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Dal momento che passiamo circa un terzo della nostra esistenza dormendo e nonostante sia un’attività che diamo per scontata, i disturbi del sonno possono essere causa o conseguenza di numerosi problemi e avere un impatto significativo sulla nostra qualità di vita.

Il sonno è un comportamento. Questa affermazione può sembrare bizzarra, poiché siamo soliti a pensare ai comportamenti come attività che implicano movimento, come camminare. Il sonno non è contraddistinto propriamente dal movimento, la sua caratteristica peculiare è la sonnolenza insistente che induce a cercare un luogo tranquillo e confortevole in cui sdraiarsi e che ci permetta di riposare.

Infatti, sappiamo molto bene quanto possa essere assillante il bisogno di dormire e quanto ne risentiremmo, se fossimo costretti o ci capitasse di rimanere svegli per tutta la notte. Non è possibile rimandare a tempo indefinito il bisogno di dormire, il sonno presto o tardi arriverà, indipendentemente da quanto una persona si sforzi di rimanere sveglia. Quando siamo costretti a perdere una notte del nostro prezioso sonno, diventiamo molto sonnolenti. Il fatto che la sonnolenza eserciti una pressione così elevata, ci suggerisce che il sonno sia una necessità vitale.

Ma a cosa serve dormire? Qual è la sua principale funzione?

Gli studi di deprivazione di sonno sugli uomini non hanno fornito prove sufficienti per sostenere che il sonno sia necessario a mantenere normale il funzionamento del corpo. Horne (1978) conducendo più di 50 esperimenti con individui deprivati di sonno, ha affermato che la maggior parte di essi dimostra che la deprivazione di sonno non interferisce con l’abilità di eseguire esercizi fisici, ma con le abilità cognitive (es. distorsione delle percezioni, difficoltà di concentrazione in un compito). Perciò il ruolo principale del sonno non sembra essere il ristoro e recupero del corpo, ma della mente.

La maggior parte dei ricercatori ritiene che la principale funzione del sonno ad onte lente sia permettere al cervello di riposare, sebbene il cervello umano rappresenti solo il 2% del peso corporeo totale, esso consuma il 20% delle energia disponibile.

Si deduce da diversi studi che le prestazioni cognitive individuali siano influenzate da questa attività: una giornata impegnativa dal punto di vista mentale si associa con una maggiore quantità di sonno profondo, dunque il cervello ha bisogno di dormire per funzionare al meglio dell’efficienza (Harrison, Horne).

Antonietta De Marco

bipolariRoma, 30 mar. (Adnkronos Salute) – Si allunga la lista dei vip che confessano di soffrire di disordine bipolare. Ma le parole di attori come Stephen Fry, Carrie Fisher e Mel Gibson, e cantanti come Robbie Williams – che sicuramente hanno contribuito a far conoscere un problema di salute mentale ancora poco noto al grande pubblico – hanno avuto un inatteso effetto collaterale. Secondo alcuni psichiatri, infatti, queste confessioni hanno regalato un’aura di glamour e creatività alla patologia.

Risultato? Almeno in Gran Bretagna i medici di famiglia e gli psichiatri sarebbero bombardati da persone che chiedono di farsi controllare, con in mente già ben chiara la diagnosi: pensano infatti di soffrire di disordine bipolare. A lanciare l’allarme sono due psichiatri del servizio sanitario britannico, Diana Chan e Lester Sireling, che lavorano in un centro di salute mentale territoriale a North London.Ma perché all’improvviso dei cittadini perfettamente sani dovrebbero voler essere etichettati come ‘malati’, oltretutto con un problema mentale? Secondo l’analisi dei due specialisti, ormai si confondono normali ondeggiamenti dell’umore – legati agli alti e bassi della vita – con questa condizione medica, e molti pensano di essere ‘un pizzico bipolari’. C’è perfino un gruppo su Facebook (‘Thinking Everyone Is a Bit Bipolar’), che sottolinea come tutti nella vita, a un certo punto, possano sperimentare questa condizione.

In realtà – ricordano gli specialisti sul ‘Daily Mail’ – il disordine bipolare è un problema serio, che spinge i pazienti in stati prolungati e violenti di euforia o depressione, alterando le loro vite. Nei momenti positivi, i pazienti si sentono euforici, hanno pensieri grandiosi, sono inclini a spendere incredibili somme di denaro, a parlare ‘a macchinetta’ e a passare intere giornate senza mangiare, o dormire. Possono vedere anche cose inesistenti, e sentire ‘le voci’. Le depressioni che seguono sono estremamente profonde, e lasciano le ‘vittime’ in uno stato di prostrazione che le rende abuliche e apatiche. Insomma, questa nuova moda delle auto-diagnosi non solo è ben lontana dalla realtà, ma può portare centinaia di persone ad assumere medicinali inutili e per questo pericolosi, scrivono gli psichiatri sulla rivista del Royal College of Psychiatrists.Nello studio, intitolato non a caso ‘I Wan To Be Bipolar, A New Phenomenon’, gli specialisti notano che i ‘camici bianchi’ stanno assistendo a ondate di aspiranti bipolari. Ormai questa condizione sembra aver acquisito una patina glamour, diventando quasi una ‘garanzia’ di creatività. Secondo i dati del Nhs solo in Gran Bretagna circa 500.000 persone hanno una diagnosi di disordine bipolare. Ma dopo una serie di studi in materia alcuni ricercatori sospettano che negli anni si sia assistito a una sorta di ‘falsa epidemia’. Il fenomeno delle malattie di moda ha, comunque, una lunga storia. Per restare in GB, ai tempi della regina Vittoria la melanconia era associata a emozioni e tormenti ‘spia’ di una sensibilità superiore al normale. Oggi il disordine bipolare ‘fa rima’ con la creatività. Così, testimonia anche il medico di famiglia di Glasgow, Des Spence, “vediamo molte aspiranti vittime della nuova moda. E io stesso – conclude – ho dovuto convincere un certo numero di persone che in realtà non avevano questo problema”.

 

depressione donnaRoma, 8 feb. (Adnkronos Salute) – Sei italiane su dieci hanno fatto i conti con la depressione o conosciuto qualche donna che ne soffre. E il 54% teme questo ‘male oscuro’, perché lo ritiene incurabile più del tumore al seno (incurabile solo per il 24,2% delle donne). Se si va nello specifico delle terapie, la quota di ‘sfiduciate’ sale al 78% tra le giovani dai 30 ai 39 anni, e all’80,1% tra quelle di 40-49 anni. A ‘fotografare’ le italiane alle prese con la depressione è un’indagine presentata oggi a Milano dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda). L’uso di farmaci convenzionali (giudicati efficaci dal 60%, ma molto efficaci solo per il 15,9%) viene solo dopo terapia psicologica e gruppi di mutuo-aiuto, considerate le pratiche più utili rispettivamente nell’83,1% (nel 36% molto efficaci) e 75,2% (nel 27% circa molto efficaci) dei casi.

Le donne, infatti, ritengono che i farmaci attualmente disponibili abbiano solo effetti limitati nel tempo, senza risolvere le cause principali del male oscuro. E proprio chi conosce la malattia assegna un giudizio più basso ai medicinali, rispetto a chi non l’ha mai incontrata. Numeri importanti, che denunciano un gap tra il livello di aspettativa delle donne e le cure farmacologiche oggi disponibili, notano dall’osservatorio Onda. La conoscenza dei sintomi, invece, “è buona ma può ancora essere migliorata: il 40,3% – prosegue Onda – li sa riconoscere e sa quant’è importante agire tempestivamente”. Il punto di riferimento rimane il medico di famiglia (29% delle donne), seguito da familiari (23%), psicologo (15%) e psichiatra (13%). “La depressione è una malattia subdola – afferma Francesca Merzagora, presidente di Onda – che si insinua nella vita delle donne alienandola. Loro ne sono consapevoli e sono abbastanza informate su manifestazioni e campanelli di allarme. Ma la temono più del tumore al seno, come emerge dai dati presentati oggi, perché non hanno fiducia nelle cure attuali”. E’ in questo ambito che si deve lavorare, sottolinea la Merzagora, “migliorando l’efficacia delle terapie e riducendo gli effetti collaterali dei farmaci. Soprattutto spiegando che le cure farmacologiche sono utili se affiancate al medico di medicina generale e al sostegno della famiglia”, precisa.

“La ricerca – spiega Giuseppe Pellegrini, professore di metodologia della ricerca sociale all’Università di Padova – è stata eseguita con interviste telefoniche su 1.016 italiane tra i 30 e i 70 anni. Si evidenzia subito un problema – nota – proprio nella gestione della malattia. Le donne prediligono il contatto umano e la cura psicologica, dimostrando maggiore sfiducia nei confronti dei farmaci attuali”, osserva. “E’ evidente un gap tra il livello di aspettative e le cure reali, soprattutto tra le donne che soffrono o hanno sofferto di depressione”, prosegue Pellegrini. “L’indagine – precisa Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli Oftalmico Melloni di Milano – mette in luce i bisogni insoddisfatti nelle cure per le donne. E questo è sicuramente il risultato di una non ancora corretta informazione sulle dosi e, soprattutto, sulla durata delle terapie. Molte ricadute e insuccessi, che portano alla sfiducia nei farmaci, sono dovute proprio ai trattamenti inadeguati prescritti dal medico. E’ opportuno rivolgersi a centri specializzati in questo ambito così delicato”. E’ anche vero, però, che esiste una psicofarmacologia di genere per cui “le donne manifestano caratteristiche diverse nel tempo in relazione alla stessa molecola, che può avere maggiore o minore efficacia a seconda del ciclo di vita di una donna”. Infine, ben venga “lo studio di molecole più efficaci e con minori effetti collaterali, soprattutto a livello gastrointestinale e sul desiderio sessuale”, conclude.

“Le donne – evidenzia Giampaolo Landi di Chiavenna, assessore alla Salute del Comune di Milano – sono più colpite da disagio psichico soprattutto nelle aree urbane con popolazione superiore ai 200 mila abitanti, dove quindi aumenta il rischio di patologie gravi. I dati in nostro possesso ci hanno quindi indotto ad agire: abbiamo promosso un progetto, in collaborazione con Mencacci, per un ambulatorio che si occupa esclusivamente di disturbi psichiatrici che compaiono durante la gravidanza, il post-partum e la premenopausa. Un centro unico in Italia proprio perché si occupa di ‘Psichiatria di genere’, con una équipe tutta al femminile”.