13 e 30 anni che hanno soddisfatto i criteri per un altro rischio di psicosi con 66 controlli sani. Per valutare i disturbi del sonno in tutti i partecipanti è stata usata una scala specifica. La valutazione globale del funzionamento e del funzionamento sociale sono stati utilizzate per valutare il funzionamento sociale, occupazionale e generale.

I ricercatori hanno scoperto differenze significative nei sintomi positivi, sintomi negativi, disturbi del sonno e funzionamento generale tra i due gruppi: sintomi negativi e positvi, assieme ai disturbi del sonno erano maggiori nei soggetti a rischio di psicosi. Nessuna caratteristica particolare del disturbo del sonno può predirre una progressione verso la psicosi conclamata, ma il corso alterato del sonno e l’inversione giorno/notte sono correlati a sintomi positivi più gravi. La stanchezza durante il giorno è invece correlata significativamente ai sintomi negativi. L’alterazione del corso del sonno è legata, infine, a un funzionamento complessivo peggiore.

Questo studio conferma i risultati precedenti, ma ha il merito di aver indagato con più accuratezza quali aspetti dei disturbi del sonno possono essere correlati a un peggioramento della psicosi. Trattare i disturbi del sonno, dunque, deve essere una priorità se si vuole trattare efficacemente un paziente.

dna

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Una ricerca internazionale ha gettato nuova luce su come le variazioni di sequenze del DNA siano in grado di influenzare l’attività dei geni nel cervello umano in via di sviluppo e predisporre un individuo alla schizofrenia.

Ricercatori dell’Università di Exeter, del King’s College di Londra e dell’Università di Cardiff, hanno condotto il primo studio per verificare come la variazione genetica influenza la metilazione del DNA, una modificazione epigenetica che può avere effetti diretti sulla espressione genica e lo sviluppo del cervello. Nella ricerca pubblicata su Nature Neuroscience, è stata dimostrata la potenziale utilità di tali dati per comprendere i segnali genetici associati con malattie collegate allo sviluppo neurologico, come la schizofrenia.

La metilazione del DNA è una modificazione chimica di una delle quattro basi che compongono il codice genetico, che controlla quando e dove i geni debbano essere espressi. Come con altri segnali epigenetici, la metilazione è nota per essere dinamica in tutto il corso della vita e modificabile da una serie di fattori. Questo processo può rappresentare un possibile nesso tra le variazioni genetiche e lo sviluppo della malattia. In questo studio gli autori hanno verficato che le varianti genetiche associate alla schizofrenia hanno un impatto sulla metilazione del DNA nel cervello in via di sviluppo. È di particolare interesse che alcuni dei fattori di rischio genetici per la schizofrenia sono associati a differenze nella metilazione del DNA già nel primo e secondo trimestre di vita, a riprova che questa malattia fonda le sue origini molto precocemente.

Questo studio è stato realizzato grazie agli enormi progressi nell’identificazione dei rischi genetici per la schizofrenia negli ultimi anni. La variazione genetica può avere effetti significativi sulla regolazione dei geni durante lo sviluppo del cervello, con importanti implicazioni per la comprensione delle origini della schizofrenia e di altri disturbi che vedono nello sviluppo neurologico una componente chiave.

Si ritiene che nella schizofrenia i cambiamenti nelle prime fasi di sviluppo del cervello aumentino la responsabilità di un individuo di sviluppare la malattia più tardi nella vita. Pertanto la comprensione degli effetti genetici delle varianti a rischio sulla regolazione genica durante le prime fasi di sviluppo del cervello possono chiarirci le basi biologiche della schizofrenia.

cervello-schizofrenia

cervello-schizofreniaUno studio pubblicato a dicembre nel Journal of Psychiatry è il primo a scoprire che le cellule immunitarie sono più attive nel cervello delle persone a rischio di schizofrenia e in quelle a cui è già stata diagnosticata la malattia.

La scoperta potrebbe cambiare completamente la nostra attuale comprensione della schizofrenia, aumentando la possibilità di mettere a punto dei test per le persone più a rischio. Ciò potrebbe consentire loro di essere trattati abbastanza presto per evitare i suoi sintomi più gravi.

I ricercatori inglesi del Medical Research Council Clinical Sciences Centre hanno usato la tomografia a emissione di positroni (PET) per misurare i livelli di attività delle cellule immunitarie nel cervello. Queste cellule, note come microglia, rispondono a danni e infezioni del cervello e sono anche responsabili della riorganizzazioni delle connessioni tra le cellule cerebrali in modo che esse funzionino nel miglior modo possibile: un processo noto come “potatura”.

Il team ha testato un gruppo di 56 persone, tra cui quelli già con diagnosi di schizofrenia, le persone a rischio della malattia e quelli con solo alcuni sintomi del disturbo. I ricercatori hanno scoperto che i livelli di attività della microglia nel cervello sono aumentati a seconda della gravità dei sintomi nelle persone con schizofrenia e che le persone con schizofrenia diagnosticata avevano alti livelli di attività di queste cellule immunitarie nel loro cervello.

Questi risultati sono particolarmente importanti, perché era precedentemente noto che queste cellule si attivano prima o dopo l’insorgenza della malattia. Ora è stato mostrato che la microglia potrebbe essere annoverata tra i meccanismi di genesi malattia e si potrebbero mettere a punto nuovi farmaci.

La schizofrenia è un disturbo potenzialmente devastante e abbiamo un disperato bisogno di nuovi trattamenti per aiutare chi soffre, e in ultima analisi, per evitare che la malattia insorga.

Questo è uno studio promettente in quanto suggerisce che l’infiammazione può contribuire alla schizofrenia e ad altri disturbi psicotici. Ora sarà importante verificare se i trattamenti anti-infiammatori possono essere utili. Questo potrebbe portare a nuovi trattamenti o addirittura alla prevenzione di questi disturbi.

 

Image credit: Peter Bloomfield, Sudhakar Selvaraj, Mattia Veronese e Oliver Howes.

stop fumoLe persone che soffrono di psicosi hanno tre volte più probabilità di essere fumatori di tabacco, rispetto a persone sane. Anche se l’associazione tra fumo di sigarette e psicosi – in particolare la schizofrenia – è stato riconosciuto in precedenza, è stata rivolta scarsa attenzione alla possibilità che le sigarette possano aumentare il rischio di psicosi.

Nel passato, varie spiegazioni differenti sono state proposte per spiegare perché le persone affette da psicosi hanno maggiori probabilità di essere fumatori rispetto al resto della popolazione. Queste includono il sollievo dalla noia o dall’angoscia, l’auto-medicazione, per cui il fumo contrasta i sintomi negativi della schizofrenia o gli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici. Tuttavia, se questo fosse vero, i ricercatori si aspetterebbero di trovare tassi di fumatori aumentati solo negli individui che hanno già sviluppato una psicosi.

I ricercatori inglesi hanno condotto una meta-analisi di 61 studi osservazionali che comprendono quasi 15.000 fumatori di tabacco e 273.000 non fumatori. Hanno analizzato la frequenza dei fumatori che presentano il loro primo episodio di psicosi e hanno scoperto che il 57% di questi individui erano fumatori.

Le persone con un primo episodio di psicosi erano, dunque, tre volte più spesso fumatori rispetto a quelli del gruppo di controllo. I ricercatori hanno scoperto anche che i fumatori quotidiani hanno sviluppato la malattia psicotica circa un anno prima rispetto ai non fumatori.

Secondo gli autori, questi risultati mettono in discussione l’ipotesi dell’auto-medicazione, suggerendo che il fumo può avere un ruolo causale nella psicosi, insieme ad altri fattori genetici e ambientali. Tuttavia, essi riconoscono che nonostante abbiano trovato un’associazione tra fumo e psicosi, la direzione di causalità è difficile da determinare. Inoltre, pochissimi studi inclusi nella meta-analisi controllavano il consumo di sostanze diverse dal tabacco, come la cannabis, che può aver avuto un impatto sui risultati.

Anche se è sempre difficile per determinare la direzione di causalità, i risultati indicano che il fumo dovrebbe essere preso seriamente come possibile fattore di rischio per lo sviluppo di psicosi e non archiviato semplicemente come conseguenza della malattia.

L’attività all’interno del sistema della dopamina del cervello potrebbe essere la chiave della spiegazione di un possibile nesso causale tra il fumo e la psicosi.

La dopamina in eccesso è la migliore spiegazione biologica che abbiamo per malattie psicotiche come la schizofrenia. È possibile che l’esposizione alla nicotina, aumentando il rilascio di dopamina, provochi lo sviluppo dei sintomi psicotici.

In considerazione degli evidenti benefici dei programmi disponibile per la disassuefazione dal fumo, deve essere fatto ogni sforzo per attuare un cambiamento anche in questi pazienti.

cannabisGli scienziati hanno scoperto che il 24% di tutti i nuovi casi di psicosi sono associati all’uso di cannabis ad alta potenza. Inoltre, il rischio di psicosi è di tre volte superiore nei forti consumatori di cannabis e cinque volte superiore in coloro che ne utilizzano ogni giorno. A evidenziarlo è un articolo pubblicato sulla rivista Lancet Psychiatry.

I risultati, basati su uno studio di quasi 800 persone di età compresa tra 18-65 nel sud di Londra, hanno importanti implicazioni per la prevenzione delle psicosi associate alla cannabis, nonché lo sviluppo di nuovi trattamenti.

Rispetto a coloro che non avevano mai provato la cannabis, gli utenti di cannabis ad alta potenza hanno mostrato un aumento di tre volte del rischio di sviluppare una psicosi. Il rischio per coloro che usano ogni giorno cannabis è ancora più elevata: gli autori hanno dimostrato un aumento del rischio cinque volte superiore rispetto alle persone che non usano mai cannabinoidi.

I risultati mostrano che il rischio psicosi in consumatori di cannabis dipende sia dalla frequenza di utilizzo che dalla potenza della cannabis. L’uso di hashish non è stato associato ad aumento del rischio di psicosi.

E’ ormai noto che l’uso di cannabis aumenta il rischio di psicosi. Tuttavia, gli scettici sostengono ancora che questa non è una causa importante di insorgenza della schizofrenia. Questo documento suggerisce che potremmo evitare quasi un quarto dei casi di psicosi, se nessuno fumasse cannabis ad alta potenza. Questo potrebbe salvare pazienti giovani e far risparmiare al Sistema sanitario e allo Stato un sacco di soldi.

Tra il 2005 e il 2011, i ricercatori hanno lavorato con 410 pazienti di età compresa tra 18-65, abitanti nel sud di Londra e che avevano riportato un primo episodio di psicosi. Un ulteriore campione di 370 sani partecipanti della area urbana sono stati inclusi come controlli. Il risultato principale è che la frequenza d’uso e la potenza della cannabis, che sono spesso trascurati quando si determina come e quanto può essere dannosa la sostanza, sono fattori essenziali per gli effetti sulla salute mentale degli utenti. Questi fattori non sono sufficientemente considerati ancora dai medici.

Come per il tabacco e gli alcolici c’è bisogno di un messaggio pubblico chiaro. Quando un medico o uno psichiatra chiede se il suo paziente usa cannabis non fa nulla di utile. Sarebbe come chiedere se beve alcol. Come con l’alcol, infatti, la questioni rilevanti sono la frequenza e il tipo di cannabis. Questo dà più informazioni se l’utente sia a rischio di problemi di salute mentale.

ansiaUno studio inglese, pubblicato sulla rivista Sleep, suggerisce che i bambini che hanno incubi frequenti all’età di 12 hanno una probabilità 3,5 volte superiore di soffrire di esperienze psicotiche nella prima adolescenza. Gli incubi notturni raddoppiano il rischio di problemi come le allucinazioni l’interruzione del pensiero e i deliri. I bambini più piccoli, tra due e nove anni, che avevano incubi persistenti segnalati dai genitori hanno avuto un rischio fino a 1,5 volte maggiore di sviluppare esperienze psicotiche.

Gli incubi sono considerati comuni nei bambini e si riducono via via che gli anni passano. Essi si verificano nella seconda metà del sonno, durante la fase del sonno REM (rapid eye movement). Coloro i quali li hanno sperimentati avranno familiarità con la sensazione di svegliarsi improvvisamente con un senso di paura, preoccupazione e possibili palpitazioni.

Il Terrore notturno, un disturbo del sonno, differisce dagli incubi e si verifica durante il sonno profondo (non- REM), che si verfica nella prima metà della notte. Il terrore è spesso rappresentato da un urlo al risveglio improvviso e l’individuo rimane seduto in posizione verticale in uno stato di panico, anche se inconsapevole di qualsiasi azione compia. Contusioni agli arti e rapidi movimenti del corpo sono testimoniate nei casi più estremi. I bambini si svegliano la mattina ignari della loro attività notturna e non hanno ricordo dell’accaduto.

Il miglior consiglio è quello di cercare di mantenere uno stile di vita che promuove l’igiene del sonno sano per il bambino, creando un ambiente che permetta la migliore qualità del sonno. La dieta è una parte fondamentale, ad esempio è bene evitare le bevande zuccherate prima di dormire. Altro consiglio è quello di evitare di giocare a videogiochi, stare al computer o con lo smartphone e di guardare la televisione subito prima di andare a dormire. Le immagini luminose possono rappresentare degli stimoli che disturbano il sonno.

Non vogliamo preoccupare i genitori con questa notizia, sperimentare incubi a questa giovane età è normale, lo fanno tre giovani su quattro. Tuttavia, se gli incubi si verificano per un periodo prolungato o gli attacchi di terrore notturno persistono in adolescenza, ciò può essere un indicatore precoce di qualcosa di più significativo nella vita adulta.

La probabilità di vivere esperienze psicotiche durante l’adolescenza aumenta con l’incidenza degli incubi. Coloro che hanno riportato un solo periodo di incubi ricorrenti ha visto un aumento del 16 % , mentre quelli che hanno riportato tre o più periodi prolungati di incubi durante lo studio ha visto un aumento del 56 % del rischio.

Al contrario, i problemi ad addormentarsi o le notte sveglie (insonnia) non avevano alcun rapporto con le esperienze psicotiche più tardive.

All’età di dodici anni , circa un bambino su quattro (24,4 %) che ha partecipato allo studio ha riferito di aver sofferto di incubi nei sei mesi precedenti, con meno di uno su dieci (9,3 %), che ha vissuto episodi di terrore notturno durante lo stesso periodo.