ippocampoL’ippocampo è essenziale per l’apprendimento e la memoria, specificatamente la memorizzazione di conoscenze del tipo chi, cosa, dove e quando. Indizi sui ruoli dell’ippocampo emersero dal famoso caso del paziente Henry Molaison, che ebbe la maggior parte del suo ippocampo rimossa dai chirurghi nel 1953 per curare la sua epilessia. Molaison è diventato incapace di formare nuovi ricordi di persone con le quali in seguito lavorò per anni.

La maggior parte degli studi precedenti su come la memoria viene sfruttata si sono concentrati su una via trisinaptica. In questo circuito neurale, le informazioni che si ottengono dalla corteccia entorinale, l’interfaccia principale tra l’ippocampo e la neocorteccia – zona del cervello coinvolta in funzioni superiori come il pensiero e l’azione – procedono al giro dentato, la porta anteriore dell’ippocampo. I Neuroni granulari del giro dentato poi trasportano l’informazione verso gli interneuroni e le cellule piramidali della regione CA3 dell’ippocampo, che invia le informazioni alla regione CA1, la principale di uscita dell’ippocampo. La zona CA2 è sempre rimasta assente da questo circuito.

Anche se la subregione CA2 è stata scoperta oltre 75 anni fa, ha ricevuto ben poca attenzione sin d’ora. Ci sono due ragioni per questa disattenzione: dimensione e posizione. La CA2 ha il 10 per cento dell numero di neuroni di CA1 e CA3, sollevando così dubbi circa la sua importanza. La regione è anche schiacciata tra CA1 e CA3, il che ne rende difficile lo studio con gli approcci tradizionali, che non hanno la precisione di mirare selettivamente a CA2 .

Per aggirare questi problemi, Siegelbaum, un professore di neuroscienze alla Columbia University e un ricercatore della Howard Hughes Medical Institute ,Frederick L. Hitti, hanno creato uno speciale topo transgenico in cui i neuroni CA2 potrebbero essere selettivamente inibiti negli animali adulti. Una volta che questi neuroni sono stati inattivati, i topi sono stati sottoposti ad una serie di test comportamentali.

Normalmente, quando un topo incontra un altro topo che non conosce, fa uno “sniff test”, odora cioè lo sconosciuto ed è più interessato a questo nuovo topo rispetto ad un conoscente o a un familiare. Il topo con l’area CA2 inattiva, invece, non riconosce i topi che ha visto prima e annusa indiscriminatamente  itopi familiari e nuovi. I topi non hanno mostrato la perdita della capacità di discriminare odori sociali e non sociali, come il cibo sepolto profondamente nella lettiera. Anche se una perdita marcata di memoria sociale si è vista nei topi CA2 – inattivi, i topi non hanno subito cambiamenti in altri comportamenti specifici dell’ippocampo come la memoria spaziale e contestuale, potendo ancora distinguere oggetti inanimati nuovi e familiari.

“Piochè diversi disturbi neuropsichiatrici sono associati con comportamenti sociali alterati, i nostri risultati suggeriscono la possibilità che la disfunzione della regione CA2 possa contribuire a questi cambiamenti comportamentali”, ha detto Siegelbaum.

Gli individui con schizofrenia e disturbo bipolare hanno un basso numero di neuroni inibitori in CA2. Allo stesso modo, le persone con autismo hanno una alterazione nella trasmissione operata dalla vasopressina, un ormone responsabile del comportamento sociale che interagisce con una specifica classe di recettori che si trovano prevalentemente in questa regione. Tuttavia , i topi CA2 -inattivi non mostrano i classici sintomi dell’autismo e avevano normali livelli di socialità, fornendo la prova che la socialità e la memoria sociale coinvolgono diverse funzioni cerebrali.

Il gruppo di Siegelbaum spera di utilizzare la stessa tecnologia genetica per verificare se ci sono cambiamenti nella funzione della regione ippocampale CA2 in modelli murini di disturbi psichiatrici come l’autismo e la schizofrenia. Se sarà così, proveranno a testare farmaci che ripristinano la funzione normale della regione CA2 e verificheranno se questo tipo di trattamento farmacologico aiuti a invertire eventuali cambiamenti comportamentali osservati nei topi. Tale ricerca offre la possibilità di trovare nuovi bersagli farmacologici e approcci per trattare i cambiamenti comportamentali associati a questi disturbi, la schizofrenia e l’autismo.

dnaUn gruppo internazionale di ricercatori ha identificato un gene che potrebbe collegare lo spessore della materia grigia del cervello all’intelligenza. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry e potrà aiutare gli scienziati a capire i meccanismi biologici che si celano dietro alcune forme di disabilità intellettiva.

I ricercatori hanno esaminato la corteccia cerebrale, lo strato più esterno del cervello umano. E ‘noto come la “materia grigia” giochi un ruolo chiave nella memoria, l’attenzione, la consapevolezza percettiva, il pensiero, il linguaggio e la coscienza. Studi precedenti hanno mostrato che lo spessore della corteccia cerebrale, o spessore corticale, è strettamente correlato con la capacità intellettiva, ma nessun gene responsabile era stato ancora identificato.

Un team internazionale di scienziati ha analizzato campioni di DNA e risonanze magnetiche di 1.583 adolescenti sani di 14 anni adolescenti. Gli adolescenti si sono anche sottoposti a una serie di test per determinare la loro intelligenza verbale e non verbale.
Lo scopo delle studio è stato quello di scoprire come le differenze strutturali del cervello si colleghino a differenze di capacità intellettive. La variazione genetica che è stata identificata è legata alla plasticità sinaptica, il modo in cui i neuroni comunicano. Questo potrà aiutarci a capire cosa succede a livello neuronale in alcune forme di deficit intellettivi, dove la capacità dei neuroni di comunicare efficacemente è in qualche modo compromessa.

E’ importante sottolineare che l’intelligenza è influenzata da molti fattori genetici e ambientali. Il gene che è stato identificato spiega solo una piccola parte delle differenze di capacità intellettiva, quindi è affatto il gene dell’intelligenza!

I ricercatori hanno esaminato oltre 54.000 varianti genetiche eventualmente coinvolte nello sviluppo del cervello. Hanno scoperto che, in media, gli adolescenti che sono portatori di una particolare variante del gene avevano una corteccia sottile nell’emisfero cerebrale sinistro, in particolare nel lobi frontali e temporali e performance peggiori nelle prove di abilità intellettiva. La variazione genetica riguarda l’espressione del gene NPTN, che codifica una proteina che agisce a livello delle sinapsi neuronali e quindi influenza il modo di comunicare delle cellule cerebrali.

Per confermare i loro risultati, i ricercatori hanno studiato il gene NPTN in cellule di topo e del cervello umano. I ricercatori hanno scoperto che il gene NPTN ha una diversa attività negli emisferi destro e sinistro del cervello. L’emisfero sinistro appare più sensibile agli effetti delle mutazioni del gene NPTN. I loro risultati suggeriscono che alcune differenze nella capacità intellettive possono derivare dalla funzione diminuita del gene NPTN in determinate regioni dell’emisfero cerebrale sinistro.

La variazione genetica identificata in questo studio si stima che rappresenti solo un 0,5% della variazione totale dell’intelligenza. Tuttavia, i risultati potrebbero avere importanti implicazioni per la comprensione dei meccanismi biologici alla base di diversi disturbi psichiatrici, come la schizofrenia e l’autismo, dove la compromissione delle funzioni cognitive è una caratteristica fondamentale del disturbo.

logopediaIl vocabolario di un adulto medio è costituito da circa 30.000 parole. Questa capacità sembra unica degli esseri umani, le specie animali più vicine a noi – gli scimpanzé – riescono a imparare non più di 100 vocaboli.

Si è creduto a lungo che l’apprendimento delle lingue dipendesse dalla integrazione di ascolto e ripetizione di parole, ma i meccanismi neurali alla base dell’apprendimento di nuove parole sono rimaste poco chiare. Precedenti studi hanno dimostrato che questo può essere correlato a un circuito cerebrale che si trova solo negli esseri umani e che gli umani possono imparare solo le parole che possono anche esprimere.

Ora un team di ricercatori europei, ha mappato i percorsi neurali coinvolti nell’apprendimento della parola negli esseri umani. Hanno scoperto che il Fascicolo arcuato, una raccolta di fibre nervose che collega le regioni uditive al lobo temporale e con la zona situata nel lobo frontale dell’emisfero sinistro del cervello, permette al ‘suono’ di una parola di collegarsi alle regioni responsabili della sua articolazione. Differenze nello sviluppo di queste connessioni uditivo-motorie possono spiegare le differenze di capacità delle persone di imparare le parole.

I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS). Il Dott. Marco Catani, ricercatore del King’s College of London, Institute of Psychiatry, ha dichiarato: “Spesso si pensa che gli esseri umani abbiano la capacità di imparare le parole come per scontato. Questa ricerca getta nuova luce sulla capacità unica di noi esseri umani di imparare una lingua, in quanto questo percorso non è presente in altre specie. Le implicazioni dei nostri risultati potrebbero essere di ampia portata – da come lingua viene insegnata nelle scuole e per la riabilitazione da un infortunio, per la diagnosi precoce dei disturbi del linguaggio come la dislessia. Inoltre questi risultati potrebbero avere implicazioni per altre malattie in cui il linguaggio è influenzato come l’autismo e la schizofrenia”.

Lo studio ha coinvolto 27 volontari sani. I ricercatori hanno usato una tecnica chiamata DTI in grado di analizzare della struttura del cervello, la sostanza bianca, prima dell’apprendimento di una parola e la Risonanza Magnetica funzionale, per individuare le regioni del cervello più attive durante il compito di apprendimento. Hanno trovato una forte relazione tra la capacità di ricordare le parole e la struttura della fascicolo arcuato, che collega due aree del cervello: l’area di Wernicke, legati alla decodifica uditiva del linguaggio, e l’area di Broca, che coordina i movimenti associati alla parola e l’elaborazione del linguaggio.

Tra i partecipanti che hanno avuto più successo nell’imparare le parole nuove, il Fascicolo arcuato è risultato più mielinizzato cioè il tessuto nervoso aveva una più veloce capacità di conduzione del segnale elettrico. Inoltre l’attività tra le due regioni era più coordinata in questi partecipanti.

Il Dott. Catani conclude: “Ora abbiamo capito che questo è il modo in cui impariamo nuove parole. La nostra preoccupazione è che i bambini avranno meno vocabolario fintanto che la loro interazione sarà via computer, testo ed e-mail piuttosto che utilizzando la loro memoria acustica e sonora. Questa ricerca rafforza la necessità per noi di mantenere la tradizione orale e di parlare sempre ai nostri figli”.

cervello binarioI risultati di uno studio coordinato da Glenn A. McConkey dell’università di Leeds (UK) mostrano per la prima volta che un parassita, individuato nel cervello dei mammiferi, può alterare i livelli di dopamina, influendo dunque sulla chimica cerebrale. Si tratta del Toxoplasma gondii, un protista parassitario che vive nei gatti e in altri animali a sangue caldo e che può causare la toxoplasmosi nell’uomo dove solitamente non produce alcun effetto (particolarmente pericolosa è però l’infezione contratta dalle gestanti a causa dei possibili danni al feto del parassita neurotropico). La ricerca mostra che il parassita manipola il comportamento dei roditori a proprio vantaggio: i topi infetti perdono l’innata paura per i gatti e finiscono più spesso per essere catturati e mangiati. In questo modo il protista aumenta le probabilità di tornare nell’organismo del proprio ospite principale, dove completa il ciclo vitale. Si ipotizza che il meccanismo responsabile delle modificazioni comportamentali consista nella capacità del parassita di alterare la trasduzione del segnale neurotrasmettitoriale, aumentando molte volte la quantità di dopamina rilasciata, in modo direttamente proporzionale alle cellule infette. A riprova di ciò starebbe il riscontro, nelle cisti del tessuto intracellulare cerebrale, di tiroxina-idrossilasi, enzima limitante per la sintesi del neurotrasmettitore, e di anticorpi per lo stesso enzima codificato dal parassita. Questi dati, concludono gli autori, potrebbero spiegare l’osservazione, effettuata da alcuni studiosi, dei cambiamenti psicologici e comportamentali che avvengono negli esseri umani infettati da T. gondii.

Estratto da PLoS One, 2011; 6(9)

autismoAlcuni Scienziati del Centre for Innovation in Neuroscience and Technology dell’università di Washington (Usa) hanno scoperto come osservare le parole mentre si formano nel cervello umano. Un metodo che potrebbe portare un giorno a grandi avanzamenti nella cura di persone con gravi disabilità, che potrebbero ‘parlare’ attraverso un computer. Il loro studio è pubblicato sulla rivista ‘Journal of Neural Engingeering’. Utilizzando speciali elettrodi, gli esperti si sono concentrati sull’area cerebrale coinvolta nella creazione dei 40 suoni della lingua inglese. Hanno poi scoperto che ognuno di questi suoni ha un suo segnale all’interno della materia grigia, che potrebbe consentire al computer di captare letteralmente ciò che le persone dicono attraverso il potere del loro pensiero. Eric Leuthardt e il suo team sono giunti alla scoperta studiando 64 persone, alle quali è stato chiesto di pronunciare suoni come ‘oo, ah, eh ed ee’: monitorando le zone del cervello dette di Wernicke e di Broca, deputate alla linguaggio, sono riusciti a captare i corrispondenti segnali elettrici. Anche se questo non è abbastanza per leggere intere frasi nella mente di una persona, gli scienziati confidano di poter giungere presto a questo traguardo, approfondendo gli studi.

Da Adnkronos Salute

ferrariUn cervello diverso, capace di far raggiungere velocità da capogiro senza uscire di strada. A mostrare le differenze cerebrali, prove scientifiche alla mano, è Giulio Bernardi, un giovane medico dottorando dell’Unità operativa di Biochimica clinica del dipartimento di medicina di laboratorio e diagnostica molecolare (entrambi diretti dal professor Pietro Pietrini) dell’azienda ospedaliera di Pisa.Utilizzando la risonanza magnetica funzionale Bernardi, con uno studio che gli è valso un riconoscimento dall’Organization for Human Brain Mapping (Ohbm), ha studiato i meccanismi cerebrali che sottendono l’elaborazione dell’informazione visuo-motoria nel cervello di piloti di Formula 1 e di soggetti naive, ovvero non esperti. I risultati dello studio mostrano dunque che i piloti di Formula 1 hanno una diversa connettività funzionale tra distinte regioni cerebrali implicate nei processi visuo-motori. Dati che sembrano suggerire ‘circuiti’ cerebrali diversi in individui con particolari abilità, quali appunto i piloti. E che potrebbero essere d’aiuto non solo a chi corre in pista.”Questi risultati – spiega Pietro Pietrini, del dipartimento che ha messo a segno la ricerca nonché ex presidente del Comitato scientifico della Ohbm – hanno importanti implicazioni anche per lo sviluppo di strategie riabilitative in pazienti con ictus o altri danni cerebrali”. La ricerca di Bernardi è stata condotta in collaborazione con il dipartimento di medicina interna dell’Aoup e con Formula Medicine di Viareggio.

Da Adnkronos salute