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L’ansia è l’emozione che gli esseri umani sperimentano quando credono di essere esposti ad una minaccia.

ansia

Quando ci si trova in situazioni stressanti o minacciose, scatta automaticamente una risposta fisiologica che da migliaia di anni fa parte del nostro corredo biologico e prepara il corpo a difendersi dalla fonte di paura mediante un intenso sforzo fisico di attacco – se si affronta la minaccia – o di fuga se si fugge da essa.
L’ansia o reazione di attacco/fuga è una risposta programmata geneticamente ed un certo grado di ansia può essere utile non solo in presenza di un pericolo fisico, ma anche in alcune attività che richiedono impegno, concentrazione, attenzione a non sbagliare: chi fosse totalmente rilassato durante un incontro sportivo, un esame o un colloquio di lavoro non darebbe il meglio di sé. Entro certi limiti l’ansia è dunque utile, anzi necessaria; è l’ansia eccessiva che comporta, al contrario, effetti negativi sulle prestazioni.

Se l’ansia diventa eccessiva e viene sperimentata troppo frequentemente e causa un disagio importante nella vita della persona, compromettere le attività quotidiane, si parla di disturbi d’ansia.

Il panico rappresenta un’ansia o una paura estrema in circostanze apparentemente del tutto innocue. Non siamo di fronte ai pericoli o a situazioni che richiedono impegno e concentrazione, ma la risposta di attacco o fuga si attiva in un momento sbagliato, in assenza di un vero pericolo esterno: è l’attacco di panico. Come l’allarme di una macchina troppo sensibile può attivarsi fuori tempo, così un sistema di allarme fisiologico troppo sensibile attiva la reazione di attacco o fuga quando non ce n’è bisogno e produce ansia nelle situazioni nelle quali la maggior parte delle persone rimane relativamente tranquilla.

Gli attacchi di panico sono il risultato di una complessa interazione di reazioni fisiche, pensieri ed emozioni.
Stiamo guidando la nostra auto ed improvvisamente avvertiamo una sensazione di tensione emotiva. Il cuore comincia palpitare, aumenta la sudorazione, ci si sente strani, i pensieri arrivano velocemente alla mente: “cosa succede se svengo o ho un infarto? Se mi sentirò male e avrò bisogno di cure mediche, sono lontano da casa e c’è molto traffico…chi mi soccorrerà?” La frequenza del respiro accelera, paura ed apprensione aumentano: “potrei perdere il controllo di me stesso, uscire dalla macchina e gridare”. Dopo pochi minuti il panico passa ma ci si sente deboli, spaventati da quello che è appena successo e preoccupati che gli stessi sintomi possano ripresentarsi ancora.

I pensieri chiave nei problemi d’ansia sono costituiti da interpretazioni errate di sensazioni corporee o mentali. Un’accelerazione del battito cardiaco può venire male interpretata come attacco di cuore, un disorientamento momentaneo può passare per un inizio di pazzia. Non accade di rado che chi soffre di attacchi di panico si rechi al pronto soccorso, ma solo per scoprire di essere in ottima salute e senza pericoli in agguato. Avvertire improvvisamente dei sintomi di ansia e non comprenderne il motivo è allarmante: ad una percezione di pericolo i sintomi fisiologici della reazione attacco o fuga tendono a permanere ed aumentare di intensità.

Cosa accadrebbe se, invece di interpretare i sintomi iniziali come segno di un imminente malessere e catastrofe, avessimo osservato più attentamente le circostanze della nostra vita e scoperto che è stato lo stress accumulato ad aver portato a queste reazioni così intense? L’ansia è una reazione che può attivarsi in risposta a situazioni di vita difficili che stiamo attraversando, come ad esempio stress sul lavoro o difficoltà relazionali. Anche in questi casi possiamo avvertire i sintomi fisiologici dell’ansia che, se non adeguatamente interpretati, possono spaventarci e provocare ulteriore malessere. Nelle persone che soffrono di attacchi di panico si verifica un circolo vizioso per il quale sintomi fisici, emozioni e pensieri interagiscono tra loro per incrementarsi rapidamente. Un attacco di solito raggiunge il picco entro 10 minuti, ma alcuni sintomi possono durare a lungo, tanto da scatenare nella persona un’ansia secondaria di avere un nuovo attacco di panico. Quest’ansia fa si che la persona viva in un costante stato di paura e allarme, limitando in molti casi la sua normale vita sociale che aveva prima di sperimentare questo problema. L’evitamento delle situazioni temute è il meccanismo alla base della prigione che gli attacchi di panico costruiscono attorno alla persona, prigione all’interno della quale l’individuo si sente più sicuro ma allo stesso tempo triste e senza speranza.

L’intervento psicoterapeutico cognitivo-comportamentale risulta particolarmente indicato e scientificamente riconosciuto per affrontare efficacemente i problemi legati all’ansia e agli attacchi di panico.

Il disturbo di panico è uno dei più curabili fra tutti i disturbi d’ansia; più precoce è l’intervento e più la persona può tornare in un periodo relativamente breve a riprendere completamente in mano la propria vita. Le persone che sperimentano attacchi di panico spesso sono molto confuse e paralizzate dalla paura perché da sole non riescono a capire cosa gli stia succedendo e non riescono neanche a farsi capire quando lo raccontano agli altri, perché non sanno se sia un problema fisiologico, psicologico o entrambe. La diagnosi precoce è molto importante per rivolgersi al professionista giusto e affrontare questo problema che crea molta sofferenza ma che è assolutamente risolvibile con un intervento mirato psicologico e farmacologico laddove indicato.

Al giorno d’oggi, ci sentiamo tutti stressati dal traffico, dal lavoro, da richieste eccessive… ma sappiamo davvero cosa sia? E soprattutto, cosa è il burnout? In realtà la risposta da stress è fondamentale per la sopravvivenza: è infatti l’eccessiva attivazione che risulta dannosa per l’individuo.

Quando avviene una prolungata esposizione allo stress in ambito lavorativo, si crea uno stato sia fisico sia emozionale (Maslach, 1982): ci troviamo di fronte al burnout, o anche detto “stress lavoro-correlato”, sindrome che si sviluppa nell’ambito lavorativo, e che presenta delle conseguenze comportamentali che interferiscono sia con la vita personale e privata, sia con quella organizzativa. Letteralmente “bruciare”, il termine rimanda da un lato alla passione che l’individuo mette nel proprio lavoro, e dall’altro all’incapacità del fuoco di ardere quando è privo di risorse. Così come il fuoco, le energie del lavoratore diminuiscono col tempo e lo rendono bisognoso delle giuste risorse offerte dal contesto lavorativo per svolgere al meglio la propria funzione (Prince, 1980). Dopo Freudenberg, che per primo utilizzò il termine in ambito sociosanitario come sinonimo di fallire e logorarsi, Christina Maslach (la massima esperta di burnout) lo utilizzò per definire una sindrome psicologica alla quale sono maggiormente esposti gli operatori delle “helping profession”, le professioni d’aiuto. L’autrice descrive il burnout come sindrome caratterizzata da tre dimensioni:

  1. Esaurimento emotivo, la caratteristica centrale del burnout, che fa sentire il lavoratore emotivamente inaridito, esaurito dal lavoro, in quanto percepisce richieste eccessive rispetto alle risorse disponibili. (Maslach e Leiter, 2000).
  2. La depersonalizzazione, che rappresenta l’aspetto interpersonale dello stress: il soggetto in burnout esprime sentimenti negativi di distacco e disinteresse nei confronti del proprio lavoro ma soprattutto dei destinatari del proprio servizio (Maslach e Leiter, 2000);
  3. La ridotta realizzazione personale: sentirsi inadeguati e poco competenti per svolgere il proprio lavoro. Le conseguenze evidenti sono il crollo dell’autostima e la sensazione d’insuccesso nel proprio mestiere (Maslach e Jackson, 1981).

All’inizio, gli studi si sono concentrati sula ricerca delle cause del fenomeno, focalizzandosi su aspetti individuali o condizioni ambientali e lavorative. Oggi sappiamo che l’insorgere della sindrome del burnout è determinata dalla coesistenza di entrambi, insieme ai fattori culturali e interpersonali.

Il burnout si manifesta anche son sintomi somatici, quali disturbi del sonno, dell’alimentazione, il mal di testa e l’emicrania, i disturbi gastrointestinali, la nausea, le disfunzioni sessuali, la rigidità e i dolori muscolari (soprattutto nella zona del collo), la stanchezza cronica, le malattie della pelle, l’abbassamento delle difese immunitarie, cosa che predispone il lavoratore a malattie e sintomi psicosomatici come l’ulcera, raffreddori e influenze (Cherniss, 1983; Schaufeli e Enzmann, 1998).

I sintomi dell’operatore in burnout sono visibili anche a livello cognitivo, con alterazioni emozionali; sono presenti vissuti di depressione, sbalzi di umore, ansia, pianto, esaurimento emotivo, scarsa autostima e sfiducia nelle proprie capacità, senso di impotenza, incapacità a concentrarsi e difficoltà di memoria, disinteresse per il lavoro, rassegnazione, disillusione. Ciò si traduce in comportamenti di assenteismo, ritardi, lunghe pause, scarsa creatività, rifiuto di nuove e importanti responsabilità (Tomei, Cinti, Palitti, Rosati, Tria, Monti, Fioravanti, 2008).

Spesso, nel tentativo di trovare soluzioni a tali vissuti, il lavoratore si spinge all’assunzione frequente di tranquillanti, sostanze psicotrope, caffeina, droghe, farmaci, alcool e tabacco (Mordini, Castellucci, Giardi e Tripaldi, 2013), con ulteriori conseguenze negative sulla sua salute.

Il burnout si può riconoscere e rilevare tramite strumenti come il “Maslach Burnout Inventory” (MBI), un questionario che misura le tre dimensioni già discusse, che permette di essere consapevoli della presenza del problema all’interno di un ambiente lavorativo e, auspicabilmente, prendere provvedimenti allo scopo di migliorare la qualità di vita del lavoratore all’interno del contesto lavoro, e di conseguenza migliorare la qualità del lavoro stesso.

Di Giuditta di Filippo

 

Rebecca è un’insegnante di inglese della scuola media. In precedenza ha lavorato in una scuola pubblica locale, ma era frustrata dal numero di bugie quotidiane propinatele dai suoi studenti. Pensando che l’ambiente scolastico privato sarebbe stato migliore, decise di cambiare scuola. Ma quello che trovò furono bugie di studenti ancora più creativi…

Un giorno decise di contare il numero di inganni che aveva sentito. Con sua grande sorpresa, non erano solo gli studenti ad essere ingannevoli, ma anche l’amministrazione, gli altri insegnanti e i genitori. In tutto, contò oltre 50 menzogne ​​in un giorno. Ciò ha portato alla decisione di formare un elenco dei diversi tipi di inganno. Ecco la sua lista di motivi per cui le persone mentono.

Difensivo: la ragione più comune per mentire è di auto-proteggersi. Potrebbe esserci una conseguenza reale o percepita dalla quale una persona sta cercando di difendersi.

Vendicativo: alcune persone mentono intenzionalmente per causare danni agli altri perché si sentono danneggiate da quella persona. È un modo per restituire il danno all’altra persona.

Delusione: per evitare di deludere un’altra persona o anche se stessi, si usa spesso una bugia. La sgradevole sensazione dovuta alla delusione giustifica l’inganno.

Manipolazione: una persona che tende ad abusare degli altri mente costantemente per continuare la sua manipolazione. Se venisse fuori la verità, l’abusato potrebbe andarsene.

Intimidazione: a volte viene detta una bugia perché la persona si sente intimidita dagli altri. Di nuovo, questa sensazione di inferiorità è così scomoda che si mente per sopprimerla.

Ricerca di attenzione: ci sono persone che mentono solo per attirare l’attenzione delle altre persone. L’ironia è che la maggior parte di loro non sa cosa fare dell’attenzione una volta ottenuta.

Curiosità: questo è un comportamento molto infantile tipica degli adulti che non riescono a crescere. Mentono solo per vedere cosa accadrà a prescindere dal danno che potrebbero causare agli altri.

Superiorità: le persone con un grande ego, al fine di mantenere la propria superiorità, mentono per apparire migliori degli altri.

Evitamento: alcune bugie sono fatte per uscire dai guai o evitare conseguenze. Questo è particolarmente vero per i bambini.

Copertura: alcune persone indossano una maschera e fingono di essere qualcosa che non sono. Per mantenere le loro apparenze, mentono per nascondere qualsiasi tentativo di rivelare la persona reale che sono.

Controllo: a volte tutto si riduce al controllo. Nel tentativo di controllare il comportamento di un’altra persona, viene raccontata una bugia.

Procrastinare: evitare passivamente le responsabilità è una procrastinazione. Questa bugia è più sottile in quanto la persona sa che dovrebbe fare qualcosa, ma lo sta intenzionalmente rimandando.

Noia: alcune persone amano avere un dramma nelle loro vite. Quindi mentono per sollevarlo e guardare le reazioni delle altre persone.

Protezione: ci sono alcune bugie che vengono dette per proteggere gli altri. In alcuni casi, una menzogna viene detta per assumersi la responsabilità di cose di cui non si è responsabili nel tentativo di aiutare o proteggere qualcun altro.

Abitudine: dopo un certo periodo di tempo e quando le cose sono fatte abbastanza costantemente, si possono imparare cattive abitudini. Questo è vero per alcune bugie che vengono ripetute più e più volte.

Divertimento: alcune persone mentono come loro forma di intrattenimento privato. Per loro, mentire è divertente perché a loro piace guardare come gli altri reagiscono.

Desiderio: una persona che vuole che una bugia sia la verità ha un profondo desiderio di credere alla propria errata percezione.

Danno: le persone che vogliono danneggiare gli altri, mentono su chi sono e cosa stanno facendo. Questa è una tattica comune utilizzata nei rapimenti o nei raggiri.

Simpatia: simile alla ricerca di attenzione, una persona sta cercando di ottenere approvazione o simpatia dagli altri mente su un evento passato o attuale.

Pigrizia: a volte, una bugia, per una persona pigra, è un modo per non svolgere un lavoro.

Indifferenza: se una questione o un problema non ha importanza per una persona, questa potrebbe mentire su di esso e non veder nulla di sbagliato nel loro inganno.

Percezione: alcune persone credono nella propria bugia. La loro percezione della realtà non è accurata, quindi nai loro occhi quello che si sta raccontando non è una bugia.

Elevazione: una persona potrebbe desiderare di elevarsi all’alta moralità di un altro, una forte etica del lavoro o degli standard perfezionistici, inducono a mentire per elevarsi.

Stupire: come modo per cercare di impressionare gli altri e dare un’impressione migliore di sè, una persona potrebbe mentire su chi sia, cosa abbia fatto o dove stia andando.

Bramosia: Quando una persona vuole ciò che gli altri hanno, brama l’oggetto o la persona e mente, negando l’invidia provata.

Minimizzare: per ridurre il danno o le conseguenze che potrebbero altrimenti verificarsi, una persona minimizza la verità con una bugia.

Massimizzare: dall’altra parte, una persona potrebbe esagerare la propria bugia e rendere le cose peggiori di quello che realmente sono.

Sopprimere: nel tentativo di nascondere un problema, una persona potrebbe sopprimere la verità. Questa bugia è intenzionale. Negare: non tutte le persone che non vogliono che qualcosa esista negando la realtà, stanno mentendo intenzionalmente. A volte questa negazione non è intenzionale.

Nascondere: una persona potrebbe nascondersi da sè stesso, dagli altri o dagli eventi e mentire sull’averlo fatto come un modo per evitare le responsabilità. Questo è comunemente fatto in congiunzione con il comportamento di dipendenza.

 

Per Rebecca, capire perché una persona sta mentendo è un aiuto a identificare il comportamento e affrontare in modo più accurato i problemi sottostanti. E’ riuscita da utilizzare la sua frustrazione dovuta a sperimentare le bugie, trasformandola in una maggiore consapevolezza della conoscenza e del discernimento.

E’ noto che dietro problemi di stomaco possono celarsi diverse condizioni di disagio fisico. La ricerca ha suggerito che i problemi gastrointestinali possono essere collegati anche con ansia e depressione.

Probabilmente non è una sorpresa che i problemi di stomaco possano causare stress, meno che possano anche portare a significativi problemi di salute mentale. I disturbi allo stomaco più fortemente associati all’ansia e alla depressione sembrano essere condizioni note come sindrome dell’intestino irritabile. Tuttavia, uno studio della Stanford University del 2011 ha scoperto che anche problemi digestivi di breve durata, transitori, possono portare a problemi di salute mentale nel tempo.

I ricercatori hanno iniziato con la premessa che i livelli di stress di una persona possono essere esacerbati dalle condizioni del loro intestino. Ciò ha indotto gli scienziati a credere che i disturbi gastrointestinali possano influenzare il benessere psicologico di un individuo. Sulla base di questa ipotesi, gli scienziati hanno lavorato con ratti che presentavano gravi problemi gastrici tra le 8 e le 10 settimane di vita. Utilizzando marcatori per la depressione e l’ansia, i ricercatori hanno scoperto che questi ratti avevano maggiori probabilità di essere depressi e ansiosi rispetto ai ratti che non avevano avuto le stesse difficoltà digestive. Ciò ha indotto gli scienziati a concludere che l’insorgere di disturbi gastrici durante l’inizio della vita sembra far sì che il cervello vada incontro s uno stato di permanentemente depressione e ansia.

Naturalmente, non tutte le irritazioni dello stomaco sono correlate a problemi psicologici. Lo studio di Stanford ha osservato che l’impatto esatto molto probabilmente dipende da quando si verificano i problemi gastrointestinali durante lo sviluppo della persona. È anche probabile che esso sia influenzato dalla genetica e da altri fattori ambientali.

La ricerca ha rilevato che circa il 20% degli americani soffre di dolore persistente o ricorrente nella regione superiore dello stomaco, correlato a condizioni come la sindrome dell’intestino irritabile. Numerosi studi hanno dimostrato che queste persone hanno maggiori probabilità di sperimentare ansia o depressione.

I ricercatori hanno precedentemente pensato che gli ormoni dello stress fossero la ragione per cui le persone con problemi digestivi fossero più ansiose e depresse. Studi più recenti, come quello di Stanford, hanno evidenziato il ruolo di problemi gastrointestinali dell’infanzia avvenuti prima che si sviluppassero i sintomi psicologici della persona.

Un ampio gruppo di ricerche sulle terapie complementari e alternative ha esaminato la relazione tra la mente e il corpo, ma lo studio di Stanford si è concentrato su come il corpo può influenzare direttamente la mente. I risultati hanno portato i ricercatori a notare che la condizione dello stomaco di una persona può influenzare direttamente il modo in cui essa pensa e si comporta. Il meccanismo primario identificato è un segnale che parte dallo stomaco idirizzato al cervello che provoca in esso un cambiamento permanente. Gli scienziati stanno indagando ulteriormente su come e perchè questa comunicazione viene attivata e inviata al cervello. Questo potrebbe portare a nuove terapie di trattamento per l’ansia e la depressione.

Basandosi su ricerche in questo campo, gli esperti sono arrivati ​​a credere che l’ansia e la depressione possano a volte essere causate dalla stimolazione elettrica del nervo vago, che innerva lo stomaco. Questa convinzione, infatti, ha portato allo sviluppo di nuove terapie per la depressione resistente al trattamento.

Gli operatori sanitari specializzati in terapie alternative per la salute mentale hanno suggerito che un modo efficace per trattare i problemi digestivi possa essere l’uso di probiotici, presenti con molti marchi nei negozi di alimenti naturali e anche nei supermercati. Inoltre, ci sono altre terapie dietetiche che sono state trovate utili per migliorare la salute intestinale e alleviare i sintomi di ansia e depressione, come diete speciali e il digiuno terapeutico.

La rabbia è anzitutto un’emozione e come tale va compresa a fondo prima di allontanarla o di metterla in atto, in termini di aggressività. È annoverata tra le sette emozioni primarie descritte da Ekman, insieme alla paura, tristezza, gioia, interesse, sorpresa, disprezzo/disgusto. La rabbia è un segnale di allarme ad un evento percepito come ostacolo per il raggiungimento dei propri obiettivi. I vissuti che spesso sono associati si raffigurano nella percezione di una minaccia alla propria autostima e all’immagine sociale, in un senso di intrusione, di inadeguatezza, determinati essenzialmente dall’esperienza emotiva e dal significato che la persona attribuisce all’evento scatenante.

A livello somatico, per effetto dell’attivazione del sistema simpatico, si evidenziano: aumento della pressione sanguigna e del battito cardiaco, aumento della sudorazione, della ventilazione polmonare, più atti respiratori, dilatazione pupillare, vasocostrizione periferica. Essi rientrano in un quadro di reazioni tipiche di emergenza preparando, quindi, l’organismo all’attacco o alla fuga. Per l’effetto dell’adrenalina i muscoli, tesi e pieni di sangue, saranno più pronti all’azione e l’aumento della vasocostrizione periferica proteggerà dal perdere troppo sangue in seguito ad eventuali ferite, mentre il cuore e i polmoni sfrutteranno appieno le loro funzioni circolatorie e di ossigenazione.

Da un punto di vista psicologico, se la rabbia fosse sperimentata spesso con una certa frequenza e intensità esporrebbe maggiormente le persone a difficoltà nelle relazioni sociali e nella capacità di prendere decisioni, oltre che a specifiche situazioni di rischio, come abuso di sostanze e dipendenza, perdita del controllo, disadattamento sociale, depressione e aumento dell’aggressività. Con il tempo possono associarsi anche problemi di tipo medico, spesso sottovalutati, che purtroppo tendono a cronicizzarsi, mal di testa o di denti, quest’ultimo dovuto al bruxismo, ovvero alla tendenza al digrignamento e sfregamento dei denti involontario, durante il sonno.

In realtà, le emozioni rappresentano uno strumento di conoscenza di se stessi e del mondo, sono risposte adattive a stimoli ambientali, ovvero dei segnali che ci dicono come dobbiamo comportarci e in che modo avvicinarci ad una determinata situazione. Esse hanno una funzione sociale e comunicativa e per questo è importante fare attenzione a non reprimerle. In tal senso, la rabbia non sempre risulta disfunzionale, tutti l’abbiamo provata almeno una volta nella vita, e questo non è un dato patologico. Ne consegue che il migliore atteggiamento non è quello di allontanare un’emozione che piace poco, ma di studiarla, avvicinarla e cercare di comprenderne l’essenza, al fine di poterla gestire nel migliore dei modi.

Dal punto di vista terapeutico, alcune tecniche, utilizzate nell’ambito della terapia cognitiva, possono aiutare la persona a gestire la propria rabbia, ne sono un esempio: la Ristrutturazione Cognitiva, che aiuta la persona a studiare le proprie credenze fondate sulla rabbia e a favorire un atteggiamento più neutro; il Problem Solving, che consente di indurre le persone a sviluppare strategie cognitive di migliore gestione e risoluzione dei problemi; il Training Assertivo, che porta alla valorizzazione delle proprie risorse e a facilitare l’espressione delle emozioni, dei desideri e dei bisogni di ciascuno; il Training di Rilassamento, al fine di promuovere l’integrazione corpo-mente, in una dimensione dove la rabbia e/o aggressività risultino eccessive, in modo da favorire un allentamento delle tensioni attraverso il corpo e il rilassamento muscolare.

Dr.ssa Maria Langellotti

ossessioneE’ in corso il meeting annuale della American Psychiatric Association, l’associazione più importante al mondo nel campo della psichiatria. Facciamo nostro il messaggio rivolto ai media, affinchè le persone che soffrono di una malattia mentale vengano trattate col dovuto rispetto.

Un Americano su cinque si ammala di un disturbo di salute mentale ogni anno. Molti si cureranno e torneranno a stare bene o impareranno modi per vivere con la loro condizione. Eppure i titoli e le notizie su vecchi e nuovi media sulla salute mentale troppo spesso si concentrano su rari casi clamorosi, che portano alla violenza o alla morte.

I mezzi di comunicazione svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere la nostra comprensione dei disturbi mentali e l’uso di sostanze. Raccontare le storie di persone con problemi di salute mentale può aumentare la consapevolezza e ridurre lo stigma intorno a queste condizioni.

Di seguito sono riportati dei consigli utili per parlare della malattia mentale in modo accurato. Si ricorda che Mens Sana è a disposizione per rispondere alle vostre domande e connettervi con esperti di questo campo.

Domande da porsi quando si parla di salute mentale

  • La malattia mentale relativa a questa storia è importante? In caso contrario, non vi è alcuna necessità di menzionarla, come non si menziona un disturbo cardiaco o un diabete, ad esempio.
  • Qual è la vostra fonte? Non fate affidamento sul sentito dire. Se state parlando di una condizione specifica, assicuratevi di aver consultato un professionista della salute mentale per fornire notizie accurate. Mens Sana e altre societià scientifiche del settore sono in grado di mettervi in comunicazione con esperti per ampliare le vostre conoscenze su una vasta gamma di disturbi mentale e da uso di sostanze, così come su farmaci e tecniche utilizzate per il loro trattamento.
  • Qual è il linguaggio più preciso da usare? Pubblichiamo dei consigli sul linguaggio specifico da usare per evitare termini dispregiativi.

Scegliere le parole con attenzione

Le parole che si utilizzano per scrivere sulla salute mentale sono molto importanti. Possono aiutare a ridurre lo stigma sulla malattia mentale, se scelte con cura. Il vostro focus deve essere sulla persona, non sulla sua condizione.

Il concetto di base è che lo stato di salute mentale (o la condizione fisica o altro) è solo un aspetto della vita di una persona, non la sua caratteristica. Nessuno è la malattia da cui è affetto.

Preferito: Lei è una persona affetta da schizofrenia.
Non preferito: Lei è schizofrenico.

Essere specifici. La malattia mentale è una patologia sistemica, diagnosticabile. Esistono diversi tipi di malattia mentale e dovrebbe essere menzionata, quando possibile, la diagnosi esatta (vedi sotto per un breve elenco e definizioni di disturbi comuni).

Preferito: Gli è stato diagnosticato un disturbo bipolare
Non preferito: Era malato di mente

Evitare il linguaggio dispregiativo. Termini come matto, folle e drogato non devono essere utilizzati. Inoltre, evitare parole come “sofferenza” o “vittima” quando si parla di coloro che hanno problemi di salute mentale.

Preferito: Lei ha/è affetto da una malattia mentale. Ha un disturbo da uso di sostanze.
Non preferito: Lei soffre di una malattia mentale. E’ un tossicodipendente.

I fatti della malattia mentale

Idee sbagliate e miti sulla salute mentale sono purtroppo comuni. Di seguito sono riportati alcuni fatti circa la malattia mentale negli Stati Uniti, che non differiscono dalla situazione europea, così come le risorse chiave per consultare le ultime statistiche sulla salute mentale.

  • In un dato anno, un adulto su cinque negli Stati Uniti ha un disturbo mentale diagnosticabile.
  • Un adulto su 24 ha una grave malattia mentale.
  • Uno su 12 ha un disturbo da uso di sostanze.
  • La metà di tutte le malattie mentali croniche inizia dai 14 anni.
  • Il suicidio è la decima causa di morte per tutte le età. È più comune dell’omicidio.
  • Le persone con malattie mentali non hanno probabilità di essere violenti rispetto alle persone senza un disturbo di salute mentale. In realtà, le persone con malattie mentali hanno dieci volte più probabilità di essere vittime di crimini violenti.

Comuni disturbi che riguardano la salute mentale

Di seguito sono elencate le definizioni di alcuni dei disturbi di salute mentale più comuni. Per una descrizione più completa, si prega di consultare il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (disponibile anche online e pubblicato in italiano da Raffaello Cortina).

La dipendenza è una malattia cronica del cervello che provoca l’uso di sostanze compulsivo nonostante le conseguenze dannose. L’abuso di alcol e di altre sostanze si riferisce all’uso eccessivo di alcol o droghe che portano a effetti che sono dannosi per la salute fisica e mentale di un individuo, o il benessere degli altri.

La sindrome di Asperger è uno di una serie di disturbi neurologici dello spettro autistico. I disturbi dello spettro autistico sono una serie di disturbi dello sviluppo complessi che possono causare problemi al pensiero, il sentimento, il linguaggio e la capacità di relazionarsi con gli altri.

Il disturbo bipolare, anche comunemente noto come depressione bipolare, è un disturbo cerebrale che provoca cambiamenti dello stato di umore, energia e capacità di funzionamento di una persona secondo polarità opposte.

La depressione è una malattia comune e grave che provoca sentimenti di tristezza e/o di perdita di interesse nelle attività di cui una volta si godeva; può portare a una varietà di problemi emotivi e fisici

I disturbi alimentari sono malattie caratterizzate da gravi disturbi del comportamento alimentare e dei pensieri e delle emozioni correlate. Anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da binge eating sono i tre tipi principali

Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo d’ansia in cui le persone hanno ricorrenti pensieri indesiderati, idee o sensazioni (ossessioni) che li fanno sentire spinti a fare qualcosa ripetutamente (compulsioni) per dar sollievo al disagio provocato.

Il disturbo da stress post traumatico è un disturbo psichiatrico che può verificarsi in persone che hanno vissuto o assistito ad un evento traumatico come un disastro naturale, un grave incidente, un atto terroristico, guerra e combattimenti, stupro o altra aggressione personale violenta.

La schizofrenia è una malattia cronica del cervello con sintomi che possono includere deliri, allucinazioni, disturbi del pensiero e della concentrazione e grave mancanza di motivazione.