Studente universitarioSalve dott.ssa Grossi, sono una giovane studentessa che, finita a luglio la maturità, ora è in crisi sulla difficile scelta: e ora? Che ne sarà di me? Cosa voglio fare da grande? E che so fare soprattutto? Mi sento un incompetente e non ho specifiche abilità… diciamo che “so far tutto e non so fare niente. Che sarà  della mia vita chi lo sa?”. L’unica cosa che so, è che mi piace aiutare il prossimo e per questo mi sono buttata sul sociale iscrivendomi a scienze dell’educazione, lei che lavora in quest’ambito, cosa ne pensa?

Cara giovane lettrice, dopo questa riuscita citazione di un  successo dei “Ricchi e Poveri”, posso intanto rispondere che sono felice che vengo contattata anche per queste consulenze di orientamento universitario. È normale non sentirsi competente, non a caso devi ancora iniziare un percorso che ti renderà tale. La scelta universitaria, sono d’accordo con te,  è di fondamentale importanza,  ma purtoppo ritengo che non venga fatto un orientamento adeguato a voi giovani studenti, che siete costretti a brancolate nel buio; siete quindi sottoposti a tentativi, indecisioni e valutazione a volte sbagliate. Per fare la scelta giusta della facoltà  infatti, devono conciliare diversi fattori fondamentali: la predisposizione, ciò che si ama e si desidera fare da Grande,  senza però trascurare il mercato del lavoro. Data la difficile situazione occupazionale in cui versa oggi l’Italia, è necessario, almeno, fare un indagine sulle tipologie di lauree più spendibili nel mondo del lavoro. Oggi è notevolmente aumentato il numero di assunzioni di quanti hanno completato un ciclo di studi universitari; la laurea è infatti un ottimo requisito per un inserimento nel mondo del lavoro, ma non credo neanche sia l’unica strada. Non tutti  i ragazzi devono essere laureati! Ci sono altre e più proficue e immediate opportunità alternative. Ma, ritornando alla nostra lettrice, è chiaro rammentare che non tutte le facoltà sono richieste allo stesso modo; quelle in economia e ingegneria sono le più richieste, seguite da quelle con indirizzo chimico- farmaceutico e turistico – alberghiero. Credo che la guida e l’orientamento universitario siano fondamentali, infatti attraverso una riflessione accompagnata è possibile:

  • Esplorare le criticità riscontrabili nell’ iter di studi universitari a partire dalla scelta della Facoltà (“Sto facendo la scelta giusta?”, “Potrò studiare e insieme lavorare?”, “Sono uno studente fuori sede, ce la farò?” )
  • Favorire la costruzione di percorsi formativi personalizzati che valorizzino le opportunità presenti  nelle diverse fasi decisionali (“Come scelgo i corsi?” , “E la tesi?”, “Si riesce a laurearsi già in corso?”, “Ho già una laurea, mi riconosceranno dei crediti?”)
  • Guardare al futuro lavorativo (“E una volta laureata, cosa saprò e potrò fare?”, “Questo titolo mi può servire per il lavoro che sto già facendo o che vorrò fare?” )

Per te, mia cara lettrice, che hai scelto il mondo del sociale, è doveroso informarti che è un settore in grande crisi. Un ambito nel quale si è in molti e il riscontro economico non è mai abbastanza rispetto al lavoro effettivo. E chi intraprende questi incarichi, deve farlo con passione perché, oltre alle competenze professionali e i numerosi e vari sacrifici che ti sono richiesti, questo lavoro più degli altri va fatto con il cuore. Con la scelta che hai fatto,  potrai lavorare con l’infanzia o con la disabilità e quindi con  la sofferenza delle persone. Ognuna di loro ha tante fragilità e tanti più ostacoli da affrontare, ma anche così tante qualità che sapranno trasmetterti. Bisogna crederci, credere nel buono e nelle risorse che ognuno di loro ha e partire da lì. Ripeto, se la scelta è fatta con il cuore, allora ben venga. In bocca al lupo per questo nuovo inizio, a te e a tutti i nostri lettori universitari con l’augurio che possano fare della loro formazione, la loro passione! Buon anno accademico a tutti!

Dr.ssa Irene Grossi

psicoanalisiGentile dott.ssa Grossi. Sono una signora di mezz’età che attualmente non è più serena. Sto male! Ho ansie, paure non so cos’altro,  ma ho anche qualche resistenza a chiedere un aiuto ad uno psicologo perché … me ne vergogno e poi,  io non sono matta!

Lettera firmata

Cara signora, sono contenta che lei mi abbia scritto questa mail perché mi dà la possibilità di sfatare dei miti sullo psicologo strizzacervelli!!! Intanto, in qualche  modo, la sua richiesta d’aiuto l’ha inviata e io la colgo con molto piacere. Non è l’unica, anzi, purtroppo è ancora luogo comune pensare che, chi va dallo psicologo sia matto. Ci sono pregiudizi popolari e numerosi falsi miti che inviterei i lettori di Gurù a suggerirmene. La nostra cara signora introduce un altro aspetto molto importante: la vergogna. Immagino che lei pensa: “Che cosa dirà la gente se mi vede andare o parlare con uno psicologo?” “ Penserà che sono matta, che sono fuori di testa?”. Si accetta senza incertezze, di andare dal ginecologo per problemi “intimi”, piuttosto che dall’oculista per la vista, o dal gastroenterologo per problemi gastrointestinali; ma se non mi sento serena, se sono triste, e vivo con paure, ansie e in uno stato di malessere generale che compromette le mie normali attività giornaliere, bèh, malgrado tutto questo, non accetto di andare dallo psicologo. Perché, mi chiedo? Intanto facciamo un po’ di chiarezza. Per la maggior parte dei casi, lo psicologo si occupa di persone sane che hanno delle difficoltà e problematiche, mentre di ordine medico sono le patologie più gravi e invalidanti come le psicosi e la schizofrenia. Andare dallo psicologo, significa intanto ammettere una propria difficoltà; decidere di fare un percorso personale per conoscersi un po’ di più, per prendersi cura di sé e del proprio benessere, per affrontare quelle problematiche che mi fanno star male e che non mi fanno vivere la mia vita a pieno e al meglio. Non significa essere matto! Ma, anche la stessa parola, “matto”, è comunque un luogo comune. Nei nostri manuali questo termine non esiste. Credo invece che, chi avesse la possibilità, la forza e il coraggio di intraprendere un percorso personale, deve esserne orgoglioso! Da altre parti andare dallo psicologo, è un lusso e credo che tra qualche tempo lo diventerà anche qui. È tutta questione di mentalità; Einstein diceva: “è più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio”. E per cambiare la mentalità delle persone c’è bisogno di tempo. Io stessa, inevitabilmente, sto facendo un mio percorso personale, e ne sto, ovviamente, riscontrandone benefici.  Perché ostinarsi a vivere male la propria vita quando invece si può con qualche aiuto, comprenderla meglio, ritrovare la serenità e l’entusiasmo, guardare la vita con uno sguardo obiettivo(e non interpretativo come siamo abituati a fare)? La realtà che ci circonda è vista dai nostri occhi e interpretata da essi. Ma, è proprio quest’interpretazione che talvolta ci fa star male. Lo psicologo non fa altro che aiutarti a capirti meglio, a insegnarti un nuovo modo di guardare la vita. Imparerai a togliere gli occhiali scuri, quelli che ti fanno vedere tutto nero; ma non ti metterà quelli rosa, che ti faranno vedere il mondo irreale di illusioni; al contrario imparerai ad  indossare gli occhiali con le lenti trasparenti, per farti vedere il mondo in modo obiettivo. E imparerai così, un nuovo modo di pensare e di affrontare le problematiche, non solo per oggi, ma per il resto della vita. Racconto una storia a te signora scrittrice e a tutti i lettori, per chiarire meglio il ruolo dello psicologo:

Un saggio pescatore cinese che stava pescando sul molo venne interpellato da una donna affamata che non mangiava da giorni. Notando il secchio di pesci che aveva preso, la donna lo aveva implorato a donargliene alcuni perché placassero la sua fame.
Dopo un momento di riflessione, il pescatore rispose: ”Non ho intenzione di darle alcuno dei miei pesci ma, se raccogli una canna e si siede accanto a me per un po’, le insegnerò a pescare. In questo modo lei non mangerà soltanto oggi, ma imparerà a procacciarsi del cibo per il resto della sua vita”

Ed è proprio questo che lo psicologo prova a fare!

Dr.ssa Irene Grossi

farmaciI farmaci in fascia C con obbligo di ricetta portano ogni anno nelle casse delle farmacie, oltre tre miliardi di euro, pagati direttamente dai cittadini. Lo sottolinea una nota di Altroconsumo evidenziando come la liberalizzazione di questo mercato avrebbe prodotto un immediato risparmio per le tasche dei consumatori, un risparmio fino al 18% secondo una recente indagine dell’associazione. Proiettando i benefici dalla liberalizzazione anche sul mercato di fascia C con ricetta, senza limiti sul territorio, continua la nota, si sarebbe potuto arrivare a un risparmio di 500 milioni di euro all’anno. «Rivedere le regole e applicare un monitoraggio dei prezzi svecchierebbe il mercato dei farmaci e renderebbe la vendita finalmente aperta e trasparente, con opportunità di risparmio concreto per i cittadini» ha dichiarato Paolo Martinello, presidente Altroconsumo.

familyCara dott.ssa Grossi, sono una donna che sta partecipando al fallimento del suo matrimonio, mi sto separando da mio marito. Non avrei mai creduto che proprio io, proprio noi, saremmo arrivati a questo, ma è un po’ che il nostro rapporto è logoro, non si può più andare avanti così! Con mio marito abbiamo deciso di separarci, ma avendo due figli mi chiedevo quanto la separazione può provocargli dei traumi? Come posso gestirla al meglio?
Grazie, e in attesa di vedere la sua risposta online, la saluto.

Gentile Signora, intanto la ringrazio per avermi scritto e per aver scelto di condividere il momento di difficoltà che sta vivendo con me e i lettori di Mens Sana. La separazione è un momento molto difficile per la vita familiare, per ogni singolo membro di questa e ancor più per i bambini. Lei mi chiede se la separazione provochi dei traumi ai vostri figli. Dipende ovviamente da voi genitori, da come state gestendo questa situazione che, come ogni momento traumatico nella vita di una famiglia, lascerà inevitabilmente dei segni. Non per questo però, se voi genitori ritenete che la soluzione migliore per la vostra famiglia, sia la vostra separazione, ben venga se questo significhi una migliore qualità di vita della famiglia. È evidente che, per i bambini, vivere in un’atmosfera familiare litigiosa, poco serena e colma di continue tensioni non è per nulla salutare per la loro crescita (ma anche per voi genitori immagino!). Sarebbe opportuno, in un certo senso, limitare i danni. Che cosa significa? Cercare, innanzitutto, di tutelare al meglio i bambini. Significa non sottoporli ai contrasti e alle discussioni dei genitori, non mettere in cattiva luce il coniuge, non condividere con i bambini le problematiche adulte. A loro va spiegato in modo sereno, senza far trasparire disperazione o rabbia, cosa sta succedendo nella coppia, per non alimentare fantasia e falsa illusione. La chiarezza e il rispetto nei confronti dei vostri figli devono essere al primo posto. In queste occasioni spesso accade che i genitori incorrano in un rischio definito sindrome di alienazione genitoriale (o PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome). La PAS, sarebbe prodotta da una presunta “programmazione” dei figli da parte di un genitore patologico (genitore alienante che assume il ruolo di accusatore “sofferente”): una specie di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e ad esibire ostilità e disprezzo ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (genitore alienato, accusato e descritto come “squilibrato”). Le tecniche di “programmazione” del genitore alienante, comprenderebbero l’uso di espressioni denigratorie riferite all’altro genitore; false accuse di trascuratezza, violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale); la costruzione di una “realtà virtuale familiare” di terrore e angoscia che genererebbe, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore definito ”squilibrato”. I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore “sofferente”; si mostrerebbero come contagiati da questa sofferenza, ed inizierebbero ad appoggiare la visione di quest’ultimo, esprimendo, in modo apparentemente autonomo, astio, disprezzo e denigrazione contro l’altro genitore. La “programmazione” arriverebbe, a distruggere la relazione fra figli e genitore alienato, perché i bambini arriverebbero a rifiutare qualunque contatto, anche solamente telefonico, con questi. Perché si possa parlare di PAS, però, è necessario che l’astio, il disprezzo, il rifiuto non siano giustificati (o giustificabili) da reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore alienato. Chiaramente è auspicabile non avvicinarsi a quest’atteggiamento patologico, ma tenere bene a mente che anche se il coniuge non è più la persona che si vuole al proprio fianco, questo rimarrà sempre il padre (o madre) dei propri figli. Si può smettere di essere marito (o moglie) ma non si cessa mai di essere genitore.

Dott.ssa Irene Grossi