soldatoUna ricerca del Centro per la ricerca sulla Sanità Militare del King’s College di Londra (KCMHR) ha rilevato che il 12,6% dei militari del Regno Unito mettevano in atto comportamenti violenti una volta tornati a casa dal dispiegamento in Iraq.

Lo studio, pubblicato nel numero di agosto di Psychological Medicine, ha scoperto che la violenza dopo il ritorno a casa è associata ad esperienze di combattimento e traumi vissute durante le missioni militari.

Il Dr. Deirdre MacManus, psichiatra forense e docente di clinica presso il King ‘s College di Londra, autore principale dello studio, afferms:’ il personale dell’Esercito che torna a casa spesso trova difficile adattarsi alla vita civile dopo le missioni di guerra, e ci sono state segnalazioni di soldati che non sono stati in grado di riadattare alcuni dei propri comportamenti, utili in una situazione di combattimento, ma non nella vita civile.

‘Abbiamo scoperto che quasi il 13% dei soldati sono stati violenti nelle settimane successive al loro ritorno a casa dall’Iraq. La violenza era più comune tra coloro che avevano mostrato tendenze aggressive prima di entrare nell’esercito, ma anche quando abbiamo preso in considerazione ed escluso questo, c’era ancora un forte legame tra l’esposizione al combattimento e gli eventi traumatici durante le missioni e la violenza al ritorno a casa. ‘

Lo studio ha rilevato che nelle settimane dopo il ritorno a casa, il 12,6% del personale dell’esercito ha riferito di essere violento. Coloro che avevano mostrato un comportamento antisociale, prima di entrare nell’esercito avevano 3,6 volte più probabilità di essere violenti al loro rientro a casa. Ma, dopo aver eliminato l’influenza del comportamento antisociale pre-arruolamento, i fattori socio-demografici e militari, la violenza al ritorno a casa era ancora fortemente associato con l’essere stato schierato in un ruolo di combattimento (2 volte più probabilità di essere violento) o con più esperienze di eventi traumatici durante la missione (3,7 volte più probabile se con esperienza di 4 o più eventi traumatici).

Il personale dell’esercito che ha avuto problemi di salute mentale, come il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) avevano 4,8 volte più probabilità di riferire violenza in casa, e coloro che hanno mostrato abuso di alcol avevano 3,1 volte più probabilità di commettere violenza.

Lo studio ha seguito 4.928 uomini e donne del personale delle forze armate del Regno Unito che erano stati dispiegati in Iraq nel 2003. I dati sono stati raccolti con un questionario che comprendeva informazioni sulle esperienze della missione militare, le caratteristiche socio-demografiche e militari, il comportamento antisociale pre-arruolamento, leconseguenze per la salute mentale nel post-intervento militare e una misura auto-riferita della violenza fisica nelle settimane dopo il loro ritorno a casa.

Il Dr MacManus aggiunge: ‘Questi risultati fanno parte della prima fase dello studio. Stiamo continuando a seguire questo gruppo e stiamo collegando i nostri dati con quelli dei funzionari del ministero della Giustizia. Ciò fornirà molte informazioni necessarie sui diversi tipi di comportamenti violenti in tutto il corso della vita del personale militare compreso nello studio.’

cannabis Un aumentato rischio di sviluppare psicosi

Le persone che fumano cannabis regolarmente e fin dalla tenera età aumentano il loro rischio di sviluppare psicosi. I ricercatori non sono ancora certi su quali siano i meccanismi coinvolti, ma studi condotti in tutto il mondo hanno sempre evidenziato l’aumento del rischio di psicosi tra i consumatori di cannabis.

Uno studio, ad esempio, ha seguito la vita di 1.000 uomini e donne in Nuova Zelanda dalla loro nascita. I ricercatori hanno scoperto che le persone che fumavano cannabis da adolescenti avevano una maggiore probabilità di avere sintomi psicotici all’età di 26 anni, rispetto ai loro coetanei che si sono astenuti. Più precocemente si inzia ad usare cannabis, più è probabile che nella prima età adulta possano comparire sintomi di psicosi. Le persone che erano state consumatori regolari di cannabis a 15 anni, avevano circa quattro volte più probabilità di avere sintomi psicotici all’età 26 anni.

Un altro studio ha seguito 45.000 persone arruolate nelle forze armate della Svezia per oltre 15 anni. I ricercatori hanno scoperto che il rischio di sviluppare schizofrenia era 2,4 volte maggiore per le persone che avevano fumato cannabis prima di aver compiuto 18 rispetto ai non utilizzatori.

Tuttavia, la stragrande maggioranza dei consumatori di cannabis non si ammalano, come la maggioranza delle persone che beve alcolici con moderazione non ha effetti negativi sulla propria salute.


Effetti della cannabis sul cervello

I ricercatori stanno cercando di scoprire perché la cannabis aumenta il rischio di psicosi in alcune persone e l’effetto delle sostanze chimiche che contiene sul cervello umano.

Si pensa che l’ingrediente psicoattivo della cannabis – chiamato delta-9-THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) – abbia un ruolo chiave.

La vecchia resina di cannabis (hashish) contiene circa il quattro per cento di THC, ma le varietà moderne, come lo skunk, possono contenerne fino al 18 per cento.

I ricercatori hanno scoperto che le persone che fumano regolarmente skunk hanno una probabilità quasi sette volte maggiore di sviluppare psicosi rispetto a quelli che utilizzano resina di cannabis tradizionale o erba.

Diversi studi hanno dimostrato che quando a persone sane è somministrata una iniezione di puro THC sintetico, più di un terzo di esse esperisce sintomi di psicosi.

Un recente studio di brain imaging su un piccolo numero di persone (che non aveva esperienza di psicosi e fumava occasionalmente) ha mostrato che il THC aumenta la risposta del cervello agli stimoli normalmente insignificanti. Gli studi stanno continuando, e i ricercatori sono convinti che questo potrebbe spiegare perché fumare cannabis ad alto contenuto di THC può contribuire allo sviluppo della psicosi: la sostanza chimica cambia il modo in cui vengono attivate diverse parti del cervello, il che significa che la gente comincia a pensare che normali esperienze abbiano una particolare o speciale importanza, potendo quindi diventare paranoici.

Lo stesso studio ha mostrato che l’altro costituente principale della cannabis – CBD (cannabidiolo) – ha avuto l’effetto opposto sul cervello: i ricercatori pensano che il CBD possa agire come farmaco antipsicotici.

La continua ricerca si impegna anche a capire come l’azione del THC sul cervello influenzi altre sostanze chimiche cerebrali come la dopamina, che è coinvolta nello sviluppo della psicosi, e il glutammato, un neurotrasmettitore che ha un ruolo nell’apprendimento e nella memoria.


Fumare cannabis dopo una diagnosi di psicosi

La ricerca scientifica ha dimostrato che le persone affette da schizofrenia sono due volte più propense a usare cannabis rispetto alle persone che non hanno la malattia.

Alcune persone che hanno ricevuto una diagnosi dicono che la cannabis li fa sentire meglio e neutralizza gli spiacevoli effetti collaterali dei medicinali antipsicotici. Il CBD, uno dei due ingredienti principali della droga, può rendere le persone meno ansiose. La ricerca mostra anche che le persone affette da psicosi consumano cannabis per le stesse ragioni degli individui sani: per rilassarsi e ‘sballarsi’.

Tuttavia, le persone affette da psicosi che continuano a fumare cannabis tendono ad avere sintomi più gravi di quelle che smettono.

Gli operatori sanitari e i ricercatori stanno sviluppando e testando terapie per offrire un sostegno alle persone affette da psicosi e aiutarle a rimanere lontani dalla cannabis. Colloqui motivazionali, per esempio, sono stati testati da professionisti che lavorano nei servizi d’intervento precoce e dimostrano che possono aiutare le persone a ridurre il numero di complicazioni dovute all’uso di questa sostanza.

Mens Sana applica il programma contro le dipendenze anche agli utilizzatori di cannabis affetti da psicosi o schizofrenia dal 2010. Secondo i dati in nostro possesso le persone che hanno ridotto o eliminato il consumo di cannabis hanno avuto un miglioramento dei sintomi e ridotto il dosaggio di farmaco antipsicotico necessario per la remissione clinica.