Il vocabolario di un adulto medio è costituito da circa 30.000 parole. Questa capacità sembra unica degli esseri umani, le specie animali più vicine a noi – gli scimpanzé – riescono a imparare non più di 100 vocaboli.
Si è creduto a lungo che l’apprendimento delle lingue dipendesse dalla integrazione di ascolto e ripetizione di parole, ma i meccanismi neurali alla base dell’apprendimento di nuove parole sono rimaste poco chiare. Precedenti studi hanno dimostrato che questo può essere correlato a un circuito cerebrale che si trova solo negli esseri umani e che gli umani possono imparare solo le parole che possono anche esprimere.
Ora un team di ricercatori europei, ha mappato i percorsi neurali coinvolti nell’apprendimento della parola negli esseri umani. Hanno scoperto che il Fascicolo arcuato, una raccolta di fibre nervose che collega le regioni uditive al lobo temporale e con la zona situata nel lobo frontale dell’emisfero sinistro del cervello, permette al ‘suono’ di una parola di collegarsi alle regioni responsabili della sua articolazione. Differenze nello sviluppo di queste connessioni uditivo-motorie possono spiegare le differenze di capacità delle persone di imparare le parole.
I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS). Il Dott. Marco Catani, ricercatore del King’s College of London, Institute of Psychiatry, ha dichiarato: “Spesso si pensa che gli esseri umani abbiano la capacità di imparare le parole come per scontato. Questa ricerca getta nuova luce sulla capacità unica di noi esseri umani di imparare una lingua, in quanto questo percorso non è presente in altre specie. Le implicazioni dei nostri risultati potrebbero essere di ampia portata – da come lingua viene insegnata nelle scuole e per la riabilitazione da un infortunio, per la diagnosi precoce dei disturbi del linguaggio come la dislessia. Inoltre questi risultati potrebbero avere implicazioni per altre malattie in cui il linguaggio è influenzato come l’autismo e la schizofrenia”.
Lo studio ha coinvolto 27 volontari sani. I ricercatori hanno usato una tecnica chiamata DTI in grado di analizzare della struttura del cervello, la sostanza bianca, prima dell’apprendimento di una parola e la Risonanza Magnetica funzionale, per individuare le regioni del cervello più attive durante il compito di apprendimento. Hanno trovato una forte relazione tra la capacità di ricordare le parole e la struttura della fascicolo arcuato, che collega due aree del cervello: l’area di Wernicke, legati alla decodifica uditiva del linguaggio, e l’area di Broca, che coordina i movimenti associati alla parola e l’elaborazione del linguaggio.
Tra i partecipanti che hanno avuto più successo nell’imparare le parole nuove, il Fascicolo arcuato è risultato più mielinizzato cioè il tessuto nervoso aveva una più veloce capacità di conduzione del segnale elettrico. Inoltre l’attività tra le due regioni era più coordinata in questi partecipanti.
Il Dott. Catani conclude: “Ora abbiamo capito che questo è il modo in cui impariamo nuove parole. La nostra preoccupazione è che i bambini avranno meno vocabolario fintanto che la loro interazione sarà via computer, testo ed e-mail piuttosto che utilizzando la loro memoria acustica e sonora. Questa ricerca rafforza la necessità per noi di mantenere la tradizione orale e di parlare sempre ai nostri figli”.