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La Ketamina è un antagonista non selettivo ad alta affinità per il recettore N-metil-D-aspartato (NMDA). Ha dimostrato un effetto antidepressivo a rapida insorgenza in pazienti con depressione resistente ad altri trattamenti. Esistono ormai diversi studi che hanno valutato l’efficacia della somministrazione per via endovenosa due volte o tre volte alla settimana oppure per via intranasale di ketamina e ne hanno riconosciuto gli effetti antidepressivi iniziali nei pazienti con depressione resistente al trattamento.

La Ketamina, somministrata per via endovenosa o intranasale, a dosi controllate, si è dimostrata essere più efficace del placebo nel miglioramento dei sintomi depressivi utilizzando la scala di valutazione Montgomery-Asberg Depression Rating Scale (MADRS).

Il protocollo, ancora sotto studio, consiste nel somministrare la ketamina per via endovenosa o intranasale per 40 minuti, due o tre volte alla settimana, per un massimo di 4 settimane.

I risultati sono promettenti. La riduzione dei sintomi depressivi è risultata essere più rapida rispetto agli antidepressivi tradizionali. Inoltre si è ottenuto un miglioramento della depressione nei pazienti resistenti al trattamento, cioò quelli che non avevano avuto miglioramento dei sintomi con gli alti antidepressivi o questi erano stati molto modesti.

Entrambi i regimi sono stati generalmente ben tollerati. Mal di testa, ansia, sintomi dissociativi, nausea e vertigini sono stati gli effetti avversi più comuni (≥20%). I sintomi dissociativi si sono verificati transitoriamente e si sono attenuati con somministrazioni ripetute del farmaco.

E’ molto probabile che, in tempi non troppo lunghi, questa nuova terapia sia resa disponibile, speriamo presto anche in Italia. Nelle prime fasi, le aziende farmaceutiche saranno autorizzate a fornire questi trattamenti solo alle strutture sanitarie, dato il potenziale di abuso della ketamina. Servirà inizialmente per i pazienti più gravi, con depressione grave e pensieri suicidari, che necessitano un trattamento rapido dell’espisodio depressivo. E’ possibile che, con il tempo e con l’esperienza clinica, la forma intranasale, di più facile utilizzo, possa essere a disposizione anche per le terapie ambulatoriali.

E’ importante sapere che la ketamina che verrà prodotta a scopo antidepressivo, non è uguale a quella in commercio attualmente come anestetico. Il suo commercio al pubblico per altri scopi è illegale e produce effetti altamente nocivi.

sessoGli studi ci dicono che i pazienti che assumono inibitori della ricaptazione della serotonina e inibitori della ricaptazione della serotonina e norepinefrina (i cosiddetti antidepressivi) accusano più spesso effetti collaterali sessuali, rispetto a quelli trattati con altri antidepressivi.

Anche se indubbiamente gli antidepressivi aiutano a diminuire i sintomi depressivi nelle persone affette da depressione, alcuni di questi farmaci possono anche portare a una diminuzione dell’interesse e del piacere sessuale.

Circa i due terzi delle persone affette da depressione hanno un qualche tipo di disfunzione sessuale. Inoltre, tra il 30 e il 75 per cento dei pazienti che assumono inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina (SNRI) hanno effetti collaterali sessuali. Questi effetti comprendono un desiderio sessuale ridotto, difficoltà a raggiungere l’eccitazione sessuale e una minore capacità di raggiungere l’orgasmo.

Nel 2002 uno studio sulle disfunzioni sessuali di quasi 6.300 persone che assumono antidepressivi in monoterapia ha dimostrato che la disfunzione sessuale era presente in media nel 40 per cento dei pazienti che avevano assunto fluoxetina, paroxetina, sertralina, o citalopram, venlafaxina o SNRI o mirtazapina. Nello stesso studio, i ricercatori hanno trovato che i pazienti che avevano assunto il bupropione (un antidepressivo atipico) mostravano tassi più bassi di effetti collaterali sessuali, solo il 22 per cento.

Relativamente pochi effetti collaterali sessuali sono stati associati alla vortioxetina, un nuovo antidepressivo che sarà in commercio in Italia tra pochi mesi.

I farmaci che hanno come target principalmente l’attività serotoninergica inibiscono la funzione sessuale, mentre l’attività dopaminergica (che è prevalente nel bupropione) sembra essere poco influente per la funzione sessuale.

Cosa c’è dietro la disfunzione sessuale di un paziente?

Una varietà di fattori possono portare alla disfunzione sessuale nelle persone. Dare la colpa agli antidepressivi è facile, ma non sempre corretto. Ci sono diverse domande che il vostro medico dovrebbe porre al paziente per determinare se l’antidepressivo sia il colpevole:

  • Qual era lo stato dell’attività sessuale del paziente, con il partner o in solitudine, prima della comparsa del disturbo psichiatrico?
  • Che effetto ha avuto la depressione sulla funzione sessuale del paziente?
  • Qual è stato l’impatto dell’antidepressivo sulla funzione sessuale?
  • Qual è lo stato del funzionamento sessuale del paziente, una volta che i sintomi depressivi sono migliorati con il trattamento antidepressivo?

Non vi è una risposa univoca a queste domande. A seconda delle circostanze, lo stesso farmaco che provoca effetti collaterali sessuali in un paziente può essere il farmaco per migliorare la funzione sessuale in un altro.

E’ importante parlare con i propri pazienti sui potenziali effetti collaterali sessuali dei farmaci e valutare l’importanza del sesso nella vita della persona prima di prescrivere antidepressivi.

Anche se la disfunzione sessuale è un problema comune, abbiamo opzioni per le persone che non vogliono sperimentare o stanno vivendo problemi sessuali associati a farmaci antidepressivi.

Alcune di queste opzioni includono la semplice attesa da quattro a sei mesi per vedere se la disfunzione migliora, il che si verifica nel 5-10 per cento dei pazienti; il passaggio ad un altro antidepressivo; o, se il paziente mostra miglioramento dei sintomi depressivi durante la terapia antidepressiva in corso, con un add-on di farmaci come un inibitore del PDE-5 (per uomini e donne) o un altro antidepressivo, come il bupropione, per controbilanciare i deficit sessuali.

gravidanza-depressione

gravidanza-depressioneL’aumento del rischio di avere bambini con anomalie cardiache congenite nelle donne trattate con antidepressivi durante la gravidanza non è mai stato veramente chiarito. Gli studi spesso non riescono a controllare per la varietà di fattori di rischio importanti che possono essere associati con l’uso degli antidepressivi o con la depressione. Tuttavia, è noto che il rischio è significativamente più alto tra le donne con molte altre caratteristiche, spesso associate con l’uso di antidepressivi.

Nuovi studi hanno dimostrato che le donne alle quali sono stati prescritti gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) durante gravidanza non sono state a rischio di dare alla luce un bambino con un’anomalia cardiaca congenita più delle altre donne. Neanche le donne alle quali sono stati prescritti antidepressivi non-SSRI in gravidanza hanno avuto un rischio più elevato.

E ‘sorprendente come molti studi che sono stati pubblicati non hanno considerato i fattori di rischio più comuni. Spesso le banche dati o i registri di popolazione usati negli studi non hanno informazioni sul diabete, l’alcol, l’obesità, e l’uso di droghe illecite.

Lo studio pubblicato nel numero di gennaio del Journal of Clinical Psychiatry cerca di fare chiarezza proprio in questo campo.
Per lo studio, i ricercatori hanno valutato i dati dal database di cure primarie dell’Health Improvement Network nel Regno Unito. Sono state incluse 5154 donne che sono state trattate con SSRI prima della gravidanza, 2776 hanno ricevuto i farmaci durante la gravidanza, e 992 che hanno ricevuto antidepressivi diversi dagli SSRI durante la gravidanza.

Tra tutti i gruppi combinati, meno dell’1% dei bambini ha avuto anomalie cardiache congenite durante i primi 5 anni dopo la nascita.

Non ci sono state differenze significative nei tassi di difetti cardiaci tra le donne che avevano usato gli SSRI o antidepressivi non-SSRI. I risultati sono stati gli stessi dopo l’aggiustamento per i fattori che hanno incluso lo status socio-demografiche, caratteristiche dello stile di vita, e l’uso di altri farmaci psicotropi.

Altri fattori, invece, sono stati associati con un aumentato rischio di avere un bambino con anomalie cardiache congenite: il diabete, l’aumento dell’età, l’uso di alcol, l’uso di droghe illecite e l’indice di massa corporea (BMI) superiore a 30.

E’importante riconoscere che la percentuale di donne con il diabete, una storia di abuso di alcol e problemi con droghe illegali è più elevata tra le donne che sono trattate con antidepressivi, perchè spesso le patologie sono collegate e che questi sono fattori di rischio indipendenti per problemi cardiaci congeniti.

I ricercatori concludono quindi che non è l’assunzione di antidepressivi ad aumentare il rischio di anomalie cardiache nei neonati, ma gli altri problemi concomitanti e che sarebbe bene valutare caso per caso se la sospensione del farmaco possa invece peggiorare il diabete, a causa di una dieta sregolata o altre condotte a rischio, come un aumento del consumo di alcol o droghe per compensare il disagio della depressione.

farmaci L’atteggiamento del pubblico nei confronti della malattia mentale e i livelli di spesa sanitaria possono spiegare la grande differenza di consumo di antidepressivi tra i vari paesi dell’Europa, secondo un nuovo studio pubblicato sul British Journal of Psychiatry.

I ricercatori hanno scoperto che gli antidepressivi sono prescritti più spesso e più regolarmente utilizzati in paesi con livelli più elevati di spesa sanitaria. Inoltre, le credenze secondo cui le persone con una malattia mentale siano “pericolose” sono associate all’uso più elevato, mentre gli atteggiamenti verso l’irrecurabilità o la vergogna sono state associate con l’uso regolare più basso e meno numeroso di antidepressivi.

Questa ricerca è la prima a esaminare le ragioni che stanno dietro la variazione nelle pratiche di prescrizione di antidepressivi in ​​tutta Europa.

Il team di ricerca di Londra ha usato i dati dell’Eurobarometro del 2010, una vasta indagine sulla popolazione generale in 27 paesi europei, per misurare la prescrizione di antidepressivi e la regolarità di impiego. Hanno confrontato questi dati sulla spesa sanitaria dei singoli paesi europei e gli atteggiamenti a livello nazionale circa i problemi di salute mentale.

Esiste un’ampia variazione di uso di antidepressivi in ​​Europa, dal 16% della popolazione generale in Portogallo al solo 3% in Grecia. Nel Regno Unito, il 9% della popolazione aveva usato antidepressivi negli ultimi 12 mesi.

Come era già noto, nonostante un elevato livello di variazione, non c’è nessuna evidenza di differenza nella prevalenza di disturbi mentali nei vari paesi. Ad esempio, una ricerca precedente aveva dimostrato che i medici in Islanda avevano prescritto 6,4 volte di più antidepressivi per persona, rispetto a quelli in Estonia nel 2010.

Le donne e gli adulti di mezza età e più anziani fanno un uso minore di antidepressivi.

Le prescrizioni di antidepressivi stanno aumentando a un tasso del 20% ogni anno in tutta Europa nel suo complesso. Trovare un equilibrio tra eccesso di prescrizioni e mancate prescrizioni  di antidepressivi è difficile. E’ necessario affrontare lo stigma nei paesi a bassa prescrizione di antidepressivi per garantire che le persone che hanno bisogno di trattamento siano in grado di riceverlo. Tuttavia, abbiamo anche bisogno di affrontare le ragioni che stanno dietro l’elevata prescrizione di antidepressivi in ​​altri paesi europei.

L’uso maggiore di antidepressivi nei paesi in cui le persone con malattie mentali sono viste come ‘pericoloso’ potrebbe riflettere una maggiore propensione verso la ricerca di aiuto e un maggiore ricorso al trattamento coercitivo.

D’altra parte, le persone che vivono in un paese con forti convinzioni circa la malattia mentale come colpa o condizione non curabule hanno una minore probabilità di utilizzo di antidepressivi e inferiore regolarità di utilizzo. Questo potrebbe essere spiegato con la concezione della malattia mentale come alterazione della personalità o malattia incurabile, che può ridurre la probabilità di ricerca e utilizzo delle terapie mediche.

La percezione che le persone con malattie mentali non siano recuperabili o siano colpevoli della loro malattia sembra essere una forte barriera all’uso di antidepressivi in alcuni paesi. Contrastare queste credenze attraverso campagne di salute pubblica e altri interventi potrebbe contribuire ad un uso più appropriato di farmaci antidepressivi

antidepressivi Gli antidepressivi sono associati a migliori tassi di risposta al trattamento e remissione nelle donne con depressione post-natale, rispetto a un placebo, secondo una nuova revisione sistematica della letteratura scientifica.

Gli studi spesso si concentrano sui rischi dell’uso di antidepressivi durante la gravidanza e il puerperio, ma questo documento, pubblicato oggi sul Journal of American Medical Association (JAMA), mette in evidenza i benefici che gli antidepressivi possono avere nelle donne con depressione post partum. La depressione postnatale si verifica in più del 10 per cento delle madri nel primo anno dopo il parto.

Le linee guida raccomandano interventi psicologici per la depressione lieve e moderata e che il rapporto rischio-beneficio degli antidepressivi (SSRI compresi – gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) deve essere valutato prima di utilizzarli nel periodo postnatale, compreso l’effetto del farmaco sul bambino e sua madre.

Una revisione sistematica di sei studi randomizzati controllati su 596 donne ha scoperto che gli antidepressivi sono di beneficio per la depressione post-natale. Si è riscontrato che tra le 72 donne con depressione post partum in trattamento con SSRI, il 54 per cento ha riferito  di essere ‘molto migliorata’ rispetto ai sintomi; il 50 per cento ha riferito una riduzione dei sintomi, rispetto al 36 per cento di coloro che hanno assunto un placebo.

I tassi di remissione (cioè che non soddisfano più i criteri clinici per depressione) sono stati migliori. Il 49 per cento delle partecipanti che ha assunto SSRI ha mostrato una remissione, rispetto al 26 per cento nel gruppo placebo. Questi risultati sono relativi ad un periodo di trattamento compreso tra sei e otto settimane.

I risultati sono importanti perchè la ricerca che esploran l’uso di antidepressivi per curare la depressione postnatale è limitata . Le decisioni circa il trattamento durante il periodo post-natale, in considerazione dei potenziali benefici e rischi del farmaco, così come i rischi di depressione non trattata sia per la madre che per il bambino, dovrebbero essere più ponderate rispetto a quello che si fa solitamente oggi.

Alcuni antidepressivi sono più sicuri di altri, per le madri che allattano. E’ giusto garantire alle madri alle prese con sintomi depressivi una cura adeguata e un benessere al di là dei pregiudizi.

insonnia L’insonnia e i disturbi respiratori del sonno sono i disturbi del sonno più comuni tra le donne di mezza età. Anche se la promozione di comportamenti per l’igiene del sonno possono essere un utile approccio comportamentale per la gestione dell’insonnia o dei disturbi respiratori, la percentuale delle donne che seguono questi comportamenti non è chiaro.

Uno studio inglese, pubblicato sul Journal of Womens Health, ha coinvolto 321 donne inglesi con un intervallo di età compreso tra i 48 e i 58 anni. Sul campione totale, il 10,3% ha mostrato i criteri diagnostici per l’insonnia secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali; il 15,3% ha mostrato disturbi respiratori del sonno clinicamente significativi e il 4,7% è stato positivi ai criteri sia per l’insonnia che per i disturbi respiratori. L’analisi dei dati ha indicato una prevalenza complessiva del 15,0% per l’insonnia e del 19,9% per i disturbi respiratori del sonno.

I partecipanti hanno compilato un diario sui comportamenti riguardanti l’igiene del sonno per 14-35 giorni. Sono stati esaminati in particolare due comportamenti positivi (esercizio fisico sufficiente, regolarità nel tempo del risveglio) e quattro comportamenti negativi (sonnellini diurni lunghi, consumo di caffeina prima di andare a dormire, consumo di alcool prima di andare a dormire, fumo di sigaretta). Questi comportamenti sono stati confrontati tra le donne con e senza insonnia o disturbi respiratori notturni, tendendo conto delle condizioni di salute generali.

I risulati dello studio non sono banali. Le donne con insonnia hanno mostrato un numero significativamente inferiore di comportamenti negativi di igiene del sonno rispetto alle donne senza insonnia; in particolare, le donne con insonnia meno frequentemente si abbandonavano a sonnellini diurni e consumavano meno caffeina nelle ore serali. Al contrario, le donne con disturbi respiratori avevano meno probabilità di essere fisicamente attive rispetto alle donne senza problemi respiratori, ma non sono state osservate altre differenze nei comportamenti di igiene del sonno.

Questi dati suggeriscono quindi che l’insonnia nelle donne di mezza età non è associata allo scarso igiene del sonno e che queste regole, molto predicate in televisione o su riviste o siti specializzati, non sono universali. Lo studio ha anche dimostrato che aumentare l’attività fisica può essere una raccomandazione valida per le donne di mezza età che soffrono di disturbi respiratori del sonno.