Di Ilaria Desimonesessulita-disabilita

La nascita di un bambino disabile porta disequilibri nei rapporti di coppia, cambiamenti nella relazione e nei ruoli, difficoltà ad elaborare il “lutto” rispetto al bambino fantasticato. Non è possibile parlare di sessualità prescindendo dal corpo che la esprime. In presenza di una disabilità, l’immagine corporea e l’immagine di sé sono strettamente connesse agli aspetti deficitari. Come tutti gli altri comportamenti dell’essere umano, anche quello sessuale è in gran parte oggetto d’apprendimento. È possibile insegnare la sessualità e quindi possibile insegnarla a chi presenta più difficoltà ad impararla a causa della disabilità.  L’espressione della dimensione sessuale non è influenzata solo dalla gravità o dalla tipologia di deficit, dall’immagine corporea e di sé, ma anche dal clima socio-culturale del contesto di riferimento, dalle dinamiche e dalle interazioni familiari ed extra-familiari, dall’educazione sessuale.

La rappresentazione che ogni essere umano ha della sessualità è il risultato delle esperienze gratificanti (affettive e corporee) dell’infanzia, dalle quali si svilupperanno a loro volta, le prime relazioni, la capacità di riconoscersi e differenziarsi e la strutturazione di un’identità maschile o femminile.

La sessualità è una parte essenziale di tutti noi a prescindere dal genere, dalla salute e dalla condizione fisica e non decresce o scompare in presenza di una disabilità. La sessualità si sviluppa attraverso l’armonica integrazione tra  mente, affettività (sé psichico) e corpo (sé corporeo).  Nelle persone disabili queste dimensioni del sé maturano e si integrano in modo poco armonico, con compromissioni qualitative nell’ambito dello sviluppo psicologico globale. La maturazione dell’immagine di sé e della percezione della propria identità sessuale risultano frequentemente incomplete.

L’handicap psichico è spesso accompagnato da un corpo che non rientra nei canoni di una bellezza condivisi (igiene personale, odore, ecc). Il piacere può venire da contatto umano, da un gioco, da un cibo particolare, da una educazione alla musica, allo sport, ad un lavoro gratificante, ad un maggiore autonomia, ogni caso è a sé.

Molto spesso questa condizione di disagio generale facilita l’adozione di atteggiamenti che tendono a negare o a rimuovere la sessualità della persona disabile: si riscontra infatti difficoltà nel riconoscere l’identità sessuale dei propri figli, il loro passaggio da bambini ad adulti, la paura e il timore della sessualità con conseguente propensione alla negazione dello sviluppo psico-sessuale del disabile. In alcuni casi c’è una negazione assoluta del desiderio sessuale della persona diversamente abile.

Non è da sottovalutare che a seconda delle tipologie di handicap si devono considerare numerosi aspetti: c’è una sostanziale differenza tra i soggetti che vivono un deficit cognitivo, e quelli che invece hanno deficit fisici (più o meno gravi) che comunque implicano un’area cognitiva nella norma. La difficoltà maggiore sta nel pensare che un individuo disabile che ha tante difficoltà  sicuramente non avrà modo di pensare a vivere anche una sessualità attiva. È proprio questo l’errore poiché nascondere questo aspetto non prova il fatto che non esista o che ignorarlo sia la cosa giusta. Non c’è un concetto universale di sessualità e soprattutto di come sia giusto viverla. Rapporti, carezze, semplice condivisione della quotidianità o gesti di affetto e tenerezza sono libere espressioni da condividere.

Nel 1993 l’Assemblea generale dell’ONU  ha riconosciuto a tutti i portatori di handicap (sia fisico che mentale) il diritto di ricevere un’educazione sessuale.

Non ci si deve limitare a definire il sesso come un’attività coitale seguita dall’orgasmo, ma si può sottolineare il fatto che è l’espressione di un programma biologico o anche una forma di conoscenza. L’educazione alla sessualità permetterà di trovare i significati migliori per la propria vita e di imparare ad esprimerli attraverso la crescita e non attraverso il disagio e l’emarginazione.

Il pregiudizio nei confronti della conoscenza e una visione stereotipata della sessualità fa pensare che l’esperienza sessuale sia per loro poco adatta e soprattutto poco importante.

Ci sono degli stereotipi sociali legati alla sessualità dei soggetti disabili ossia: sono degli eterni bambini, sono persone asessuate, sono ipersessuati e come tali pericolosi, sono più sterili o al contrario più fertili, non possono fare i genitori, non sono in grado di controllare il loro comportamento sessuale, non sono in grado di avere rapporti sessuali. Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma in generale ci sono atteggiamenti contraddittori nei confronti della sessualità del disabile sia da parte dei genitori che degli operatori, molto spesso non preparati: negazione, repressione della sessualità, e ipersessualizzazione.

Può risultare utile un’attività di sostegno che permette di aiutare individualmente persone in difficoltà ad assimilare le conoscenze adeguate e a trasformarle in stili di vita soddisfacenti e comportamenti responsabili. Permette inoltre ad i genitori di avere una visione più ampia rispetto a questi argomenti che sono in genere considerati tabù.