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cannabisI primi dati del rapporto del IFC-CNR rileva che sono circa 150 mila gli studenti italiani a consumare abitualmente droghe. Oltre al consumo di cannabis, che pesa per il 50%, colpisce quello di cocaina (18.500 abituali), eroina (16 mila), sintetiche e allucinogeni (19 mila ciascuno).

I numeri più alti si confermano quelli della cannabis che conta ormai 75.000 consumatori che la fumano 10 o più volte al mese. Gli studenti italiani sono stati analizzati da una ricerca di Espad-Italia (European school survey on alcohol and other drugs) e realizzata dal Reparto di epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc -Cnr), condotta su 45.000 studenti distribuiti su oltre 500 scuole italiane che verrà presentato ufficialmente tra due settimane.

I consumi di droghe seguono il mercato e l’aumento registrato già da due anni è dovuto a un aumento della disponibilità. Ma oltre questo, la maggiore preoccupazione è l’aumento tra i giovani di coloro che fanno un uso frequente di sostanze stupefacenti.

Mentre il dato sulla cannabis potrebbe anche non colpire più di tanto, soprattutto tra coloro che insistono sulla definizione di droga “leggere” per la cannabis e i suoi derivati, quello su cocaina, eroina, allucinogeni e sintetiche, non lascia dubbi su un fenomeno in ascesa e preoccupante.

Secondo i numeri anticipati, sono infatti 18.500 i giovani consumatori abituali (ovvero che la consumano 10 o più volte al mese) di cocaina, 16 mila quelli che abusano di eroina e 38 mila quelli che fanno uso abituale di droghe sintetiche e allucinogeni (divisi alla pari, 19mila per le une e altri 19mila per gli altri).

Il risultato principale che emerge dai dati dell’indagine è che tra gli studenti italiani non solo crescono i consumi occasionali (uso una o più volte l’anno) di cannabis (dal 21,5% del 2011 al 25% del 2013) e stimolanti (dal 2,4% al 2,8%), ma cresce anche la quota di studenti che fa un uso frequente. In particolar modo aumentano i consumatori frequenti di cannabis (da 2,5% del 2011 a 3,2% nell’ultimo anno), e allucinogeni (da 0,6% a 0,8%), ma anche di cocaina (dal 0,6% del 2011 a 0,8% dell’ultimo anno) ed eroina (da 0,5% a 0,7%).

Nell’anno si stima che gli studenti che hanno utilizzato cannabis almeno una volta siano circa 580.000 e quasi 75.000 l’hanno consumata quasi quotidianamente, mentre sono circa 65.000 quelli che hanno assunto cocaina almeno una volta nell’ultimo anno (il 2,8%) e 18.500 (cioè lo 0,8% dei ragazzi) quelli che ne ha fatto un uso intensivo, per 10 o più volte nell’ultimo mese.

Sono circa 36.000, invece, gli studenti che hanno provato eroina o altri oppiacei almeno una volta nella vita (l’1,5%) e poco inferiore è il numero di chi l’ha utilizzata nell’ultimo anno, 28.000, l’1,2% degli studenti; di questi poco meno di 16.000, quasi l’1% degli studenti italiani, l’hanno consumata per 10 o più volte nell’ultimo mese.

Stimolanti sintetici e allucinogeni seguono il trend. Circa 66.000 ragazzi nell’anno anno prima della rilevazione hanno fatto uso di stimolanti e 60.000 hanno assunto allucinogeni, corrispondenti rispettivamente al 2,8% e 2,5% degli studenti italiani. Sono invece 19.000 per ciascuna sostanza gli studenti che hanno utilizzato queste sostanze 10 o più volte nell’ultimo mese.

Il rapporto ci dice che i consumi di cannabis tra i giovani sono abbastanza simili a quelli di 15 anni fa, ma dopo un andamento in discesa fino al 2006, si osserva una ripresa dei consumi tra il 2012 ed il 2013.

I giovani che hanno sperimentato la sostanza almeno una volta nella vita sono 3 su 10 e il consumo nell’ultimo anno riguarda il 25% dei ragazzi. Mentre il consumo attuale (30 giorni precedenti alla compilazione del questionario) riguarda il 16% degli studenti e, fra questi, 1 su 5 (poco più di 75.000 ragazzi) consuma cannabis quasi quotidianamente (20 o più volte al mese, “frequent users”). La maggior parte dei giovani fuma cannabis occasionalmente, non più di 10 volte durante l’anno (61%), soprattutto le ragazze (70%; i ragazzi sono il 55%). Il 27% la consuma più assiduamente, 20 o più volte durante l’anno. I ricercatori che i consumatori problematici di cannabis siano circa 132.000.

Per la maggior parte si tratta di un uso esclusivo della sostanza, l’84% cioè non ha usato altre sostanze illegali, preferendo utilizzare le sostanze legali: il 62% ha fumato quotidianamente almeno 1 sigaretta, soprattutto le ragazze; l’11% ha bevuto alcolici quasi tutti i giorni ed il 14% ha utilizzato psicofarmaci senza prescrizione medica.

A cura della Dott.ssa Maria Langellotti, Psicologa-Psicoterapeuta comportamento alimentare

Nell’adolescenza il desiderio di piacere agli altri, di inserirsi nel gruppo dei pari e di essere accettati, insieme al cambiamento psicofisico e allo sviluppo dell’identità, possono portare ad un rapporto disfunzionale con il cibo e con il proprio corpo. Anche la cultura di appartenenza e i mass media, nel delineare uno standard di bellezza, possono incidere in maniera significativa sulla percezione di sé e sulle abitudini alimentari, favorendo l’attuazione di diete ferree e di un eccessivo controllo sull’alimentazione e sul peso. Le problematiche relative al comportamento alimentare spesso si traducono in veri e propri disturbi come l’Anoressia e la Bulimia Nervosa e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata.

Anoressia Nervosa: la principale caratteristica è la ricerca della magrezza e il raggiungimento di un peso corporeo molto basso. Queste persone seguono una dieta fortemente ipocalorica associata in alcuni casi ad attività fisica eccessiva, vomito auto-indotto o uso improprio di lassativi e/o diuretici. Spesso si associano deficit di concentrazione, ansia, depressione, perdita di interesse sessuale e isolamento sociale.

Bulimia Nervosa: I tentativi della perdita di peso sono interrotti dalle abbuffate compulsive. A differenza dell’Anoressia, nella maggior parte dei casi si manifestano condotte di eliminazione come il vomito auto-indotto e vengono spesso usati lassativi e/o diuretici. Anche in questo caso si associano depressione e ansia.

Disturbi da Alimentazione Incontrollata: caratterizzati da abbuffate ma senza comportamenti di compenso; le persone non seguono una dieta, tendono a mangiare in eccesso e spesso è presente una condizione di sovrappeso e obesità.

In generale le persone che soffrono di disturbi alimentari hanno continue preoccupazioni nei confronti del peso e delle forme corporee, basando la valutazione di se stessi esclusivamente sul loro aspetto fisico. Pensano che solo se riusciranno ad essere abbastanza magri allora potranno trovare un nuovo partner, degli amici, un lavoro gratificante ed essere ammirati.

Questo pregiudizio rafforza una serie di pensieri problematici nei confronti del proprio corpo che con il tempo tendono a diventare delle vere e proprie ossessioni.

A tutto questo si associa un’incapacità nel valutare obiettivamente l’aspetto del proprio corpo. Questi disturbi sono legati ad una scarsa considerazione di sé, basso livello di autostima e incapacità di reggere i ritmi della vita quotidiana e di rispondere in maniera adeguata alle richieste dell’ambiente. Il successo o il fallimento nella sorveglianza del peso diviene un simbolo della capacità di dominare la propria vita.

Le problematiche alimentari assumono diverse forme in rapporto al genere. Per quanto riguarda le ragazze, infatti, emergono maggiormente fattori come la fissazione per il cibo, per le diete e per le forme corporee; diversamente, nei ragazzi le problematiche riguardano maggiormente la sfera della prestanza fisica e si manifestano attraverso un eccessivo esercizio fisico. I disturbi della condotta alimentare esprimono il profondo malessere che caratterizza l’esistenza di molte persone e rappresentano una problematica emergente nella nostra società con gravi ripercussioni sulla qualità della vita.

 

 

dimenticare se stessiMaria Quattropani, Emanuela Coppola. Piccin editore

In italia gli over 65 sono più di 12 milioni, il 20% della popolazione, gli over 80 sono 3 milioni e sono destinati a crescere ancora per molti anni. Le previsioni rivelano che nel 2050 le persone con oltre 65 anni potrebbero essere il 34% della popolazione italiana. Oggi in Italia sono affette dalla Malattia di Alzheimer, la più diffusa delle demenze, circa 600 mila persone.

La persona che sviluppa la malattia di Alzheimer “è un paziente Alzheimer, non ha un Alzheimer”. Questa affermazione degli autori non è condivisa da chi scrive: nessuno è la malattia che ha, Carla è sempre Carla, con tutte le sue paure, i suoi pregi e i suoi difetti, anche se ha una schizofrenia. Identificare una persona con la propria malattia non fa che peggiorarne lo stigma. Al di là dell’affermazione concettualmente non condivisa, come dicono gli autori la demenza di Alzheimer stravolge totalmente la vita della persona, trasformando la sua esperienza. Lo stravolgimento è tale da far mutare tutto. Andando più avanti con la lettura, tuttavia, diviene più chiaro quanto sia invece fondamentale considerare il malato di Alzheimer come una persona inserita comunque in contesto sociale e quanto sia importante prestare attenzione e rispetto all’individuo.

Le condizioni legate a questa malattia posso compromettere la qualità della vita della famiglia, le abitudini, le relazioni sociali e avere una forte ricaduta economica.
Gli autori definisco la malattia di Alzheimer, una “malattia familiare”. Non è solo una malattia clinica insomma, gli aspetti pragmatici, gli aspetti economici e quelli affettivo-relazionali coinvolgono sempre anche il caregiver. Assumere il ruolo di caregiver comporta molto spesso conseguenze sulla salute, fisica e mentale.  In Italia è la famiglia a rappresentare la principale risposta assistenziale ai bisogni degli anziani non autosufficienti.  L’80% degli Italiani, compreso chi scrive, è convinto che sia la casa il luogo deputato alla cura di questa malattia.

“Una mente che può tutto, non può vincere il tempo”, le demenze infliggono una ferita narcisistica e insopportabile per il mondo occidentale, che ha investito molto sulle prestazioni cognitive, sul primato della mente e sulla grandezza dell’intelletto, riuscendo a vincere importanti sfide. Molte, ma non tutte.

L’unica certezza su cui la ricerca è concorde è l’irreversibilità della malattia. Sapere che di Alzheimer non si guarisce, inevitabilmente ha condotto a un ripensamento delle strategie di ricerca, ma soprattutto d’intervento. Costruire profili cognitivi specifici per ciascun individuo diventa sempre più importante e perseverare nell’individuazione dei segni preclinici dell’Alzheimer, per una precoce e accurata diagnosi deve rappresentare il primo obiettivo. Sarebbe dunque opportuno un programma di screening neuropsicologico per tutta la popolazione che ha superato i 65 anni di età al fine di individuare precocemente i segni preclinici e i prodromi della demenza.

Gli studi che Quattropani e Coppola illustrano nel libro portano alla conclusione che il paziente con Alzheimer preserva una soggettività, che tenta con forza di difendere, sin dalle prime fasi della malattia.

I disturbi del comportamento, dell’umore e i sintomi psicotici rappresentano la principale fonte di stress per caregiver, colui che in prima persona si prende cura del proprio caro, e per la famiglia. Comportano un aumento notevole del carico assistenziale e costituiscono le principali cause di ricovero e rischiosa istituzionalizzazione del malato.

Intervenire sullo stress del caregiver consiste nella pianificazione d’interventi psicologici e clinici in grado di fornire spazi di elaborazione del disagio e aiutare i familiari a fronteggiare le implicazioni emotive e affettive connesse anche al tema della morte e della mancanza.
Il sostegno sotto forma di gruppo pare essere il metodo più proficuo. Consente di intervenire operando un miglioramento e un potenziamento nella gestione della malattia e del carico emotivo correlato all’assistenza del familiare.

Il libro descrive anche altre forme d’intervento, mirate sul paziente, senza mai dimenticare il suo contesto e in particolare il sistema della sua famiglia. Oltre all’intervento gruppale, vengono analizzate altre metodologie quale, ad esempio, il Mindfulness-Based Stress Reduction per insegnare tecniche di gestione dello stresso e della regolazione emotiva. La gamma di interventi, cosiddetti non farmacologici o psicosociali, è vasta ma l’obiettivo comune rimane  quello della cura dei problemi psichici e comportamentali che si verificano nei processi di coping e di adattamento alla demenza.

Nel percorso che delinea quest’opera , il coinvolgimento della famiglia, particolarmente del caregiver è posto con molta enfasi. Sono loro a vivere l’angoscia della diagnosi nefasta, la prospettiva dell’evoluzione della malattia, le difficoltà nella gestione dei problemi cognitivi, comportamentali e anche pratici. Le famiglie e i caregiver devono sopportare il carico delle necessità d’assistenza sempre in aumento, consapevoli dell’assenza pressoché totale del Sistema Sanitario Nazionale. I servizi che si prendono carico della demenza, dunque, dovranno essere sempre più in grado di seguire il paziente e la sua famiglia lungo tutto il percorso delineato dalla malattia, aiutandoli nell’adattamento rapido alle esigenze che mutano nel corso del tempo.

A cura della Dr.ssa Maria Langellotti Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo – comportamentale. Associazione Mens-Sana

addictionLa dipendenza è un costrutto molto ampio e complesso in quanto comprende non solo i vissuti psicofisiologici relativi all’abuso di sostanze psicoattive, come l’alcool e l’eroina, ma anche quelli esperiti nei confronti di particolari oggetti, situazioni o attività non direttamente connessi al reperimento o al consumo di sostanze; ne sono esempi i videogiochi, i giochi d’azzardo, il cibo, il sesso, il lavoro, internet, lo shopping e la televisione. Questi tipi di dipendenza, che riguardano soprattutto aspetti che fanno parte del normale svolgimento della vita quotidiana, vengono attualmente definiti come “nuove dipendenze” (new addictions) o “dipendenze comportamentali”. Ad esempio il GAP Nel DSM-IV-TR (APA, 2000), è incluso nell’ambito dei disturbi del controllo degli impulsi, ed è descritto come un «comportamento persistente, ricorrente e maladattivo che compromette le attività personali, familiari o lavorative». In generale, coloro che manifestano tale dipendenza sono incapaci di resistere all’impulso di giocare e quindi spendono più denaro di quanto intendano fare, per quanto ciò comporti conseguenze negative. La dipendenza patologica o addiction è una malattia causata dall’assunzione prolungata di sostanze o dalla ripetuta messa in atto di certi comportamenti; essa è caratterizzata dalla necessità di ripetere tale assunzione e tali comportamenti, con la conseguenza di alterazioni biochimiche a livello cerebrale e con un insieme di disturbi legati alla sfera psicologica e comportamentale che la rendono simile ad alcuni disturbi di personalità. In altre parole, il termine addiction rispecchia un disturbo comportamentale, comprendente un desiderio incontrollabile e una ricerca compulsiva rivolta ad una sostanza o ad una attività.

Quali Caratteristiche?

La perdita del controllo, l’effetto delle conseguenze negative, i sintomi di tolleranza e di astinenza, il craving, inteso come un bisogno o un desiderio molto intenso che richiede di essere soddisfatto, assumono una certa rilevanza nel comportamento dipendente non solo riferito all’abuso di sostanze. Tuttavia, la persistenza nel comportamento nonostante la presenza di conseguenze negative a livello familiare, sociale, lavorativo, rappresenta una delle caratteristica che ne definisce la gravità e chiarisce il concetto di patologia. Specificatamente, nella dipendenza da sostanze le conseguenze negative sono date da frequenti intossicazioni, sintomi di astinenza o abbandono delle attività sociali e ricreative. Nella dipendenza da gioco d’azzardo le conseguenze negative si configurano oltre che nella perdita dei beni posseduti anche nella perdita di relazioni significative e di attività lavorative e sociali, proprio come accade in altre dipendenze.

Nella dipendenza sessuale i pensieri o il comportamento sessuale impulsivo portano ad aumento di una serie di conseguenze negative che includono la possibilità di contrarre malattie gravi come l’AIDS, oltre che la perdita del lavoro, problemi a livello matrimoniale e perdita di relazioni significative rimpiazzate da relazioni superficiali, caratterizzate da un piacere temporaneo (Carnes, 1983). Una delle caratteristiche maggiormente considerate nella dipendenza è la perdita del controllo. L’assunzione della droga, per esempio, viene identificata come un comportamento compulsivo e impossibile da controllare. Infatti, l’uso della droga persiste nonostante siano presenti effetti patologici, problemi di relazione ed integrazione sociale e disposizioni di ordine legale. In altre parole, secondo l’opinione clinica la dipendenza non è semplicemente definita dal concetto di abuso della droga o dalla persistenza in un’attività che genera dipendenza, ma soprattutto dalla perdita del controllo sul comportamento problematico.

Nelle dipendenze comportamentali, come in quella da gioco d’azzardo, la perdita del controllo è connessa al grado di coinvolgimento nel gioco stesso. Più un individuo gioca più perde il controllo, al contrario, più un individuo avverte un indebolimento del proprio controllo più gioca. Soggetti che giocano d’azzardo frequentemente adottano, di solito, diverse strategie atte a mantenere il proprio controllo durante lo svolgimento del gioco. Secondo alcune ricerche i problemi connessi al gioco d’azzardo tendono a essere più frequenti nei giovani (18-30 anni) rispetto alle altre fasce di età, con una prevalenza di giocatori patologici fino a 2- 3 volte superiore a quella degli adulti (Delfabbro e Thrupp, 2003; Shaffer e Hall, 1996). Questo fa supporre che l’abitudine al gioco si sviluppi precocemente e che durante l’adolescenza vi sia il rischio maggiore di sviluppare la patologia. Le dipendenze sono molto simili tra di loro, ad esempio la compulsione verso il gioco d’azzardo è tale da essere paragonata a quella di un tossicodipendente o di un dipendente da internet.


Dipendenza fisica o psichica?

Nelle due forme di dipendenza fisica e psichica i sintomi sono per lo più gli stessi. L’unica differenza consiste nel fatto che nella dipendenza fisica essi sono il risultato di modificazioni neurochimiche indotte da una sostanza, mentre nella dipendenza psichica sono il risultato di un bisogno psicologico di aggrapparsi a qualcosa o qualcuno, che non implica l’assunzione di alcuna sostanza. Il riconoscimento di nuove forme di dipendenza, chiarisce la possibilità che si possa sviluppare una dipendenza psicologica, cioè un bisogno di mettere in atto dei comportamenti significativi, in assenza di quella fisica, o al contrario una dipendenza fisica senza quella psicologica. Ci può essere una dipendenza psicologica che si manifesta con chiari segni di dipendenza fisica. Per esempio, come hanno osservato alcuni studiosi, gli individui che manifestano una dipendenza da gioco d’azzardo, pur non assumendo alcool o altre sostanze, possono manifestare sintomi fisici che appaiono molto simili a quelli causati da narcotici e stimolanti (Shaffer et al., 1995; Wray e Dickerson, 1981). La dipendenza, dunque, può esistere senza l’assunzione di droghe. Ciò porta ad ampliare il concetto di dipendenza, includendo comportamenti che sono riferiti non solo a sostanze ma anche ad attività.

Fattori di rischio

Le dipendenze potrebbero rappresentare un mezzo di espressione di conflitti, di disagi e di problemi familiari, sociali e psicologici o addirittura diventare l’unico mezzo di comunicazione a disposizione dell’individuo. Esistono una serie di fattori comuni che influenzano lo sviluppo e il mantenimento del comportamento dipendente. I fattori legati al sistema familiare ne sono un esempio insieme ai fattori sociali, che si identificano nella cultura e nell’influenza esercitata dal gruppo dei pari. Relazioni inadeguate all’interno del sistema familiare e una bassa percezione del sostegno familiare aumentano il rischio di esporsi a comportamenti problematici, come anche i fattori individuali e una serie di tratti di personalità. La ricerca di sensazioni e l’impulsività sono i fattori di personalità che sembrano svolgere un ruolo di rilievo. Zuckerman (1979) descrive i sensation seekers come persone caratterizzate da un tratto di personalità, definito “ricerca di sensazioni”, che predispone l’individuo a ricercare sensazioni ed esperienze nuove, a prediligere situazioni avventurose e ad essere particolarmente suscettibile alla noia. Inoltre, i sensation seekers considerano come non “a rischio” situazioni che invece potrebbero rappresentare dei pericoli per il resto della popolazione. Anche le aspettative, l’ambiente e il contesto culturale, oltre che la personalità e le tendenze cognitive possono fortemente influenzare un comportamento tanto da renderlo dipendente. Di fronte ad un’evoluzione tecnologica ognuno esprime la necessità di adattarsi a stati soggettivi inattesi, associati all’uso di nuove tecnologie. Diventa centrale quindi considerare la relazione tra l’individuo a rischio di una dipendenza e l’oggetto della sua stessa dipendenza (sostanze, gioco, internet), come una delle cause del mantenimento di tali comportamenti problematici. Queste osservazioni permettono di considerare come causa della dipendenza non un singolo fattore, ma un insieme di fattori di natura psicologica, sociale e biologica.

ludopatiaUn terzo dei giocatori di videopoker è affetto da ludopatia, soffre dunque di problemi di gioco d’azzardo patologico. È emerge da una ricerca commissionata dal Codacons all’Università Cattolica di Brescia. Lo studio è stato condotto su un campione di 300 persone in 20 sale sparse in tutta Italia. “Un campione limitato”, come ha spiegato uno degli autori, ma importante visto che “si tratta della prima indagine condotta in Italia sulla relazione esistente tra il comportamento di gioco e il livello di ludopatia”.

Dai dati presentati è emerso un ‘identikit’ del giocatore ludopatico: in prevalenza uomo, disoccupato o con un lavoro saltuario, straniero, basso livello di scolarizzazione e affetto da problemi relazionali. Da ludopatia sono affetti, però, anche il 25% delle casalinghe e il 17% degli studenti e dei pensionati. La maggior parte frequenta le sale da gioco tra le 5 e le 7 volte a settimana e gioca anche online almeno una volta a settimana. L’85% dei giocatori ha una perdita media di 40 euro al giorno, mentre, il restante 15% che riesce a vincere, guadagna in media 120 euro.

E’ stato attivato il progetto ‘Gap’, in collaborazione con Aams e Ministero della salute e Ministero dell’istruzione – ha spiegato Serpelloni per raccogliere dati una popolazione più vasta, dando alla ricerca una valenza statistica e scientifica migliore. Esistono altre ricerche condotte sui giovani e sul gioco problematico, dunque il passo prima di quello patologico, ma é necessario circoscrivere la questione scientificamente. Le Regioni stanno man mano aderendo al progetto, ma esistono tutta una serie di inefficienze, dagli strumenti ai finanziamenti, che vanno colmate.

Secondo le ricerche più recenti, il 54% della popolazione ha giocato una volta, ma senza evidenziare problematicità, una percentuale tra 1,27 e 3,8% possono essere definiti problematici, mentre i giocatori patologici sono tra lo 0,5 e 2,2%. Sono dati da tenere in considerazione visto che si basano su un campione di 45 mila persone. Gli uomini sono il 67%, le donne il 33%, ma sono in aumento”.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri é pronta con un sito dedicato che a breve sarà online da cui saranno scaricabili gratuitamente le migliori pubblicazioni disponibili sulla materia. Nella Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sono state inviate delle raccomandazioni sulla prevenzione di fenomeni distorsivi e per meglio analizzare come e quanto giocano gli italiani,  testo che poi passerà al Ministero della Salute.

Il Codacons ha annunciato di aver presentato 20 denunce in 20 Procure e ai Nas per far chiudere tutte le sale di videopoker. Queste sale – secondo il Codacons – sono senza luce, senza aria, rumorose e con fumo. Sono locali dove la psiche umana viene danneggiata.

Se hai problemi di gioco d’azzardo puoi rivolgerti a Mens Sana, che con un programma specializzato tratta anche questo tipo di dipendenza.

Per maggiori informazioni o semplicemente per un consiglio potete inviare una email a info@mens-sana.biz.
Per fissare un primo incontro potete telefonare allo 06 8339 0682.

anziani depressioneTi senti molto stanco, impotente e senza speranza? Sei triste maggior parte del tempo e non trovi alcun piacere nella vostra famiglia, amici, o hobby? Stai avendo problemi a lavorare, dormire, mangiare? Ti senti così da un lungo periodo di tempo? Se è così, potresti essere affetto da Depressione.

Che cosa è la Depressione?

Ognuno può sentirsi giù o triste a volte, ma questi sentimenti di solito passano dopo pochi giorni. Quando si ha la Depressione, i problemi e le preoccupazioni della vita quotidiana durano per settimane, alla volte. La depressione è una malattia grave che ha bisogno di un trattamento. Se non trattata, la depressione può portare al suicidio. La depressione è un problema comune tra gli anziani, ma non è una conseguenza normale dell’invecchiamento. Può essere trascurata perchè spesso negli anziani affetti da depressione, la tristezza non è il sintomo principale. Possono presentarne altri, meno evidenti, o potrebbero non essere disposti a parlare dei loro sentimenti. Pertanto, i medici potrebbero essere meno propensi a riconoscere che il loro paziente ha la depressione.

Quali sono le diverse forme di Depressione?

Ci sono diverse forme di Depressione. Le più comuni sono:

Disturbo Depressivo Maggiore

I sintomi di depressione sono più gravi e interferiscono con la capacità di lavorare, dormire, studiare, mangiare, e godersi la vita. Alcune persone possono provare solo un singolo episodio nel corso della loro vita, ma il più delle volte si presentano negli anni più episodi.

Disturbo distimico

I sintomi depressivi durano a lungo (2 anni o più), ma sono meno gravi di quelli della depressione maggiore. Non si presenta dunque ad episodi, ma come un lungo periodo di depressione moderata, che influisce comunque negativamente sulla propria vita.

Depressione minore

E’ un disturbo simile alla depressione maggiore e alla distimia, ma i sintomi sono meno gravi e circoscritti temporalmente.

Quali sono i segni e sintomi della depressione?

I sintomi possono essere diversi da persona a persona. Alcuni sintomi, più importanti e comuni, della depressione includono:

  • Tristezza o sensazione di vuoto interiore
  • Senso di colpa
  • Perdita della speranza
  • Irritabilità
  • Ansia
  • Perdita d’interesse nelle attività preferite
  • Stanchezza
  • Difficoltà di concentrazione o nel ricordare i dettagli
  • Insonnia o necessità di dormire molto
  • Aumento o diminuzione dell’appetito
  • Pensieri di morte, tentativi di suicidio
  • Dolori, mal di testa, crampi
  • Problemi digestivi

Quali sono le cause della depressione? Diversi fattori, o una combinazione di fattori, possono contribuire allo svilupparsi di una depressione.

Genetica: le persone con una storia familiare di depressione possono avere più probabilità di sviluppare questo tipo di disturbo rispetto a quelli le cui famiglie non hanno persone con questa malattia. Gli anziani che hanno avuto la depressione quando erano più giovani sono più a rischio di sviluppare la depressione in etŕ avanzata rispetto a coloro che non hanno avuto la malattia in precedenza nella vita.

Neurochimica: le persone con depressione possono avere delle anomalie nella chimica del cervello, soprattutto a livello del sistema della serotonina.

Stress: la perdita di una persona cara, un rapporto dificile, o qualsiasi situazione di stress può innescare la depressione. Eventi ischemici a livello cerebrale possono causare o peggiorare una condizione depressiva. Nel corso del tempo, i vasi sanguigni possono restringersi nel calibro e impedirre al sangue di raggiungere normalmente tutti gli organi del corpo, compreso il cervello. Se questo accade, un adulto, più spesso con una storia familiare di depressione, può sviluppare ciò che è talvolta chiamato “Depressione vascolare”. La depressione puň anche coesistere con altre gravi malattie come diabete, cancro, malattie cardiache, e Morbo di Parkinson. La depressione può rendere queste condizioni più difficili da trattare, e viceversa. A volte, i farmaci presi per queste malattie possono causare effetti indesiderati che contribuiscono alla depressione. Medici esperti nel trattamento di queste malattie complesse possono aiutare a elaborare la migliore strategia di trattamento.

Come si cura la depressione?

Il primo passo di un trattamento adeguato è quello di visitare il proprio medico di base. Alcuni farmaci o condizioni possono causare sintomi simili alla depressione e il medico può escludere questi fattori con un esame fisico completo, un colloquio ed esami di laboratorio. Se questi fattori sono da escludere, il vostro medico vi consiglierà di rivolgervi a un professionista della salute mentale, lo psichiatra o uno psicologo.
I nostri professionisti sono specializzati nel trattamento della depressione e di altre malattie mentali negli adulti più anziani. Lo specialista chiederà la storia dei vostri sintomi, come ad esempio quando sono iniziati, per quanto tempo sono durati, la loro gravità, se questi si sono verificati prima e, in caso affermativo, se sono stati trattati e come. Saprà quindi diagnosticare la depressione e lavorare con voi per scegliere il trattamento più appropriato. Le strategie di trattamento sono diverse per ogni persona, e talvolta diversi trattamenti devono essere provati, fino a individuare quello che funziona in modo soddisfacente.

I farmaci chiamati antidepressivi possono funzionare bene per trattare la depressione. Possono richiedere diverse settimane per dare i loro risultati. Gli antidepressivi possono portare effetti collaterali, tra cui: Mal di testa Nausea, sensazione di malessere allo stomaco Difficoltà dormire o nervosismo Agitazione o irrequietezza Problemi sessuali La maggior parte degli effetti collaterali diminuisce e scompare nel tempo. Parlate con il vostro medico degli eventuali effetti collaterali che sentite di avere. La psicoterapia può aiutare a curare la depressione. La osicoterapia ha lo scopo d’insegnare nuovi modi di pensare e di comportarsi, cambiare le abitudini che possono contribuire alla depressione. La psicoterapia può aiutare a comprendere e risolvere le relazioni difficili o le situazioni che possono causare la depressione o farla aggravare. La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) e la Terapia elettroconvulsiva (TEC) sono usate per la depressione grave che risponde minimamente e non risponde ai farmaci o alla psicoterapia. Anche se la TEC una volta aveva una cattiva reputazione, il suo profilo di sicurezza è notevolmente migliorato e può fornire sollievo per le persone per le quali altri trattamenti non hanno funzionato. Può causare effetti collaterali come confusione e perdita di memoria. Anche se questi effetti sono generalmente di breve durata. La TMS invece, meno conosciuta forse, non presenta gli effetti collaterali della TEC, è ben tollerata dai pazienti e non necessita il ricovero in strutture sanitarie.

Come posso aiutare una persona cara che è depressa?

Se conosci qualcuno che ha la depressione consiglialo di vedere un medico o un professionista della salute mentale. Offri sostegno, comprensione, pazienza e incoraggiamento. Parla con lui o lei, e ascolta attentamente. Mai ignorare i pensieri di suicidio, e segnala al terapista o ad un medico questo pericolo. Invitare per una passeggiata, una gita o altre attivitŕ la persona che vi sta a cuore le farŕ bene. Ricordagli che con il tempo e il trattamento, la depressione se ne andrà.

Come posso aiutare me stesso se sono depresso? Proseguendo il trattamento, a poco a poco si inizierà a stare meglio. Se si sta assumendo un antidepressivo, questo può richiedere diverse settimane per iniziare a far sentire i suoi effetti benefici. Se un antidepressivo non funziona, bisogna essere aperto a provarne di altri. Può essere necessario provare un paio di diversi farmaci prima di individuare quello che funziona meglio. Prova a tornare a fare le cose che ti piaceva fare prima di avere la depressione. Studi hanno dimostrato che facendo queste cose, anche quando non ci si aspetta di godere di loro, può aiutare a sollevare l’umore. Dai tempo a te stesso, non essere.

Altre cose che potrebbero essere di aiuto sono:

  • Dividere grandi compiti e incombenze in parti piccole, facendo quello che si può, come si può.
  • Non fare troppe cose in una volta.
  • Trascorrere del tempo con altre persone e parlare con un amico o parente dei propri sentimenti.
  • Una volta che si dispone di un piano di trattamento, attenersi ad esso.
  • Non prendere importanti decisioni di vita fino a che non ci si sente meglio.
  • Discutere, in caso, queste decisioni con altri che stanno bene.

Gestire una crisi

Gli adulti più anziani con depressione sono a maggior rischio di suicidio. Infatti, le percentuali di suicidi aumenta con l’aumentare con l’età ed è massimo, sia negli uomini che nelle donne, intorno agli 85 anni. Se state pensando di farvi del male o di tentare il suicidio, parlatene subito a qualcuno che può aiutarvi. Chiamate il vostro medico. Chiamate altrimenti il 113 per i servizi di emergenza. Andate al pronto soccorso dell’ospedale più vicino.

Mens Sana offre un aiuto professionale, medico e psicologico, agli adulti anziani con problemi di depressione.

Per maggiori informazioni o semplicemente per un consiglio potete inviare una email a info@mens-sana.biz.
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