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Notizie

15 Febbraio, 2010  |  By Marco Paolemili In Notizie

Non più solo matti

franco-basagliaDi Marco Malagutti, da Dica22.it

Nel 1978 nasceva la legge 180. Una legge di svolta, visto che per la prima volta il malato mentale veniva sottratto all’internamento e affidato al suo territorio, con il compito di mediare tra i diritti del malato e gli interessi della comunità sociale. Si assistette così alla graduale chiusura dei manicomi impedendone la costruzione di nuovi. Una legge rivoluzionaria visto che nel periodo manicomiale i malati mentali potevano anche subire violenze e veder negati i propri diritti civili. Artefice della legge Franco Basaglia, cui è stata appena dedicata una fiction televisiva di successo, a trent’anni dalla scomparsa. La legge fu allora approvata tra dubbi, polemiche e incertezze. E le cose oggi non sembrano molto cambiate. Per capirne di più Dica33 ha intervistato Claudio Mencacci, vice presidente della Società italiana di psichiatria.

Per cominciare parliamo di Franco Basaglia. Qual è il suo merito storico?
La figura di Basaglia entra di diritto nella storia della psichiatria perché ha contribuito in maniera determinante ad aprire la psichiatria al territorio. A lui vanno riconosciuti meriti, senza ombra di dubbio, anche se le cose si sono modificate nei trentadue anni successivi.

In che modo? La legge 180 è superata?
Il messaggio forte di quella legge è stato quello della chiusura degli ospedali psichiatrici per favorire l’ingresso della malattia psichiatrica nell’ospedale “generale”, con una maggiore apertura al territorio e alla comunità. Cioè la psichiatria e divenuta una branca della medicina a pieno titolo e non una sorta di ultima spiaggia abbandonata a se stessa. Sempre nel 1978 con la legge 883 è stato istituito il Servizio sanitario nazionale e contestualmente l’assistenza psichiatrica è trasferita alle Regioni e tramite esse alle Usl, si è arrivati così al concetto di rete sul territorio nazionale. Un concetto allora rivoluzionario, ma oggi in parte superato.

Che cosa intende per superato?
Per cominciare le problematiche sono cresciute e l’articolazione ospedale – territorio – comunità, cardine della 180, va rivisitata anche attraverso un progetto nazionale che tenga conto della specificità delle Regioni. Poi ci sono patologie nuove per cui non si può parlare di un unico malato mentale, esistono i disturbi dell’umore (depressione), i disturbi d’ansia, le dipendenze, i disordini alimentari. Un quadro più ampio che richiede centri di riferimento specifici.

Oggi questo non esiste?
Esistono centri che si occupano delle patologie più gravi. Ma è ancora troppo poco.

Una recente intervista allo studioso americano Irving Kirsch mette in discussione il ruolo dei farmaci antidepressivi. Che cosa ne pensa?
Non sono d’accordo. Nelle depressioni lievi la terapia comportamentale può essere più efficace di quella farmacologica. Ma nelle depressioni medie e gravi i risultati migliori si ottengono ricorrendo ai farmaci, con esiti ancora migliori se combinati con la terapia comportamentale. Poi esistono tanti tipi di depressione che richiedono una diagnosi precisa e indicazioni precise per l’uso dei farmaci. Ma dire che i farmaci non funzionano significa non averli mai utilizzati.

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