borderlineIntroduzione

Molti pazienti con disturbo di personalità borderline necessitano di terapia farmacologica nel corso della loro vita, ma rimane ad oggi incerta l’efficacia della farmacoterapia sugli organizzatori psicopatologici centrali di questo “modo di essere al mondo”.
La ricerca internazionale nell’ultima decade si è sempre più interessata a questo campo, focalizzandosi però soprattutto sui risultati ottenuti su specifici sintomi, in acuto.

L’articolo di Lieb K., Völlm B., Rücker G., Timmer A. e Stoffers J.M. sul British Journal of  Psychiatry si è posto l’obiettivo di valutare le prove di efficacia della psicofarmacoterapia su differenti aspetti di questo disturbo di personalità, effettuando una review sistematica e una metanalisi dei trials farmaco vs placebo, farmaco vs farmaco e farmaco vs polifarmacoterapia pubblicati finora. Eseguendo la ricerca con parole chiave “borderline personality disorder” sui principali database di medicina e psicologia hanno ricavato 6525 riferimenti bibliografici, non duplicati. Di questi solo 51 rispondevano ai criteri d’inclusione, per un totale di 27 studi randomizzati, dal 1979 al 2008, che includono 17 trials in più rispetto alla precedente review Cochrane del 2006, che arrivava a considerare protocolli di ricerca fino al 2001. In totale sono stati valutati dati su 1714 partecipanti, adulti di entrambi i sessi.

La durata degli studi variava da 5 a 24 settimane, con una media di circa 12 settimane. Poco tempo per poter valutare cambiamenti duraturi. I criteri di esclusione più comuni nei protocolli sono stati la presenza, al momento dell’arruolamento, di disturbo psicotico, di disturbo bipolare, di disturbo depressivo, di disturbo da uso di sostanze e di ideazione suicidaria. Tutti disturbi frequentemente associati all’organizzazione borderline di personalità e che contribuiscono a renderne difficile la gestione nella pratica clinica.

I risultati di questa review si sono incentrati sulla valutazione di 4 cluster di sintomi principali:

  • la disregolazione affettiva;
  • i sintomi cognitivi e dispercettivi;
  • l’area sintomatica discontrollo-impulsività;
  • i “problemi nelle relazioni interpersonali”.

Per riuscire a rendere il più omogenei possibili i dati da confrontare, il rischio che si corre ancora nella ricerca in psichiatria è quello di essere costretti ad un’eccessiva semplificazione del quadro psicopatologico, a scapito dell’immediata traducibilità clinica dei risultati ottenuti.

Farmaco versus Placebo
Gli studi di comparazione farmaco vs placebo presi in esame riguardavano antipsicotici di prima e seconda generazione, equilibratori dell’umore, antidepressivi e omega-3.
Per quanto riguarda gli antipsicotici tradizionali, l’aloperidolo ha raggiunto livelli significativi di efficacia nella riduzione della rabbia e il flupentixolo decanoato nella riduzione del comportamento suicidario. Tra gli antipsicotici di seconda generazione,l’aripiprazolo è risultato ottenere effetti significativi sia sulla riduzione dei sintomi psicopatologici peculiari del disturbo di personalità borderline, sia sul miglioramento dei sintomi comunemente associati (depressione, ansia, severità psicopatologica generale). L’olanzapina ha raggiunto significatività nella riduzione dell’instabilità affettiva, dell’ansia, della rabbia, dei sintomi psicotici, ma i risultati sono apparsi contraddittori e poco consistenti riguardo alla riduzione dell’ideazione suicidaria. Lo ziprasidone, negli studi fin qui pubblicati, non ha raggiunto la significatività per il disturbo borderline sui sintomi presi in considerazione da questa review.

Tra gli equilibratori dell’umore, sono stati trovati effetti significativamente benefici del valproato, della lamotrigina, del topiramato, ma non altrettanto per la carbamazepina. Il valproato ha mostrato effetti positivi nella riduzione delle problematiche interpersonali (concetto abbastanza vago, “interpersonal problems” secondo gli autori) e nel miglioramento della depressione e della rabbia. La lamotrigina è risultata significativamente superiore al placebo nella riduzione dell’impulsività e della rabbia. Il topiramato ha mostrato effetti significativi sulle problematiche interpersonali e l’impulsività; effetti positivi anche sulla rabbia, l’ansia e su indici di severità psicopatologica generale.
Per quanto riguarda i farmaci antidepressivi, nel disturbo borderline di personalità sono state evidenziate solo poche prove di efficacia. Sulla riduzione della sintomatologia depressiva in questo disturbo di personalità è risultato più significativo, in questa review, l’antidepressivo triciclico amitriptilina. Non sono stati rilevati effetti significativi per mianserina, fluoxetina, fluvoxamina e fenelzina con gli strumenti di rilevazione utilizzati. Gli antidepressivi rimangono indicati solo in caso di compresenza di episodio depressivo maggiore o altro disturbo depressivo comparabile.
Gli omega-3 sono risultati efficaci nella riduzione del comportamento suicidario e dei sintomi depressivi in uno studio controllato su 49 persone con diagnosi di disturbo borderline.

Farmaco versus Farmaco
Il confronto tra molecole di differente classe e con diversi obiettivi terapeutici è, a mio avviso, fonte di confondimento. Riporto comunque i risultati della review.
Due antidepressivi sono stati comparati con l’antipsicotico di prima generazione aloperidolo:
l’amitriptilina non ha mostrato significative differenze, mentre la fenelzina è risultata superiore all’aloperidolo nella riduzione di depressione, ansia e indici di severità psicopatologica generale.
Il confronto tra l’antipsicotico di seconda generazione olanzapina e l’antidepressivo fluoxetina non ha portato a differenze significative sul piano psicopatologico, col metodo di rilevazione utilizzato dagli studi attualmente pubblicati e considerati dalla review.
Lascia interdetti il fatto che molecole così diverse possano risultare in qualche modo “equivalenti” sulla multiforme problematica psicopatologica del disturbo borderline, rilevata e “misurata” da test parametrici accettati per la ricerca in psichiatria dalla comunità scientifica e dalle riviste internazionali.

Farmaco versus Polifarmacoterapia
Non è risultata alcuna differenza significativa tra l’effetto dell’olanzapina e della fluoxetina, usate singolarmente e usate in combinazione.

Discussione
Gli autori stessi mettono in evidenza alcune evidenti vulnerabilità degli attuali risultati della ricerca in psichiatria sul disturbo borderline di personalità.
Non esistono ad oggi prove di efficacia su fenomeni psicopatologici cruciali nel disturbo borderline, come i comportamenti esasperati per evitare un abbandono reale o immaginario, i sentimenti cronici di vuoto, l’instabilità dell’identità, i fenomeni dissociativi. Questo secondo gli autori avviene per non aver utilizzato negli studi sperimentali strumenti di rilevazione della psicopatologia “disturbo-specifici“. Inoltre questi fenomeni psicopatologici più specifici e più nucleari sono quelli meno facilmente curabili con interventi esclusivamente farmacologici, mentre sono più trattabili con la psicoterapia. Mancano però sufficienti studi su cure farmacologiche e psicoterapeutiche integrate. Questo è certamente un indirizzo di ricerca di urgente attualità, ma estremamente difficile da realizzare, perché i parametri e le variabili da valutare sono davvero complessi (come del resto è complicata la presa in carico e la cura di persone con questo disturbo).

Quando si leggono i risultati di questa prestigiosa review, ci si rende conto che per poter avere un’immediata applicabilità clinica mancano dati solidi su troppe variabili.
Nella pratica clinica è inevitabile per la scelta del farmaco tenere in considerazione la situazione di salute biologica, la compresenza di malattie organiche e infettive, il rapporto col corpo del soggetto in cura. In questo senso è essenziale nella pratica clinica valutare l’impatto psicologico dell’aumento di peso causato da alcuni farmaci, o gli effetti sul metabolismo e sulla funzionalità epatica. Inoltre mancano ancora dati consistenti su molte altre molecole di antidepressivi, neurolettici di seconda generazione ed equilibratori dell’umore.

Spesso i protocolli di ricerca hanno criteri di esclusione selettivi, che escludono i pazienti più gravi o con concomitanti disturbi in Asse I – come i disturbi dell’umore o i disturbi da uso di sostanze – tagliando fuori, così, un vasto numero di persone con disturbo borderline, che si incontrano frequentemente nell’attività clinica quotidiana, e rendendo di difficile applicazione i risultati, “troppo puri”, così ottenuti. La tendenza alla dipendenza da sostanze, al sovradosaggio e all’intossicazione volontaria nel disturbo borderline rende scarsamente utilizzabili molte molecole nella pratica quotidiana (per esempio i triciclici o i sedativo-ipnotici).

La polifarmacoterapia per questo disturbo sarebbe, nei limiti del possibile, da evitare, dato che attualmente non ci sono prove evidenti di maggiore efficacia.
Inoltre, la durata media degli studi è troppo bassa per poter risultare indicativa dell’efficacia a lungo termine in un disturbo che tipicamente richiede tempi di trattamento lunghi. Il trattamento farmacologico andrebbe protratto per il tempo necessario a valutarne i benefici e andrebbe interrotto qualora non vi fosse un effetto benefico evidente.
Periodi di osservazione più lunghi, l’identificazione di strumenti di valutazione, ampiamente condivisi, specifici per il “core” fenomenologico e gli aspetti psicopatologici fondamentali del disturbo in esame e di metodi più mirati di rilevazione delle tante variabili in campo migliorerebbero la validità e l’applicabilità dei risultati ottenuti dalla ricerca in psichiatria.

Testo a cura di:

Massimiliano Pomponi  MD, PhD, Psichiatra, Psicoterapeuta – Istituto di Psichiatria e Psicologia Clinica, Università  Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico “A. Gemelli” – Roma