alcol-cuoreIn molti sanno quanto le malattie cardiache siano diffuse nella popolazione: circa 1 persona su 12 ne soffre. Quello che non sempre sappiamo è che le malattie del cuore possono essere causate dall’alcol. I ricercatori sanno da secoli che il consumo eccessivo di alcol può danneggiare il cuore. Bere molto e per un lungo periodo di tempo o bere troppo in una sola occasione può mettere il cuore e la vostra vita a rischio. D’altra parte, i ricercatori ora hanno capito che bere moderate quantità di alcol può proteggere il cuore di alcune persone dai rischi di malattia coronarica.

Decidere quanto alcol, e se sia il caso, è giusto ingerire può essere complicato. Per prendere la decisione migliore, è necessario conoscere come stanno le cose e poi consultare il proprio medico.

Conoscere la funzione del cuore

Il sistema cardiovascolare è costituito dal cuore, dai vasi sanguigni e dal sangue. Questo sistema lavora costantemente, ogni secondo della nostra vita, fornendo ossigeno e sostanze nutritive alle cellule e portando via anidride carbonica e altri materiali non più necessari.

Il cuore guida questo processo idraulico. Si tratta di un muscolo che si contrae e si rilassa più e più volte, pompando il sangue lungo il percorso dei vasi sanguigni. Il cuore batte circa 100.000 volte al giorno, pompando l’equivalente di 2.000 litri di sangue in tutto il corpo.

Le due parti, o camere, del cuore ricevono dal corpo e pompano il sangue nuovamente in esso. Il ventricolo destro del cuore pompa il sangue nei polmoni per lo scambio di anidride carbonica che viene dalle cellule con ossigeno che viene dall’esterno. Il cuore si rilassa per consentire al sangue di tornare di nuovo nella sua camera di sinistra. E poi pompa il sangue ricco di ossigeno ai tessuti e agli organi. Il sangue che passa attraverso i reni, permette al corpo di liberarsi dei rifiuti. I segnali elettrici mantengono il cuore in pompaggio continuo e alla forza appropriata per sostenere questa routine.

Conoscere i rischi:

Cardiomiopatia alcolica

A lungo termine bere pesantemente indebolisce il muscolo cardiaco, causando una condizione chiamata cardiomiopatia alcolica. Un cuore indebolito ha delle fibre più deboli e allungate che non possono contrarsi in modo efficace. Di conseguenza, il cuore non può pompare sufficiente sangue per nutrire a sufficienza gli organi. In alcuni casi, questa carenza di flusso sanguigno provoca gravi danni a organi e tessuti. I sintomi della cardiomiopatia comprendono respiro corto e difficoltà respiratorie, stanchezza, gonfiore alle gambe e ai piedi, battito cardiaco irregolare. Questa condizione può anche portare all’insufficienza cardiaca.

Aritmie

Sia un abuso a breve che a lungo termine può influenzare la velocità con cui il cuore batte. Il cuore dipende da un sistema di pacemaker interno che mantiene costantemente il pompaggio alla giusta velocità. L’alcol disturba il sistema del pacemaker e fa sì che il cuore batta troppo rapidamente, o irregolarmente. Queste anomalie della frequenza cardiaca sono chiamate aritmie. Due tipi di aritmie alcol-indotte sono:

Fibrillazione atriale – In questa forma di aritmia, della parte superiore del cuore, o atriale, le camere cardiache vibrano debolmente e troppo velocemente e non riescono a contrarsi. Il sangue si può raccogliere e coagulare negli atri e se uno di questi coaguli di sangue si stacca dal cuore e arriva al cervello, può verificarsi un ictus. Se il coagulo viaggia verso altri organi come i polmoni, provocherà  un’embolia o potrà verificarsi il blocco dei vasi sanguigni.

Tachicardia ventricolare –  Questa forma di aritmia si verifica nelle camere cardiache più basse, i ventricoli. I segnali elettrici viaggiano in tutto il muscolo del cuore, innescando le contrazioni che fanno sì che il sangue scorra al ritmo giusto. Il danno indotto dall’alcol alle cellule del muscolo cardiaco possono far sì che questi impulsi elettrici passino attraverso il ventricolo più volte, causando contrazioni troppo frequenti. Il cuore batte così troppo velocemente, non riuscendosi a riempire di una quantità di sangue sufficiente tra ogni battito. Come risultato, il resto del corpo non riceve abbastanza sangue. La tachicardia ventricolare provoca vertigini, stordimento, perdita di coscienza, arresto cardiaco e morte improvvisa.

Bere in eccesso in una particolare occasione, soprattutto quando non sì è soliti consumare alcol, può innescare una di queste irregolarità. Il disturbo è soprannominato “holiday heart syndrome”, perché colpisce la gente che di solito non beve e potrebbe consumare troppo alcol alle feste, durante, per esempio, le festività natalizie o estive.

Nel lungo termine, l’alcol provoca dei cambiamenti cronici del corso degli impulsi elettrici che guidano il battito del cuore, creando aritmie.

Ictus cerebrale

Un ictus si verifica quando il sangue non raggiunge il cervello. In circa l’80 per cento degli ictus, è un coagulo di sangue ad impedire il flusso di sangue al cervello. Questi sono chiamati ictus ischemici. A volte il sangue, a causa di lesioni nei vasi, si accumula nel cervello, o negli spazi che lo circondano. Ciò causa un ictus emorragico.

Sia grandi quantità di alcol che l’uso a lungo termine possono portare a ictus anche nelle persone che non hanno malattie coronariche. Recenti studi hanno dimostrato che le persone che bevono molto alcol hanno circa il 56 per cento in più di probabilità rispetto alle persone che non bevono di andare incontro ad un ictus ischemico nei 10 anni successivi. I grandi bevitori hanno anche circa il 39 per cento in più di probabilità di soffrire di qualsiasi tipo di ictus rispetto alle persone che non bevono molto.

Inoltre l’alcol aggrava i problemi che spesso portano all’ictus, come l’ipertensione, le aritmie e la cardiomiopatia.

Ipertensione

L’uso cronico di alcol, così come l’abuso, possono causare l’aumento della pressione del sangue, o ipertensione. La pressione del sangue è una misura della pressione creata dal cuore mentre batte, e della pressione all’interno delle vene e arterie esercitata dal sangue. Un tratto sano dei vasi sanguigni si comporta come un elastico: come il cuore pompa sangue attraverso di loro questi si allargano, per poi tornare alle dimensioni di riposo. L’ipertensione si sviluppa quando i vasi s’irrigidiscono, diventando meno flessibili. Il consumo di alcol stimola il rilascio di ormoni dello stress che a loro volta restringono i vasi sanguigni. Ciò eleva la pressione sanguigna. Inoltre, l’alcol può influenzare la funzione dei muscoli all’interno dei vasi sanguigni, causando una loro costrizione eccessiva e la conseguente elevazione della pressione sanguigna.

Conoscere i benefici:

La ricerca mostra che le persone sane che bevono quantità moderate di alcol possono avere un minor rischio di sviluppare malattie coronariche. Un bere moderato è di solito definito come non più di due drink al giorno per gli uomini e un bicchiere al giorno per le donne che non sono in stato di gravidanza o che cercano di concepire (che devono astenersi totalmente dall’alcol).

Una varietà di fattori, tra cui la dieta, la genetica, la pressione alta e l’età, può essere causa di accumulo di grasso nelle arterie, con conseguente malattia coronarica. Un eccesso di grasso restringe le arterie coronarie, che sono i vasi sanguigni che forniscono sangue al cuore. Le arterie bloccate riducono l’apporto di sangue al muscolo cardiaco, e rendono più facile la formazione di coaguli di sangue. I coaguli di sangue possono causare poi infarti cardiaci e ictus.

Secondo recenti studi, bere moderatamente potrebbe proteggere il cuore da queste situazioni. Bere moderatamente aiuta a inibire e ridurre l’accumulo di grasso nelle arterie. Possono aumentare i livelli di HDL o colesterolo “buono”  nel sangue, che scongiura le malattie cardiache. Può aiutare la prevenzione dell’infarto e dell’ictus, impedendo la formazione di coaguli di sangue e sciogliendo coaguli di sangue che si sviluppano. Bere moderatamente può anche aiutare a mantenere i livelli di pressione sanguigna sotto controllo.

Questi benefici possono non valere per le persone con altri disturbi e malattie, o che assumono regolarmente determinati farmaci. Inoltre, i ricercatori e anche noi di Mens Sana, scoraggiamo le persone dal cominciare a bere solo per i possibili ed eventuali benefici per la salute. Piuttosto, è bene discutere di queste ricerche con il proprio medico per aiutare a dar vita ad una collaborazione medico-paziente circa il percorso migliore per voi.

eroinaLa crisi economica sta affondando la Grecia sul fronte della salute, rendendo più difficile l’accesso ai servizi sanitari e aumentando il tasso di ricoveri e suicidi, nonché problemi sociali come la dipendenza da eroina. Si riscontra anche l’aumento dei casi di infezione di Hiv. È quanto emerge dall’analisi pubblicata sulla rivista Lancet e condotta da Alexander Kentikelenis, David Stuckler della University of Cambridge e Martin McKee della London School of Hygiene and Tropical Medicine.

Una situazione analoga si potrebbe verificare in Italia, spiega Francesco Moscone, docente di economia sanitaria presso la Brunel University a Londra: «Anche in Italia come in Grecia assisteremo a una riduzione nell’accesso ai servizi sanitari da parte dei cittadini», sottolinea Moscone.

 

Sono tantissime le problematiche che saltano all’occhio in questa dettagliata analisi che mostra come la crisi stia infierendo anche sulla salute, oltre che sui portafogli, dei greci: non vanno più dal medico (si registra un -15% di visite dal 2007 al 2009), perché probabilmente non credono di poter ottenere i servizi di cui hanno bisogno.

L’offerta di servizi sanitari, infatti, è stata drasticamente tagliata (-40% la riduzione del budget ospedaliero) per ripianare il debito. Ai tagli seguono riduzione di personale, occasionale carenza di approvvigionamento di materiali medici, persone che riferiscono di aver dovuto dare “bustarelle” allo staff medico per saltare le liste d’attesa per una visita allungate dai tagli alla salute. Sempre a causa dei tagli, vi è stata una riduzione consistente del numero di indennità per malattia concesse dallo stato (-40% da 2007 a 2009).

Per contro si è registrato un aumento dei ricoveri (+24% nel 2010 rispetto al 2009, +8% nella prima metà del 2011 rispetto allo stesso periodo del 2010). L’analisi mostra che è cresciuta del 14% dal 2007 al 2009 la quota di cittadini greci che dicono di essere in cattiva o pessima salute. Nello stesso periodo i suicidi sono cresciuti del 17% e dati non ufficiali relativi al 2010 indicano un aumento del 25% rispetto al 2009. Il ministero della Salute ha riportato un aumento del 40% nella prima metà del 2011 rispetto allo stesso periodo del 2010. Sono aumentati pure i casi di Hiv (+52% nel 2011 rispetto al 2010 – ovvero 922 nuovi casi contro i 605 del 2010), soprattutto tra i tossicodipendenti.

L’uso di eroina, non a caso, è aumentato del 20% nel 2009. La situazione greca riflette un rischio anche italiano: «Il forte indebitamento di molte regioni – spiega Moscone – ha già portato a forti tagli nel budget del settore sanitario, provocando allungamento delle liste d’attesa, mancanza di personale e situazioni caotiche in diversi ospedali».

anziani depressioneBussano alla porta dello specialista quando è troppo tardi, quando la malattia ha già cominciato a cancellare le loro identità e la nebbia ormai affoga i ricordi. Malati di Alzheimer senza saperlo. Su 36 milioni stimati di persone con demenza nel mondo, 3 casi su 4 sono sommersi. Senza diagnosi e senza cure. E’ il dato che emerge dal Rapporto mondiale Alzheimer 2011, presentato oggi a Milano, Londra e New York in vista della XVIII Giornata dedicata all’Alzheimer (21 settembre). Ma una diagnosi precoce, avvertono i ricercatori, potrebbe far risparmiare 10 mila dollari per malato. Questo racconta il rapporto dedicato quest’anno proprio ai ‘Benefici di diagnosi e interventi tempestivi’, diffuso in contemporanea da Alzheimer’s Disease International (Adi), Alzheimer’s Association Usa e Federazione Alzheimer Italia.Secondo il dossier, nei Paesi ad alto reddito solo il 20-50% dei casi di demenza sono riconosciuti e documentati. Una situazione che si aggrava ancora di più se si guarda alle realtà dei Paesi a basso e medio reddito, dove la percentuale di diagnosi è del 10%. “Si arriva a una diagnosi di Alzheimer anche con 3 anni di ritardo – spiega Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia – Spesso i sintomi non si riconoscono. Trattandosi nella maggior parte dei casi di anziani si attribuiscono i cali di memoria alla vecchiaia, oppure è il malato stesso a non voler uscire allo scoperto. E tutto questo si traduce in tempo perso per la cura della malattia”. I trattamenti, prosegue Salvini Porro, “vanno cominciati il più presto possibile per salvaguardare la qualità di vita del malato”. Interventi mirati, assicurano gli autori del rapporto, possono fare la differenza soprattutto nello stadio iniziale della malattia. Farmaci e interventi psicologici possono migliorare cognitività, indipendenza e qualità di vita delle persone con demenza allo stadio iniziale. Supporto e counselling ai familiari possono migliorare l’umore, ridurre lo stress e ritardare l’istituzionalizzazione dei pazienti. Ma la chiave è una: anticipare i tempi di riconoscimento della malattia. Sulla base di una revisione delle analisi economiche, nel rapporto si stima che la diagnosi tempestiva potrebbe far risparmiare fino a 10 mila dollari per malato nei Paesi ad alto reddito. “I governi, preoccupati per l’aumento dei costi delle cure a lungo termine della demenza, dovrebbero spendere ora per risparmiare più tardi, ma dubito che lo faranno – commenta Salvini Porro – In questo periodo si sono dimenticati dell’Alzheimer, ma nei prossimi anni dovranno affrontare una vera emergenza. Con i giovani che diminuiscono e i malati che aumentano, chi si occuperà di questi pazienti?”. La malattia, relegata in basso alla lista di priorità dai governi alle prese con la crisi finanziaria, corre a un ritmo “preoccupante – osserva l’esperta – E’ previsto quasi il raddoppio dei casi ogni 20 anni: 36 milioni di malati nel 2010 (di cui 7,3 in Europa), 65,7 milioni nel 2030, 115,4 milioni nel 2050. Sono queste le stime” contenute nel dossier curato da un gruppo di ricercatori guidati da Martin Prince dell’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra. I ricercatori hanno revisionato nell’ultimo anno migliaia di studi scientifici sull’impatto di una diagnosi e di un trattamento precoci e hanno trovato l’evidenza di reali benefici per il malato e il familiare. Risultato: oggi la maggior parte delle diagnosi di demenza, spiegano, “viene effettuata con grave ritardo provocando un altrettanto grave ritardo nel trattamento”. Secondo Prince, “per affrontare la demenza ogni Paese ha bisogno di una strategia nazionale che promuova una diagnosi tempestiva e un percorso di cura”. In Italia, dove si contano un milione di persone con demenza di cui circa 600 mila con Alzheimer, “dovremmo seguire l’esempio di Paesi a noi vicini come la Francia, che ha varato un piano pluriennale da 1,6 miliardi”, incalza Salvini Porro. La malattia costa tempo, soldi e fatica. E pesa soprattutto sulle famiglie dei pazienti. “Per un malato si parla di 60 mila euro circa fra costi diretti e indiretti”, ricorda. Secondo il Rapporto mondiale Alzheimer 2010, i costi globali della demenza arrivano a 604 miliardi di dollari, cifra che rappresenta circa l’1% del Pil mondiale. In Italia sono attive circa 500 Unità di valutazione dell’Alzheimer e “la parte specialistica è adeguata – riflette Claudio Mariani, ordinario di neurologia all’università degli Studi di Milano – Ma è necessario lavorare sulla sensibilizzazione dei medici di famiglia che devono aiutarci a risparmiare tempo e a stanare i pazienti bisognosi di cure il più presto possibile. Oggi i malati arrivano dallo specialista già con i segni della demenza, ma il processo distruttivo della patologia comincia prima. E c’è una fase di pre-demenza in cui si possono riconoscere segni ‘sottili’ della malattia, con test molto sofisticati e precisi e con esami diagnostici”. Sul fronte terapie, riferisce invece l’esperto, “i ricercatori sono a caccia di farmaci che agiscano sulle cause della patologia. C’è molta attesa per i nuovi farmaci, il vaccino che sarà sia terapeutico che preventivo e gli anticorpi monoclonali, che entrerà nella fase III di sperimentazione nel giro di un anni”. Oggi sono disponibili anche trattamenti non farmacologici, come la cosiddetta ‘stimolazione cognitiva’ che, spiega Mariani, “può essere utile per rallentare la comparsa della demenza. Si tratta di tecniche raffinate che hanno un costo molto elevato, visto che sono praticate in pochi centri da personale super specializzato”.

Da Adnkronos Salute