I segni dell’Alzheimer possono essere identificati precocemente nel cervello. E’ la conclusione di uno studio tutto italiano che segna un passo avanti nella conoscenza dei meccanismi neurodegenerativi alla base della malattia e migliora le possibilità diagnostiche. I ricercatori hanno individuato, infatti, le progressive modificazioni che subisce il corpo calloso del cervello delle persone colpite da forme iniziali di demenza (Mild Cognitive Impairment o Mci) e successivamente da Malattia di Alzheimer di grado lieve. Il corpo calloso è il fascio di sostanza bianca più grande presente nel cervello umano e le fibre che lo compongono collegano formazioni corticali dei due emisferi perlopiù omologhe, cioè con la stessa funzione. Grazie alla scoperta sarà possibile basarsi sull’osservazione del corpo calloso come di un ‘biomarker’ del cambiamento cerebrale che avviene durante tutto lo sviluppo dell’Alzheimer: dalla fase preclinica (la Mci) a quella di demenza di grado lieve, fino a quella di grado più severo.
A coordinare la ricerca, pubblicata su ‘Neurology’, la neuropsicologa Margherita Di Paola, giovane ricercatrice presso il Laboratorio di Neurologia Clinica e Comportamentale dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e presso il Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica della Facoltà di Medicina dell’Università dell’Aquila. Al lavoro scientifico hanno collaborato il Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Roma Tor Vergata e la Clinica della Memoria di due nosocomi della Capitale: il San Camillo-Forlanini e il San Giovanni Addolorata. Da circa venti anni si studia con interesse il corpo calloso nelle persone con Alzheimer ma l’omogeneità dei pazienti è stato un aspetto spesso trascurato nella letteratura scientifica, per la difficoltà di recuperare gruppi numerosi di individui caratterizzati dalla stessa fase della malattia. La novità nel lavoro dei ricercatori romani è di aver indagato gruppi di pazienti omogenei e suddivisi per severità di patologia, applicando due tra le più recenti tecniche di risonanza magnetica strutturale: la Voxel Based Morphometry e il Diffusion Tensor Imaging. Proprio la suddivisione dei pazienti in gruppi omogenei è stata la premessa per mettere in luce la presenza di due processi di degenerazione della sostanza bianca del corpo calloso, individuando dove e come questo subisce cambiamenti durante il corso della malattia. “Il cambiamento del corpo calloso” sottolinea la dottoressa Margherita Di Paola – è una caratteristica misurabile e valutabile obiettivamente. Questa misura può fornire informazioni riferibili a processi biologici normali o alla presenza di processi patogeni, ad un costo relativamente contenuto, quello di una risonanza magnetica, esame ormai entrato appieno nella routine diagnostica”. La ricerca, condotta interamente in Italia, rappresenta un’importante evoluzione di un precedente progetto nato dalla collaborazione tra la Fondazione Santa Lucia e il Laboratorio di NeuroImaging dell’Ucla School of Medicine di Los Angeles (Usa) che pochi mesi fa aveva già prodotto altri interessanti risultati scientifici.