depressione donnaUn nuovo studio, pubblicato in Ottobre sul prestigioso The Lancet, ha rivelato che più di tre quarti (79%) delle persone affette da Depressione riferiscono di aver subito qualche forma di discriminazione.

Un team internazionale di ricercatori, guidato dal Professor Graham Thornicroft del King’s College di Londra, ha utilizzato dei questionari dettagliati per chiedere a 1.082 persone in trattamento per Depressione in 35 diversi paesi del mondo informazioni circa le loro esperienze di discriminazione.

Più di un terzo (34%) dei partecipanti ha riferito che erano stati evitati o allontanati da altre persone a causa dei loro problemi di salute mentale. Questa discriminazione, o meglio l’anticipazione, il pensiero di poter essere discriminati in qualche modo, aveva impedito a più di un terzo (37%) dei partecipanti di stabilire strette relazioni personali e un quarto (25%) non erano andati più al lavoro a un certo punto della loro malattia, perché si aspettavano che sarebbero stati discriminati.

Tuttavia, i ricercatori hanno anche scoperto che le persone che hanno previsto la loro discriminazione non hanno necessariamente potuto confermare le loro esperienze. Quasi la metà (47%) dei partecipanti che hanno riferito di aver previsto di subire discriminazioni nel trovare o mantenere un posto di lavoro, e il 45% che ha previsto discriminazioni nell’ambito delle relazioni personali, ha riscontrato che in realtà non ha subito discriminazioni in queste situazioni.

Quasi tre quarti (71%) dei partecipanti ha affermato di contribuire attivamente nel nascondere la propria depressione alle altre persone. Ciò preoccupa ricercatori e clinici perchè le persone affette da Depressione possono estromettersi dalla ricerca di un trattamento a causa di timori di discriminazione se rivelassero la propria condizione. In questo modo essi non beneficiano di alcun trattamento e la loro condizione con più probabilità può diventare cronica.

Il Professor Thornicroft, prima firma dell’articolo dice: “Il lavoro precedente in questo campo tende a concentrarsi sulle opinioni del pubblico nei confronti dello stigma, sulla base delle domande su situazioni ipotetiche, ma il nostro è il primo studio che indaga le esperienze reali di discriminazione in un grande campione globale di persone affette da Depressione. I nostri risultati mostrano che la discriminazione legata alla depressione è molto diffusa, e quasi certamente agisce come una barriera ad una vita sociale attiva e contro una buona possibilità di ottenere e mantenere un posto di lavoro per le persone affette da depressione”.

Ulteriori ricerche saranno necessari per progettare interventi contro la discriminazione, nel campo dell’istruzione pubblica, in merito ai diritti umani e all’effetto della discriminazione sulla persona affetta da depressione, l’azione dei servizi sanitari, pubblici e privati per aiutare a superare la discriminazione vista come una barriera e infine potenziare i trattamenti come la terapia cognitivo-comportamentale con tecniche per affrontare la discriminazione nei pazienti.

schizofrenia«La maggior parte dei comportamenti autolesionisti negli adolescenti si risolve spontaneamente. La rapida individuazione e il trattamento dei più comuni disturbi mentali durante l’adolescenza potrebbero costituire un’importante e finora non abbastanza riconosciuta componente della prevenzione del suicidio nei giovani adulti». Sono le conclusioni di una ricerca finanziata dal National Health and Medical Research Council in Australia. Paul Moran, dell’istituto di Psichiatria del King’s College di Londra, con i suoi colleghi inglesi e australiani, ha preso in considerazione un campione di 1.943 adolescenti scelto in maniera casuale in 44 scuole dello stato di Victoria, tra il 1992 e il 2008. I dati per l’indagine statistica sono stati raccolti attraverso questionari e interviste telefoniche con 7 follow-up successivi, iniziati quando i partecipanti avevano un’età media di circa 16 anni e terminati quando avevano mediamente 29 anni. Sono stati presi in considerazione il consumo di alcool, di cannabis e di fumo da sigaretta, oltre ai sintomi di depressione e di ansia, ai comportamenti antisociali e all’occorrenza di eventi come le separazioni dai genitori o i divorzi. Ne è risultato che circa l’8% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni ha avuto comportamenti autolesionisti (la percentuale è al 6% nei ragazzi e sale al 10% tra le ragazze). Gli atti più frequenti sono stati il taglio superficiale della pelle e le bruciature e si sono ridimensionati in modo significativo durante la tarda adolescenza. Gli atti autolesionisti degli adolescenti si sono associati ai sintomi di depressione e di ansia, ai comportamenti antisociali, all’abuso di alcool, all’uso di cannabis e al fumo di sigarette. Inoltre, l’ansia e la depressione durante l’adolescenza si sono associati in modo significativo ai comportamenti autolesionisti e ai tentativi di suicidio negli anni successivi, durante la prima età adulta.

Da Lancet, 2012

adolescente

Centinaia di bambini italiani, negli ultimi 27 anni, hanno deciso di smettere di vivere. “Abbiamo esaminato i dati dal 1980 al 2007, scoprendo che 374 piccoli dai 10 ai 14 anni si sono suicidati nel nostro Paese. Un fenomeno tragico, che non accenna a diminuire. E che ci deve spingere a riflettere. E soprattutto a fare, finalmente, prevenzione”. Lo dice all’Adnkronos Salute Maurizio Pompili, responsabile del Servizio per la prevenzione del suicidio dell’ospedale S.Andrea, in occasione dell’incontro in programma oggi e domani nella struttura romana, alla vigilia della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, che si celebra ogni anno il 10 settembre. Ogni anno, prosegue l’esperto, in Italia si contano circa 4 mila suicidi, come se ogni 12 mesi scomparisse un piccolo Paese. “Un fenomeno particolarmente allarmante proprio tra i giovani e i giovanissimi, dal momento che nella fascia di età 15-24 anni rappresenta la seconda causa di morte”. Il comportamento suicidario è un fenomeno complesso e solitamente una sola causa non è sufficiente a spiegarlo. “I dati appena raccolti sui bambini testimoniano che a togliersi la vita sono più spesso i maschi, con un rapporto di tre a uno rispetto alle femmine – prosegue l’esperto – Fra le cause molto spesso ci sono problemi familiari e depressione giovanile, un altro fenomeno trascurato”. “Il suicidio – conclude l’esperto – è un evento tragico e drammatico, che però può essere prevenuto. Per questo emerge con forza la necessità di interventi mirati in centri sportivi, scuole e centri sociali”. Interventi che potrebbero salvare centinaia di giovani vite.

Da Adnkronos Salute

corsiaLa morte per suicidio è più comune tra i medici rispetto al resto della popolazione, ma i camici bianchi – in particolare i chirurghi – sono particolarmente restii a chiedere aiuto e a mettersi nelle mani di uno specialista se sono ossessionati da pensieri di morte. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato sugli ‘Archives of Surgery’ dal team di Tait Shanafelt della Mayo Clinic di Rochester (Usa). I ricercatori hanno messo sotto il microscopio i colleghi dell’American College of Surgeons nel corso del 2008, scoprendo che a fronte di numerose testimonianze di pensieri suicidi, solo in pochi si sono rivolti nell’arco di un anno a specialisti di salute mentale. “Benché il suicidio sia fortemente legato alla depressione, il rischio di cadere in depressione nel corso della vita per i medici è simile a quello della popolazione generale – scrivono i ricercatori – Questo suggerisce che altri fattori possono contribuire all’aumentato rischio di suicidio fra i camici bianchi. L’accesso ai medicinali letali e la conoscenza del loro uso sono alcuni fattori implicati”, ma anche l’influenza del tipo di professione e delle forme di stress diverse dalla depressione “sono ancora oggi largamente inesplorate”. Per colmare questa lacuna i ricercatori hanno sottoposto 7.905 chirurghi a un questionario anonimo sui pensieri suicidi, sulla depressione, sul burnout e sull’utilizzo dei servizi di salute mentale. Ebbene, il 6,3% dei medici ha riferito pensieri suicidi nell’anno sotto esame. Un problema che riguarda più spesso gli over 45 (da 1,5 a tre volte più inclini a pensare di darsi la morte rispetto alla popolazione generale). Essere sposati e avere figli sembra ridurre il pericolo di pensieri suicidi fra i chirurghi, al contrario di quanto accade per i divorziati. In particolare, a mandare in crisi questi professionisti della salute è “la percezione di aver fatto un errore importante nei tre mesi precedenti”. Infine, se il 26% dei medici con pensieri suicidi ha chiesto aiuto, oltre il 60% si è detto riluttante a farlo; alcuni medici poi si sono autoprescritti antidepressivi senza farne parola con nessuno, e altri hanno chiesto la ricetta a un amico che però non li ha formalmente presi in carico come pazienti. Insomma, secondo il team emerge una chiara riluttanza a chiedere aiuto da parte di questi operatori.

Da Adnkronos Salute

diabeteÈ il diabete che aumenta il rischio di depressione o viceversa? La correlazione tra queste due condizioni fa ipotizzare che la relazione causale sia in entrambe le direzioni, stando a quanto riferiscono gli autori di un articolo apparso sulla rivista Archives of Internal Medicine.

Nel 1996, An Pan e colleghi dell’Harvard School of Public Health di Boston hanno valutato la correlazione tra le due condizioni patologiche in 65.381 donne di età compresa tra 50 e 75 anni.

I partecipanti hanno completato un questionario iniziale sulla propria anamnesi e alcuni questionari di follow-up ogni due anni fino al 2006. Sono stati classificati come depressi coloro che hanno riferito sintomi di depressione, che facevano uso di antidepressivi e che hanno avuto una diagnosi per tale condizione da un medico. Le donne che hanno ricevuto invece una diagnosi di diabete hanno poi dovuto completare un questionario su sintomi, test diagnostici e trattamenti.

Durante i 10 anni di follow-up, 2844 donne hanno ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 2 e 7415 soggetti una diagnosi di depressione. Queste ultime avevano anche un rischio di sviluppare diabete aumentato del 17 per cento, dopo aver normalizzato i risultati per altri fattori di confondimento quali l’attività fisica o l’indice di massa corporea (BMI). In particolare, nelle donne che hanno riferito di consumare antidepressivi il rischio di sviluppare diabete risulta aumentato del 25 per cento.

Ribaltando la prospettiva, le donne con diabete hanno mostrato di avere un rischio di sviluppare depressione più alto del 29 per cento e addirittura del 53 per cento se in terapia insulinica.

“Una diagnosi di diabete può portare ai sintomi di depressione per diverse ragioni: la depressione può essere il risultato di cambiamenti biochimici direttamente causati dal diabete o dal suo trattamento, oppure dallo stress di una condizione così debilitante”, sottolineano gli autori dello studio.

Da Repubblica.it

isotretinoninaFino a sei mesi dopo la fine del trattamento con isotretinoina, per il trattamento dell’acne severa, aumenta il numero dei tentativi di suicidio. Il rischio, però, è maggiore anche prima che venga instaurato il regime terapeutico, e quindi non è chiaro quale sia il reale contributo del farmaco. In ogni caso, l’isotretinoina non andrebbe automaticamente prescritta in soggetti con una storia di tentato suicidio ed è opportuno instaurare un monitoraggio sui comportamenti suicidari fino a un anno dopo la fine della terapia. Sono queste le conclusioni di uno studio restrospettivo svedese condotto da Anders Sundström, del Karolinska institutet. e collaboratori. Tra i 5.756 pazienti cui è stata prescritta isotretinoina per acne severa nel periodo 1980-2001, 128 sono stati ricoverati in ospedale a seguito di un tentativo di suicidio. Durante l’anno precedente alla terapia, il rapporto standardizzato di incidenza per tentato suicidio era aumentato: 1,57 per tutti i tentativi e 1,36 contando solo il primo tentativo. Il rapporto standardizzato di incidenza durante e fino al sesto mese dopo il trattamento è stato di 1,78 per tutti i tentativi e 1,93 per il solo primo tentativo. Dopo tre anni di sospensione della terapia, il numero di tentativi osservati si è avvicinato al numero previsto ed è rimasto invariato nei 15 anni di follow-up, con un rapporto standardizzato di incidenza pari a 1,04 per tutti i tentativi e a 0,97 per il primo tentativo. Dodici (38%) dei 32 pazienti che hanno tentato il suicidio prima del trattamento hanno compiuto in seguito un nuovo tentativo, mentre ben 10 (71%) dei 14 soggetti che hanno tentato di suicidarsi nei sei mesi successivi alla sospensione della cura con isotretinoina ci hanno riprovato durante il follow-up.

Da BMJ, 2010; 341:c5812